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 2012  aprile 28 Sabato calendario

L’INSEGNO RIDENS - L’INSEGNO RIDENS

Fenomenologia di un comico: da doppiatore porno a possibile direttore dei teatri di Roma
di Malcom Pagani
Ti bagno tutta”. Altro rullo. “Ahhhhhhh, vengo, sono il tuo sultano”. Pausa caffè. “Scopami, scopami, scopami ho detto”. Fine turno. Motorino. Periferia. Ai tempi ribaldi di “Eiaculazione da Tiffany”, quando ancora Bartezzaghi non si dilettava in anagrammi nominali colmi di doppi sensi “Sogni, no peni”, ogni cosa, a partire dalla voce di Pino Insegno, aveva un prezzo. Quello assegnato al doppiatore, per istinti e mugolii della primaria dialettica del porno era trecentomila lire e l’unica rete che Insegno conoscesse era quella delle calze (“te le strappo a morsi”) proiettate sullo schermo. Oggi, nel metacinema romano, mentre il creativo comune e il suo amico travestito da Sindaco, Gianni Alemanno pensano di affidargli la gestione di un’altra ramificazione, la “Casa dei teatri e della drammaturgia contemporanea”, dieci strutture, 10 palcoscenici, è difficile non riflettere sul ribaltamento di prospettiva.
INSEGNO ha costruito la sua ragnatela in parallelo alla metamorfosi nazionale. Con il pallone sull’altare, il cuore a destra della destra e una comicità esiziale che lui, furbissimo, preferisce definire “semplice”. Prima, all’alba degli ’80, era solo Carlo Vacca. Controfigura di Gigi e Andrea. Corpulento centravanti della “Marchigiana” insidiato da Milena Vukotic in “Mezzo destro mezzo sinistro due calciatori senza pallone”. Venticinque anni dopo, multiforme, ottiene (otteneva?) programmi e investiture da un’altra figurina accosciata della squadra del Secolo d’Italia, Mauro Mazza, dona la voce a Viggo Mortensen e Denzel Washington, presenta tutte o quasi le feste del Pdl, esulta smodato se vincono i “buoni” e infine, monetizza. Il sistema Roma (inventato dai democristiani, interpretato da Veltroni e geneticamente modificato dall’allegra coppia al comando di Campidoglio e Regione) non fa prigionieri. Tutti da una parte, uni e trini e poi, domani, si vedrà. Intanto Insegno galoppa, cresce figli, cambia mogli, sperimenta famiglie allargate, accompagna Baglioni a Lampedusa, fonda accademie gratuite, lascia imbiancare i capelli e continua a tifare Lazio. Anni fa, unendo in un sol colpo due passioni, diventò presidente di quella femminile.
DURÒ IL SOFFIO di un mattino, tanto per certe aspettative relativamente dickensiane, basta lo stadio Olimpico. Dove Insegno si manifesta a ondate, si incazza, piange, ride e poi ritorna a occupare il piccolo schermo con barbarica baldanza. La corsa alla maturità è un percorso iniziatico. Cominciò nel 1986 con Enrica Bonaccorti. Lui e la premiata ditta (gli amici di sempre) producevano sketch e, Dio li perdoni, film. Il terribile “L’assassino è quello con le scarpe gialle”, con l’inquietante morettiano di stretta osservanza Dario Cantarelli, incassò più del previsto . Il resto fu ascesa. Insegno trasmutò. Da macchietta e riempitivo a one man show. Italia uno e la Rai. I programmi felici e quelli chiusi in un amen. Mercanti in fiera, zecchini d’oro e anche la corvée di qualche atroce capodanno in diretta, complice Mara Venier. Un’allegria forzata, una fatica del sorriso ad ogni costo e della routine obbligata che ogni tanto lo fa deragliare. Quando Pino filosofeggia (si impegnò con Davide Maggio) , sono guai. Versioni personali. Diagrammi impazziti. Riflessioni tra il non-sense, certi proverbi sul cazzo e sul cazzotto e l’istantanea ipercontemporanea. Tema raccomandazioni, un esempio tra mille. “Sono cambiate: una volta una donna voleva una macchina, un appartamento. Oggi vogliono fare una fiction, essere vallette. E questa cosa ha abbassato il livello, non c’è più la formazione, non c’è più la voglia di studiare per arrivare in televisione”. Ecco, la Weltanschauung insegnesca riscrive il presente a modo suo. L’epica della gavetta si fonde con il monumento a se stesso. È un’umiltà mascherata che ogni tanto si rivela.
OSPITA EMANUELE Filiberto in trasmissione? Magnanimo, cinguetta: “Non ci metterei niente a metterlo in mezzo ma non lo farò, perché non è quello lo scopo del programma”. Poi si elegge a campione di moderazione facendo arrossire il Pino giovane, quello che scherzava sulla pinguedine, adorava la grevità gratuita, gremiva i teatri e aveva meno freni di oggi: “i miei silenzi hanno fatto molto più di tante chiacchiere. È un nuovo modo di fare televisione. Non urlata, non becera”. Aldo Grasso lo ha scelto, curato, studiato. Talvolta si accanisce. Fioretto: “Insegno nasce come comico della Premiata ditta e un giorno mi piacerebbe incontrare uno spettatore, uno solo, a cui i quattro sono riusciti a strappare un sorriso”. Sciabola: “Mi è già capitato di scrivere, a proposito di Insegno, che il suo modo di fare tv rispecchia il conformismo che regna nella tv generalista”. Coltellaccio: “Ma a che serve polemizzare con il nulla? Non tutto è perduto: resta pur sempre Carlo Conti”. Pino la spugna assorbe, anche le lacrime: “Se fra milioni di persone che mi vogliono bene ce n’è una che non mi apprezza, mi dispiace”. Poi ricomincia. Mette una tacca. Presidia il territorio. Nulla per Pino è più infernale dell’assenza.