Daniele Manca, Corriere della Sera 03/05/2012, 3 maggio 2012
«DOPPI INCARICHI. LEGGE SBAGLIATA, FORSE DANNOSA»
Il Financial Times, pur lodando l’articolo 36 sull’incompatibilità degli incarichi nei consigli d’amministrazione, ha preso a esempio l’uscita di Marina Berlusconi dal consiglio di Mediobanca e la sostituzione con il fratello Pier Silvio, per indicare come la legge fosse subito stata applicata all’italiana. Per il premier Monti è stato invece un colpo ai poteri forti. Nel frattempo il volto di molti consigli d’amministrazione di banche e assicurazioni è cambiato e sta cambiando. «In realtà, a me questa sembra una norma inutile e sbagliata, anzi, probabilmente persino dannosa»: Marina Berlusconi ha rispettato il divieto imposto da quell’articolo 36 approvato nel decreto salva Italia, ma è decisamente negativa sulle conseguenze di un provvedimento che pure per molti è apparso un tentativo di recidere la ragnatela di incroci azionari. «Ammesso e non concesso che sia opportuno sciogliere questi incroci, l’articolo 36 è del tutto fuoristrada. Perché la questione è un’altra».
Dopo i tanti mugugni di banchieri e finanzieri, lei come presidente della Fininvest esce allo scoperto. Ma a forza di dire che la questione è un’altra non si fa mai niente...
«Mi pare del tutto evidente che il problema in discussione riguardi le partecipazioni incrociate, non chi queste partecipazioni rappresenta nei vari consigli di amministrazione. Ma secondo lei il nuovo entrato che cosa farà? Tutelerà l’investimento nello stesso identico modo di chi ha dovuto lasciargli il posto, e ci mancherebbe altro che non lo facesse».
È innegabile che Fininvest e Marina Berlusconi siano poteri forti...
«Ma quale potere forte? Noi Berlusconi in quello che un tempo si definiva il salotto buono non ci siamo mai seduti, quanto ci siamo costruiti ce lo siamo costruiti da soli».
Però sedete nel patto Mediobanca...
«Per cortesia, non mi si venga a citare Piazzetta Cuccia: siamo presenti con l’1 per cento più un altro 1 per cento fuori patto...».
Il tema resta: gli intrecci si toccano? E se sì, come?
«Avrei capito se l’incompatibilità avesse riguardato solo quei consiglieri con deleghe operative, ma la norma invece non fa alcuna distinzione fra amministratori che hanno il potere di incidere direttamente sull’andamento dell’azienda e altri che invece esercitano solo il diritto di voto».
Tutto ciò sa di camaleontismo ...
«Non c’entra nulla il camaleontismo, l’abilità molto italiana di trovare spesso il modo di aggirare ogni nuova norma. È la nuova norma che è mal concepita. È la norma che di fatto invece di affrontare il problema lo aggira senza arrivare a nulla. Qui non c’entra il solito motto "fatta la legge, trovato l’inganno", perché l’inganno è nella legge stessa».
Addirittura...
«Senta, in alcuni casi si ridurrà l’autorevolezza del consiglio di amministrazione, penso ad esempio ad alcune banche che dovranno rinunciare a farsi rappresentare dai loro uomini di punta, in altri si avrà l’effetto contrario a quello dichiarato: si ridurrà la trasparenza. È molto più trasparente la presenza personale dell’imprenditore che presidia direttamente l’investimento, piuttosto che quella di un suo diretto collaboratore, sicuramente ottimo manager ma meno immediatamente percepibile come "rappresentante di…"».
E sbaglia anche il Financial Times che loda questa norma?
«Penso che i commenti del Financial Times meritino per la loro autorevolezza tutto il rispetto e l’attenzione possibili, ma da qui e prenderli per oro colato ce ne passa. Guardi che cosa hanno scritto sul presidente Monti, un giorno santo, quello dopo bocciato su tutta la linea».
Forse ce l’ha perché il Financial Times l’ha pizzicata...
«Mi cita come esempio negativo, parla di "misure assurde per tenere le proprie posizioni", di "fascino del potere". Ma che cosa c’entra qui il fascino del potere? La Fininvest ha investito in Mediobanca quasi 300 milioni di euro, è una partecipazione nella quale crediamo, abbiamo tutta l’intenzione di restare. E credo sia non solo un nostro diritto, ma un nostro dovere, da imprenditori coerenti con le loro scelte, seguire un investimento così importante in modo diretto, mettendoci il nostro volto e il nostro nome fino in fondo. Le sembra dunque così "assurdo", come scrive molto scandalizzato il Financial Times, che dovendo io lasciare Mediobanca abbia fatto il nome di mio fratello Pier Silvio?».
Daniele Manca