Salvo Vitale, Rolling Stone 5/2012, 3 maggio 2012
Tags : Anno 1901. Raggruppati per paesi. Italia
La mafia? Al buio è più forte – Partinico è una cittadina di 30mila abitanti a 30 km da Palermo
La mafia? Al buio è più forte – Partinico è una cittadina di 30mila abitanti a 30 km da Palermo. Nel contesto della "pax mafiosa" che ha caratterizzato il territorio della provincia di Palermo, dall’arresto di Totò Riina ai nostri giorni, questo è rimasto l’unico posto in cui ancora si spara: si contano 8 omicidi negli ultimi tre anni, un centinaio di attentati incendiari, e un susseguirsi di scene di ordinaria violenza, visto che i mafiosi di grosso calibro preferiscono girare alla larga, senza ingerirsi nelle beghe tra le cosche locali. Frank Coppola è stato il boss di maggiore spicco, tra i primi a occuparsi dei traffici di droga con gli Stati Uniti. A lui era legato un uomo politico locale, Santi Savarino, direttore del Giornale d’Italia (quotidiano fondato nel 1901 da Sidney Sonnino e Antonio Salandra e chiuso nel 1976, ndr), poi deputato nelle liste Dc, come dimostra un’affettuosa corrispondenza epistolare tra i due. Un suo cugino, padre Agostino Coppola, si distinse per il suo ruolo di mediatore nei sequestri eseguiti da Luciano Leggio e per avere sposato in pompa magna Totò Riina e Ninetta Bagarella. Un sistema di potere ricollegabile quindi a parti della Chiesa, a politici collusi e a boss di primo piano, come Nenè Ceraci, Giovanni Bonomo, Filippo Nania, Vito Ofria, per arrivare, negli ultimi anni, alla famiglia Vitale (detta Fardazza), mafiosi legati ai corleonesi di Riina e poco propensi ad accettare la strategia di Bernardo Provenzano. Ai Vitale appartengono Giusy, notevole esempio di boss mafioso in gonnella, adesso collaboratrice di giustizia, e Giovanni, il primo boss poco più che 20enne chiamato a guidare la cosca locale. Negli anni ’60 il territorio di Partinico è stato al centro dell’attività di Danilo Dolci, il sociologo triestino che, trasferendosi in Sicilia, diede un grande contributo al suo sviluppo economico e sociale. Per dire, grazie a Dolci inaugurò, nel 1970, la prima radio libera italiana, la "Radio dei poveri cristi", che, sia pure chiusa dopo 24 ore, servì a far conoscere il dramma delle popolazioni devastate dal terremoto del Belice del ’68. Grazie alle sue lotte nacque la diga sul fiume Jato, che diede un grosso impulso all’agricoltura, togliendo dalle mani dei mafiosi la gestione delle acque irrigue e potabili. Negli anni ’70 la produzione vinicola ha dato luogo a un impressionante processo di sofisticazione, esportando in tutta Europa il vino "trattato" a Partinico. Alcune colture nell’ultimo ventennio si sono trasformate in fiorenti piantagioni di cannabis, al punto che la zona è conosciuta come la "Medellin d’Europa". In questo contesto si è sviluppata una grande distilleria nata per iniziativa del boss Giuseppe Bertolino, e potenziata dalla figlia Antonina, che peraltro ha sempre sostenuto di essere estranea a qualsiasi associazione mafisa. Sia come sia, suo cognato, il pentito Angelo Siino, ministro dei lavori pubblici di Totò Riina, ha confessato di incontrarsi proprio all’interno dei locali della distilleria con Giovanni Brusca e altri boss onde discutere sulla spartizione degli appalti pubblici in Sicilia. Oggi la distilleria trasforma in alcol buona parte del vino siciliano, acquistato a prezzi bassissimi, ed è responsabile, secondo gli ambientalisti locali, dell’inquinamento atmosferico e di quello marino del Golfo di Castellammare. A completare il quadro, un gruppo di Agrate Brianza, la Policentro Daunia, ha acquistato circa 250mila mq. di terreno, già destinato ad attività artigianali, con l’intenzione di costruirvi uno dei centri commerciali più grandi d’Europa. Mafia. Politica. Policentro. Imprese. Con questi temi fa i conti giornalmente una piccola emittente locale, Telejato, che allarga la sua fascia d’ascolto su un territorio ad alta densità mafiosa, che va da Corleone a Cinisi, S.Giuseppe Jato, Montelepre, Castellammare, con un’utenza potenziale di 200mila ascoltatori. Telejato è una tv "comunitaria", nata negli anni ’90, tra le pieghe della legge Craxi sulle emittenze private. E "comunitarie" sono in Italia circa 250 tv, in gran parte al servizio di istituzioni religiose e gestite dal volontariato. Hanno il limite di tre minuti di pubblicità per ogni ora di trasmissione e l’obbligo di trasmettere esclusivamente produzione propria. Nei primi tempi Telejato è andata in onda occasionalmente e in modo discontinuo, fino a quando non ne ha assunto la gestione Pino Maniaci, originale personaggio con alle spalle un tormentato passato di imprenditore, appaltante, aspirante medico e protagonista di tutta una serie di attività che lo hanno anche portato in prigione per alcuni mesi. Con Telejato, Maniaci ha trovato finalmente la sua dimensione ed è riuscito, negli anni, a costruire un’emittente molto ascoltata. Il successo si basa sulla sua capacità di essere subito "sulla notizia", di abbinare immagini e commenti giornalistici sugli aspetti fondamentali di un evento, integrando i servizi con interviste non tanto e non solo al personaggio-protagonista, ma anche alla gente comune. Una variegata galleria di persone che, esprimendosi spesso in dialetto, parlano dei loro disagi e raccontano di tradizioni, eventi e iniziative: studenti, insegnanti, politici smaliziati e altri ai limiti dell’analfabetismo, ma forti di notevoli consensi elettorali, lavoratori in agitazione, cittadini tartassati dalla burocrazia, poeti estemporanei, musicisti sconosciuti, gruppi religiosi... Il telegiornale così finisce per durare più di due ore, con approfondimenti e inchieste che sono radiografie del malessere sociale o atti di denuncia del sottobosco politico e spesso malavitoso nel quale maturano le scelte e i problemi della comunità. A far trottare la macchina dell’informazione è la famiglia di Pino al completo, la figlia Letizia in prima linea con la sua telecamera (vedi box, ndr), e un gruppo di professionisti volontari che ogni giorno completano il lavoro d’impostazione, registrazione, scarico dei filmati, assemblaggio, messa in onda, fin quando scatta l’ora X: alle 14,20 i riflettori si accendono e il tg parte. E il frutto di un lavoro di gruppo nel quale ciascuno porta le sue competenze e anche i segni del passato. Chi scrive, ad esempio, quando collabora con Pino e il suo tg lo fa forte dell’esperienza di controinformazione vissuta con Poppino Impastato (ucciso nel 1978, ndr) a Radio Aut, anche se quella, va detto, fu tutta un’altra storia: la radio di Peppino era politicizzata, con una chiara impostazione ideologica, mentre Telejato dà spazio a tutti i partiti politici e a tutti i personaggi in cerca di visibilità. Nel tempo Telejato è diventata un avamposto dell’informazione, cui fanno riferimento i cronisti di altri giornali e della Rai. Molte televisioni, non solo europee, realizzano servizi su quello che è ritenuto un esempio unico d’informazione in terra di mafia. E gruppi di visitatori che praticano il cosiddetto "turismo responsabile", accanto alla visita alla casa di Peppino Impastato a Cinisi, a Portella della Ginestra o a Corleone, nei terreni confiscati alla mafia, fanno anche tappa negli studi di Telejato. E scoprono la dimensione domestica di questa realtà: una decina di monitor, quattro vecchi computer, un paio di telecamere manuali e un’antenna traballante. Non basta pagare bollette di luce e telefono, non basta pianificare le spese di gestione: per fare quello che Pino Maniaci fa giorno dopo giorno servono intraprendenza, sensibilità verso i problemi della povera gente, voglia di cambiare. E coraggio. Perché l’informazione, spesso aggressiva, di Telejato finisce col scatenare inimicizie e prese di posizione in coloro che si ritengono vittime delle denunce. La titolare della Distilleria, "donna Nina Bertolino", per dire, ha inoltrato 200 denunce per diffamazione. E tuttavia, contro di lei Telejato è stata capace di portare a manifestare oltre l0mila persone. A ciò si sono aggiunte negli anni un’ottantina di querele da parte di politici e affaristi locali nel tentativo di bloccare, attraverso l’attività giudiziaria e, possibilmente, attraverso qualche cospicua condanna di risarcimento, l’informazione. Il numero delle denunce qualche risultato l’ha ottenuto: ad esempio, è servito ad allontanare i direttori responsabili del telegiornale, al punto che, tre anni fa, la direzione è stata assunta da Francesco Forgione, prima che diventasse Presidente della Commissione Antimafia, e successivamente da Riccardo Orioles, giornalista d’avanguardia che ha lavorato anche con Giuseppe Fava. E, finalmente, a Pino Maniaci è stata consegnata la tessera di cronista "ad honorem", dall’ordine Nazionale dei Giornalisti, anche se lui dice che non gliene frega niente, perché per trasmettere dovrebbe bastare la garanzia dell’art. 21 della Costituzione, quello che stabilisce che "Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione...". E poi ci sono le violenze, anche fisiche. Dopo una serie di precedenti avvertimenti, lettere minatorie, piccoli attentati alle macchine o al trasmettitore, boicottaggi, lettere anonime con allegata fedina penale, insulti e piccole attività terroristiche, Pino Maniaci è stato aggredito da due minorenni, uno dei quali identificato nella persona di Michele Vitale, figlio l6enne di Vito, oggi in carcere con i suoi fratelli, in regime di 41 bis. Maniaci è stato assalito dentro la sua macchina, malmenato a pugni e calci, mentre uno dei due cercava di strangolarlo tirandogli la cravatta. Certamente non sarà piaciuto il costante lavoro di denuncia condotto da Telejato assieme ai ragazzi di "Addio Pizzo" per arrivare, finalmente alla demolizione delle "stalle della vergogna", costruite dai parenti dell’aggressore, sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno vedesse niente. Il meccanismo diffamatorio, tipico degli ambienti filomafiosi, è scattato anche nel caso dell’incidente. Maniaci, era la tesi, si sarebbe inventato tutto, anche il nome degli aggressori, uno dei quali, si diceva, era a casa con tanto di ingessatura postincidente automobilistico. Peccato che, da informazioni raccolte dallo stesso Maniaci, l’ingessatura (di una frattura peraltro sospetta) pare fosse stata rimossa tre giorni prima. Comunque nemmeno questo ha fermato Maniaci, che da tempo aveva rifiutato di muoversi sotto scorta: dandosi il cambio con la figlia Letizia, ha continuato, esibendo i segni della violenza, a leggere il suo telegiornale e non ha mai per un minuto pensato di arretrare di un centimetro su quanto fatto e detto. A incoraggiarlo, i numerosi attestati di solidarietà pervenuti da ogni parte d’Italia. Non è bastato. Alcuni mesi dopo, all’auto di Telejato, parcheggiata sotto la sede della redazione, è stato appiccato il fuoco. Pochi i danni, tanta la paura. Anche qua, però, è scattata la solidarietà aderendo all’iniziativa "Siamo tutti Pino Maniaci", numerosi giovani, ma anche politici e personaggi di spicco, si sono presentati nello studio dell’emittente a "leggere" il telegiornale. Persino il presidente del Senato Schifarli è arrivato a Telejato a dare la sua solidarietà. Non è facile fare informazione libera in un territorio in cui, da una parte la cultura mafiosa, dall’altra gli interessi economici, sono ancora dilaganti, come dimostrano gli arresti dei Lo Piccolo, dei quali Telejato ha diffuso le prime immagini. Non solo. L’avvento del digitale causa grossi problemi di sopravvivenza: gran parte delle piccole emittenti spariranno, fagocitate dalle più grandi, mentre sono già praticamente scomparse le televisioni comunitarie. Si tratta di una rete di circa 500 emittenti che, sinora, hanno garantito l’informazione locale e la conoscenza dei vari aspetti del territorio in cui si opera. Telejato ha inviato al Presidente del Consiglio Monti un documento con 2000 firme, in cui si chiede che le grandi emittenti nazionali paghino, così come le piccole, la lunghezza d’onda su cui trasmettono e che venga riscritta una legge per il riordino delle emittenze, destinando uno spazio per le televisioni comunitarie. Perché non scenda l’oscurità.