Andrea Scanzi, La Stampa 29/4/2012;, 29 aprile 2012
QUI TI BENEDICO SOLO CON FRUTTA E VERDURA (FRESCA)
Il più grande Festival Vegano è a Seravezza, provincia di Lucca. Non distante da Stazzema, teatro di uno dei maggiori eccidi della Seconda guerra mondiale. Per cinque giorni (dal 27 aprile a dopodomani) uno spicchio di Toscana, forse la regione meno vegetariana del mondo, si concede il lusso – la stranezza esotica, la scelta etica – di ascoltare e osservare chi vive senza uccidere. Diciottomila presenze nel 2011 (a Camaiore), 30 mila previste quest’anno al Palazzo Mediceo. Ingresso gratuito, clima a metà strada tra l’Arezzo Wave Love Festival (uno dei partner) e i raduni flowerpower. I più stretti osservanti camminano scalzi. L’estetica è al servizio della propensione messianica al sacrificio, quindi esce sconfitta : ballerine, infradito, scarpine per neonati in cotone biologico, tuniche improbabili. Una ricerca Eurispes di due anni fa ha attestato che in Italia ci sono almeno 7 milioni di vegetariani dichiarati (reali o presunti), un decimo dei quali vegani. Chi si concede deroghe (“Niente carne, ma pesce ogni tanto sì”, “A uova e formaggi non posso rinunciare”). E chi rimarca la differenza tra vegetariano e vegano: esistere senza ferire gli altri esseri viventi (universo botanico compreso). A loro volta i vegani si dividono in due categorie: chi si accontenta di mangiare frutta, verdura e cereali e chi ricorre a seitan e tofu (di moda anche tra i non vegani). Il Vegan Fest sembra uno spicchio di mondo pieno di utopici. Una Comune verde. Forse a Thomas More sarebbe piaciuto. Seravezza si è lasciata contaminare, accettando la colonizzazione. Le pasticcerie in centro preparano colazioni vegan, i tramezzini sono fatti con maionese vegan e persino la salumeria storica del paese si è reinventata “rosticceria vegan”. Un ossimoro che piace.
GLI STEREOTIPI si confondono con i pregiudizi, intendendo ribadire l’idea del vegano come di un mezzo sciroccato che si nutre solo di bacche e mele che cadono dall’albero (non sia mai che qualcuno passi di lì per punire le nuove Eva). In realtà l’unico limite del festival sembra legato alle guest star. Il testimonial è Red Canzian, l’ospite di grido Red Ronnie: forse c’è un limite anche alla mestizia. Il resto è una guerra vissuta da sconfitti, minoranza sbeffeggiata dal luogo comune, dal toscanaccio che passa di lì per lodare la bistecca chianina e dal nutrizionista carnivoro che ritiene inconcepibile vivere così. Forse è una esistenza col freno a mano tirato, una sorta di perenne coito interrotto culinario, ma chi bivacca a Seravezza non sembra né alieno né – meno ancora – infelice. Ognuno ha il suo speaker’s corner. Il Savonarola molisano tesse le lodi dell’ortica, “anche cruda”, e a chi gli fa notare che “un po’ pizzica” e magari evacuarla non sarà indimenticabile, risponde alla Diogene di Sinope: “Tranquilli, poi ci si abitua”. Le crepes sono senza uova, il condimento più gettonato è la “salsa di melanzane”. Un ragazzo vende il pane del sole, un altro semi di canapa. Librerie vegan vendono testi emblematici: “Stretching e massaggio del cane”, “Perchè il mio pappagallo fa così”, “Nobili scorpacciate Vegan”. Molti sono lì perché hanno letto Se niente importa di Safran Foer e hanno scoperto come si ammazzano gli animali nei mattatoi (soprattutto quelli legati alla grande distribuzione: McDonald’s, Kentucky Fried Chicken). Stasera alle 21 verrà premiata Jill Robinson. Quindici anni fa ha scoperto che in Cina, Vietnam e Corea vengono torturati 20 mila orsi della luna in “Fabbriche della bile”. Sono rinchiusi in gabbia sin da cuccioli, con rudimentali cateteri conficcati nella cistifellea che succhiano la bile, portatrice di benefici imprecisati secondo credenze popolari. Rimangono lì, vivi e torturati, per venti anni. Più soffrono, più producono bile. La Robinson ha fondato Animals Asia Foundation, che si batte per liberarli e rieducarli (in Italia ne ha parlato Beppe Grillo). Un buffo signore vende “coppette mestruali”, una signora costruisce rompicapo in legno e ferro.
C’È LO STAND di Sea Shepherd e quello di Amnesty International, con la militante che – se dichiari di essere già iscritto – chiede a bruciapelo: “Con quale modalità”. E scopre il bluff dell’avventore. Una ragazza cita Striscia la notizia mentre chiede un aiuto per salvare i cavalli sfruttati, un’altra invita a firmare per “favorire la scelta vegetariana e vegana nelle mense”. Le “guardie eco-zoofile” chiedono una donazione per combattere il maltrattamento degli animali. Un educato signore spiega la “riabilitazione dal laboratorio alla famiglia” delle cavie da laboratorio liberate. Un uomo invita a diffidare dall’olio di cocco e di palma, un altro vende “vino chiarificato con argilla purificata senza gelatine di origine animale”. E poi tutti a farsi una tisana, col cane al guinzaglio. L’umanità di Seravezza Green Park sarà anche strana, bizzarra, minoritaria. Visti da dentro, e a dire il vero pure da fuori, sembrano però combattere battaglie degne. Molto spesso condivisibili. Addirittura meritorie.