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 2012  aprile 28 Sabato calendario

Al Monte inizia l’era Profumo Mussari: «Addio con rimpianto» - L’assemblea del Monte dei Paschi ieri ha segnato il passaggio di consegne alla pre­sidenza dell’istituto senese tra Giuseppe Mussari e Alessandro Profumo

Al Monte inizia l’era Profumo Mussari: «Addio con rimpianto» - L’assemblea del Monte dei Paschi ieri ha segnato il passaggio di consegne alla pre­sidenza dell’istituto senese tra Giuseppe Mussari e Alessandro Profumo. «Lascio la banca in mani solide e capaci, con qual­che rimpianto ma nessun rimorso». Con queste parole si è congedato il numero uno uscente (che resterà all’Abi).Si ripar­tirà dalla perdita di 4,68 miliardi del 2011 generata da 4,5 miliardi di svalutazioni del goodwill.«Conti deludenti»,ha tuona­to Gabriello Mancini, presidente della Fondazione Mps (scesa al 36,3% dopo aver ceduto le azioni della banca per ri­strutturare il debito), invocando «un nuo­vo piano ».L’ad Fabrizio Viola è già al lavo­ro per evitare l’aumento da 3,2 miliardi chiesto dall’Eba.Per Profumo,a un anno e mezzo dall’addio a Unicredit, è stato il giorno della rentrée. Con un colpo di sce­na: la rinuncia ai compensi. La Borsa lo ha accolto con un rialzo del 7,5% di Mps. *** Alessandro Profumo che diven­ta presidente di Monte dei Paschi non è una personalità di poco rilie­vo nella finanza italiana. Entrato nel ’94 nel vertice del Credito Italia­no, ne diventa ad nel ’97 a soli qua­ranta anni. Qui mette in campo le sue vere competenze manageria­li, acquisite alla dura scuola della McKinsey, innanzi tutto la capaci­t­à di razionalizzare i costi riducen­do il personale e aumentando la produttività. Negli anni seguenti sarà protagonista di due grandi im­prese particolarmente coraggio­se: l’acquisizione nel 2005 della banca bavarese Hvb, di fatto la più grande iniziativa di internaziona­lizzazione dell’economia italiana e nel 2007 la fusione con Capitalia che aiuterà a consolidare dalle fon­damenta il sistema del credito na­zionale. Delle due, al contrario di quanto hanno sostenuto a lungo i nemici di Cesare Geronzi, è la pri­ma operazione quella veramente a rischio e con costi al limite dell’ac­cettabilità. Però dal punto di vista strategico entrambe non manca­no di grande prospettiva. Perché un condottiero con così importanti conquiste dietro alle spalle è stato costretto a dimettersi nell’autunno del 2010?La questio­ne immed­iata su cui è cascato è sta­ta sostanzialmente quella del rifiu­to (meritorio) della distribuzione dei dividendi alle fondazioni socie della sua impresa (Crt e Carivero­na): queste ultime si sono alleate ai tedeschi ben insediati in piazza Cordusio e con l’amorevole accor­do dell’allora governatore Mario Draghi hanno sbaragliato i profu­misti, che contavano su un alleato come Giulio Tremonti e su truppe libiche.Naturalmente si tratta del­l’ «ultima goccia»: basta ricordare l’andamento del titolo che, a fine 2010, era tornato agli stessi valori (rettificati) del Credito italiano del ’97, nonostante gli oltre 6 miliardi di nuove risorse chieste ai soci nel 2009-10. Certo, la crisi del 2008 non può essere imputata ad alcun singolo banchiere. Però c’è modo e modo di arrivare a un redde ratio­nem dei mercati del tipo di quello post crac Lehman Brothers, e quel­lo di Unicredit è particolarmente segnato prima da una serie di erro­ri specificamente da banchiere, poi da quelli altrettanto gravi di uo­mo di sistema. Non si può costrui­re un impero bancario in Baviera, nell’Est europeo e verso l’Asia cen­trale senza avere un’idea di relazio­ni industriali, politiche e finanzia­rie. E senza dotarsi di un’alleanza almeno con entità affini quali sono Mediobanca e Generali. Né, d’al­tra parte, si può inglobare la più po­­litica della banche italiane senza avere un analogo disegno italiano. Invece Profumo si è disegnato uno stravagante profilo pubblico che è la causa principale della sua discesa: da una parte ha ribadito di essere privatamente impegnato a sinistra, andando ripetutamente a votare per le primarie ora per Pro­di ora per Veltroni. Il che è un erro­re: i banchieri, come i preti e i magi­­strati, naturalmente fanno politi­ca, ma dovrebbero evitare di far «vi­ta di partito» (comizi, congressi e primarie). Naturalmente ha sem­pre fatto politica, in prima battuta con Romano Prodi; poi - con tutte le contraddizioni - con Massimo D’Alema; alla fine anche con Tre­monti. I grandi banchieri non pos­sono fare le cose neghittosamen­te, così è la loro figura che si dimi­nuisce. Dovrebbero avere un rap­porto con il potere un po’ più di­stante di quello di altri. Ma quando si impegnano è meglio troppa pre­senza che una falsa assenza. Sono meglio i Bazoli e i Passera che i Pro­fumo. Anche perché gli spazi non restano vuoti, specie se c’è in casa una personalità come Fabrizio Pa­lenzona. Alla fine il bilancio profumiano ci pare negativo ed è difficile pensa­re che possa recuperare un ruolo presiedendo il Monte. Si capisco­no le ragioni dei senesi: serve un uomo per tagliare il personale e su questo l’ex ad di Unicredit può da­re garanzie; serve un uomo per par­lare ad ambienti internazionali e il nostro anche se ben bene ridimen­sionato ha i suoi legami; infine ser­ve una personalità capace di lega­re gli ex comunisti schierati intor­no al governatore toscano Ernesto Rossi ai prodian-debenedettiani oggi all’offensiva (con cruccio sia dei popolari all’Enrico Letta, sia dei dalemiani), e il nostro può fun­zionare. Anche se ciò gli costerà il residuo atteggiamento «io sono di­stante dalla politica-politicante» che voleva mantenere. In questo senso al di là di una psicologica­mente comprensibile voglia di ri­sarcimento, ci si chiede: chi glielo fa fare?