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 2012  aprile 27 Venerdì calendario

INFLAZIONE O CRESCITA? QUESTO È IL PROBLEMA

Inflazione o crescita? Il dibattito sui due obiettivi della politica monetaria - ai quali aggiunge ora anche la stabilità finanziaria - non finirà mai. Forse neanche nel caso in cui dovesse essere approvata quella riforma della Fed, all’esame del congresso Usa, che le affida come priorità la stabilità dei prezzi. Proprio come alla Bce.
Dietro il dibattito c’è un fatto e un’illusione. Il fatto è che la politica monetaria incide sull’attività economica e sui prezzi. Con tempi diversi: sulle quotazioni finanziarie, in genere, l’impatto è immediato; segue l’attività reale, attraverso il cambio e i tassi. Alla fine, entro almeno due anni - ma sui tempi domina l’incertezza - l’incremento dell’offerta di moneta si trasforma in un aumento dei prezzi mentre gli effetti reali tendono a svanire. Il "fatto", in realtà, è anche più complicato. Gli effetti sono incerti, nei tempi e nell’intensità, e possono variare in dipendenza delle stesse strategie adottate. Il meccanismo di trasmissione della politica monetaria può "guastarsi" (è l’attualità di Eurolandia); e comunque muta da Paese a Paese: così si spiegano le differenze, per esempio, tra Bce e Bank of England, con un mandato simile, e l’affinità tra la stessa BoE e la Fed, dagli obiettivi diversi. In definitiva, così come non si può davvero parlare di stimolo fiscale - un tradimento del vero pensiero di Keynes - è fuori luogo parlare di stimolo monetario. Questo non significa che le banche centrali siano impotenti, anzi: la moneta è dappertutto nell’economia, viene scambiata su ciascun mercato, la sua quantità - anche se un po’ dimenticata dalla scienza economica - non è irrilevante.
Da qui nasce l’illusione, quella che vede la politica monetaria come "la" soluzione. I politici sono i primi a invocarla, in ogni situazione di crisi (e in vista di elezioni): si possono ricordare le pressioni di Nicolas Sarkozy e, oggi, quelle di François Hollande. Senza tacere quelle dei politici italiani, Silvio Berlusconi in testa. Le banche centrali sono diventate il più possibile indipendenti - con un obiettivo unico anche per ridurne poteri e discrezionalità - proprio per sganciarle dal "ciclo elettorale". Abbassare i tassi dà un effetto espansivo immediato, anche sull’occupazione, e presenta il conto, in termini di prezzi più alti e di minore crescita, molto più tardi. Proprio come una droga. Un divertente gioco, sul sito web della Bce, invita a governare i prezzi: la simulazione, pur relativamente semplice, mostra quanto possa diventare un incubo inseguire l’inflazione una volta sfuggita di mano.
La crisi, però, ha riproposto il dibattito anche sul fronte tecnico. Anche perché si è aperta e continua ad essere accompagnata da rincari del petrolio (e delle materie prime, e degli alimentari): un’evidente minaccia alla stabilità dei prezzi e alla crescita. In queste circostanze le cose si complicano maledettamente. È la classica situazione in cui il "gioco" non funziona, dare la preferenza al controllo dei prezzi può dare effetti molto negativi, alzare i tassi può dare il colpo finale all’economia.
Non a caso cresce il partito di coloro - ispirati dall’economista Robert Hetzel che, ironicamente, lavora alla Fed di Richmond - individua in errori di politica monetaria la causa scatenante della recessione e della crisi dei debiti: la lentezza della Fed nel tagliare i tassi nel 2008, la decisione di alzare i tassi sulle riserve dopo il fallimento Lehman, il rialzo del costo del credito della Bce nel luglio 2008 e nel marzo 2011 e, in generale, scarsa attenzione alle aspettative (la vera leva della politica monetaria) e all’offerta di moneta. Economisti di orientamenti politici diversi propongono allora di rendere esplicito quello che è stato a lungo l’obiettivo implicito delle banche centrali, che ha regalato anni di stabilità con politiche monetarie rigorose e flessibili: far muovere il Pil nominale, la somma di Pil reale e inflazione, su un sentiero di crescita costante al quale tornare in caso di allontanamento. Eurolandia, per fare un esempio, si è mossa a lungo a un robusto ritmo del +4,5% annuo, gli Usa a uno del 5%. Altri economisti temono però che questa strada sia rischiosa, inflazionistica. Il dibattito resta quindi aperto.