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 2012  aprile 28 Sabato calendario

L’ECONOMIA SPAGNOLA RISCHIA IL COLLASSO

L’uomo che doveva portare la Spagna fuori dalla crisi, Mariano Rajoy, «uno che risolve i problemi» come diceva di sé nelle «entusiasmanti» settimane della campagna elettorale, sembra avere smarrito la strada, oltre che l’entusiasmo. Il downgrade di Standard&Poor’s che ha abbassato il rating iberico da A a BBB+ conferma la deriva di Madrid e sottolinea, una volta di più, la fragilità delle banche del Paese con un sistema finanziario che ha già ricevuto aiuti pubblici e che è stato oggetto di due riforme negli ultimi tre anni. Mentre il tasso di disoccupazione salito al 24,4% nel primo trimestre fa aumentare i dubbi sull’austerity, imposta da Bruxelles e accettata a denti stretti a Madrid, oltre che sulle nuove regole per il lavoro appena introdotte nel Paese per accentuare la flessibilità (più di quanto avesse già fatto il premier precedente José Luis Zapatero).
In quattro mesi di Governo Rajoy si è giocata quasi tutta la credibilità nei confronti dei mercati, dell’Europa e di larga parte anche dei suoi concittadini. Il premier conservatore - al quale anche gli oppositori socialisti, riconoscono capacità e tenacia - è con le spalle al muro. E i suoi ministri reagiscono in modo scomposto agli attacchi.
Stiamo affrontando «una crisi di proporzioni enormi» ha detto ieri, senza mezzi termini e senza prudenza, il responsabile degli Esteri, José Manuel Garcia-Margallo, commentando il taglio di S&P’s. «È come per il Titanic - ha continuato Garcia-Margallo avvisando la Germania - se c’è un naufragio, annegheranno anche i passeggeri di prima classe».
Mentre il viceministro all’Economia, Fernando Jimenez Latorre, ha risposto con durezza all’agenzia di rating americana: «S&P’s non riconosce il grande consolidamento in corso. Il nostro impegno - ha detto Latorre - è assoluto, e non appena i mercati si renderanno conto che non ci sono problemi di solvibilità e che possiamo affrontare i nostri debiti e obblighi finanziari, torneranno ad avere fiducia».
Luis de Guindos, il vero regista dell’azione del Governo in questa fase, ha invece assicurato che l’economia spagnola appena entrata in recessione «tornerà a crescere già nel 2013 e nel 2014 in modo più sostenuto dell’1,4%» mentre restano confermati gli obiettivi di risanamento - ha aggiunto - con il deficit che dovrebbe scendere al 5,3% del Pil quest’anno e poi al 3% entro il 2013. Il ministro dell’Economia ha fatto riferimento anche alla possibilità di aumentare le imposte sui consumi - annunciando di fatto un aumento dell’aliquota Iva (dal 18 al 20%) dal prossimo anno - per recuperare in tutto otto miliardi di euro.
Il declassamento di Standard&Poor’s non ha avuto ripercussioni rilevanti sui mercati - forse perché tardivo e già scontato - ma ha comunque contribuito a far aumentare la tensione. Nonostante le dichiarazioni di circostanza e gli attestati di fiducia scontati che sono giunti a Madrid dall’Unione europea e dalla Germania di Angela Merkel. «La situazione è ancora più critica - ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble - i mercati finanziari hanno semplicemente bisogno di messaggi chiari. La fiducia si perde in pochi giorni e poi ci vogliono mesi o anni per riconquistarla». La Spagna da troppi mesi si muove sull’orlo del precipizio. Non ci sono rischi imminenti di insolvenza, la stessa S&P’s ha detto con chiarezza che «non c’è alcuna possibilità all’orizzonte anche perché il Tesoro di Madrid ha già emesso il 50% del suo debito quest’anno». Ma la debolezza delle banche sommata alle incertezze sui conti pubblici, soprattutto delle Regioni autonome, rischia di far precipitare la crisi.
Per Rajoy inoltre, «il grande nemico», la disoccupazione continua a crescere in modo allarmante: gli spagnoli senza lavoro sono 5,7 milioni, il tasso di disoccupazione che fino al 2007 era simile a quello della Germania, tra gennaio e marzo, è salito al 24,4%, livelli che non si registravano da 18 anni. Con punte superiori al 30% in Regioni come l’Andalusia e con numeri folli nelle fasce più giovani della popolazione: in Spagna, la quarta economia dell’Eurozona, il 52% degli under 25 è senza lavoro. Luca Veronese • È FUGA DALLE BANCHE IBERICHE FUORIUSCITI DEPOSITI PER 65 MILIARDI - Il copione si sta riproponendo. In forma e intensità diverse, ma sulla falsariga di quanto accaduto alla Grecia e alle sue banche. La crisi profonda e lo spettro della tenuta del Paese hanno fatto fuggire a ritmi sempre più elevati i clienti dalle banche di Atene. Ora tocca a Madrid vivere lo stesso incubo. I depositanti si allontanano a rotta di collo dalle banche spagnole.
Depositi in fuga
Secondo le stime prodotte dagli analisti di Ubs, ammonterebbero a 65 miliardi di euro i soldi fuoriusciti negli ultimi mesi dai conti correnti degli istituti del Paese iberico. Una somma che secondo gli analisti di Ubs vale circa un 5,2% di decremento netto da febbraio 2001 a febbraio 2012. Un fuggi fuggi che sta vivendo una profonda accelerazione dato che secondo la Banca di Spagna a dicembre del 2011 la contrazione dei depositi accusava un calo del "solo" 2 per cento.
Del resto uno scenario di questo tipo, e cioè la disaffezione dei clienti spaventati dalla più grave crisi bancaria che il Paese sta vivendo, era intuibile. È uno dei sintomi più manifesti delle gravi difficoltà economiche. Anche ad Atene le prime avvisaglie della crisi avevano visto le fughe dei clienti dagli sportelli.
Molti analisti già alla fine dello scorso anno avevano individuato in Madrid il nuovo bersaglio degli attacchi speculativi della finanza internazionale. Gli ingredienti del resto c’erano tutti. Una recessione tra le più pesanti in Europa; un deficit che andrà riportato se tutto va bene al 5,3% del Pil dall’8,5% del 2011; un tasso di disoccupazione al 24,4 per cento. Insomma un Paese alle corde che può contare come unico punto di forza su quel debito ancora contenuto al 70% del Pil, ma che tenderà comunque a salire già quest’anno verso quota 80 per cento.
Sofferenze immobiliari a 184 miliardi
E in mezzo a questa debàcle ci sono le banche con le loro fragilità strutturali: in particolare quell’esposizione colossale al settore immobiliare che vale almeno 330 miliardi di euro, un terzo del reddito prodotto ogni anno dall’intero Paese.
Il dato inquietante è che ben più della metà di quei prestiti sono considerati problematici. Un dato enorme, circa 184 miliardi di crediti deteriorati che rischiano di non venire recuperati dalle banche e che pesano come una spada di Damocle sui bilanci degli istituti, in particolare le casse di risparmio locali. Che già in un paio di occasioni sono state costrette a convolare a nozze pena il fallimento. È il caso di Banca Civica finita nelle braccia di Caixabank e prima ancora della Cajas del Mediterraneo soccorsa dal Banco Sabadell. In entrambi i casi a far correre sull’orlo del precipizio le due banche è stato il peso delle sofferenze immobiliari salite al 20% del totale dei crediti erogati.
In fumo già 155 miliardi e altri 100 in arrivo
Il prezzo pagato dalle banche allo sboom immobiliare è costato finora ben 155 miliardi di euro, il 15% del Pil spagnolo. Ma le pulizie di bilancio non sono ancora finite. E il mercato lo sa. Le stime di Barclays Capital ipotizzano che nei prossimi anni i prestiti a rischio nell’immobiliare possano produrre altri 100 miliardi di perdite per il sistema bancario spagnolo. Sommati a quei 155 miliardi di euro di risorse drenate dagli istituti di credito portano a ben 255 miliardi la quantità di denaro bruciata sull’altare della bolla immobiliare di Madrid.
La Spagna preleva 200 miliardi dal rubinetto Bce
Questi i nodi della crisi bancaria più grave che il Paese abbia mai vissuto e che stanno venendo tutti al pettine. E così, vista la gravità della situazione non stupisce che la Spagna sia stato il Paese periferico che più ha attinto ai finanziamenti della Banca centrale europea. Solo con la seconda asta di Francoforte del 29 febbraio scorso l’insieme delle banche spagnole ha ricevuto 147 miliardi di euro di liquidità netta, circa la metà dell’intera erogazione per l’insieme delle banche europee. E se si sommano ai 147 miliardi i 55 miliardi prelevati a fine dicembre 2011 ecco che le banche di Madrid si sono ritrovate con una provvista di oltre 200 miliardi. Segno tangibile della necessità di denaro da parte del sistema. Ora però quei soldi sono in realtà già finiti. Una parte, circa 80 miliardi, è finita ad acquistare Bonos così da far fronte al venir meno della domanda straniera e da tenere sotto controllo (si fa per dire) quello spread che continua a stare stabilmente sopra i 400 punti base sui titoli tedeschi. Ma una quota rilevante ha dovuto rimpinguare i 65 miliardi fuoriusciti dalle casse. E così dopo solo 4 mesi restano disponibili solo una ventina di miliardi. Le munizioni o meglio la liquidità è di fatto già finita per le banche di Spagna. Ma la crisi dell’economia reale è ben lungi dall’essere superata e i suoi effetti collaterali mordono come non mai ai fianchi di un sistema bancario sempre più traballante. Fabio Pavesi