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 2012  aprile 27 Venerdì calendario

Non è da questi particolari che... - Quante volte, di fronte ad un errore puerile, si dice che è stato come sbagliare un calcio di rigore

Non è da questi particolari che... - Quante volte, di fronte ad un errore puerile, si dice che è stato come sbagliare un calcio di rigore. Cosa ci vuole a piazzare un pallone dalla circonferenza di 70 centimetri dentro uno spazio grande 18 metri quadrati, quanto il monolocale di un residence compreso l’angolo cottura? La domanda forse è affiorata sulle labbra di Josè Mourinho, mercoledì sera, inginocchiato al Santiago Bernabeu con l’espressione orante mentre Cristiano Ronaldo e Ricardo Kakà lo tradivano nel più perverso dei modi e Sergio Ramos completava l’opera di escludere il Real Madrid dalla finale di Champions. Mourinho l’ha poi girata in “machismo”: «I rigori li sbagliano quelli che hanno gli attributi per tirarli». Che è anche un’accusa a quanti si sono tirati indietro: se nella cinquina è entrato Ramos, che in carriera aveva calciato un solo penalty, è chiaro che qualche suo compagno ha marcato visita, schiacciato dalla responsabilità. Ronaldo e Kakà sono specialisti dagli 11 metri. Come Messi, che martedì sera ha calciato contro la traversa il rigore costato al Barcellona la stessa pena toccata all’odiato Real: incredibilmente fuori dalla finale europea. Oppure come Pirlo che quasi in contemporanea falliva a Cesena la seconda occasione in quattro giorni: palla contro il palo, Juve in affanno per ottenere la vittoria indispensabile a tenere a distanza il Milan. Eppure Ronaldo e Messi sono i goleador più prolifici del mondo, Kakà e Pirlo si spartivano il ruolo in rossonero prima che arrivasse Ronaldinho. Ancelotti ricorda ancora con un sorriso la volta, era il febbraio del 2003, in cui fece alzare Pirlo dalla panchina perché andasse a tirare il rigore della vittoria contro il Modena. Roba da football americano. E’ come se fosse scoppiata in Europa una particolare epidemia che ha colto i più bravi. La realtà è che il rigorista infallibile non esiste. Come non c’è una ricetta per calciarli. «Quando piazzi la palla sul dischetto devi essere convinto che fai gol perché la porta diventa sempre più piccola e il portiere sempre più grande». Parole di Kakà. Ma l’insegnamento del brasiliano nelle sue lezioni di calcio ai Ringo Boys non ha funzionato al momento giusto. «Riccardo non è stato abbastanza freddo: probabilmente non si sentiva tranquillo dopo un paio di errori che aveva commesso durante la partita», chiosa chi lo ha conosciuto nel Milan. La freddezza. L’assenza di pressione e di sensi di colpa. «Bisogna anche un po’ fregarsene», diceva Platini il quale sosteneva di non essere un vero rigorista, anche se nella Juve e nella Nazionale francese li calciava sempre lui e ne sbagliava pochi. «Bisogna dimenticarsi di quanto ti circonda e entrare in una stanza vuota», disse Zola per spiegare come nel momento del rigore il passato e il presente non contano. A lui era capitato di fallire con la Germania all’Europeo . «Mi veniva da ridere: stavo vivendo comunque l’attimo migliore della mia carriera», raccontò Jugovic dopo aver segnato il penalty che diede alla Juve la Champions League dell’96 . Jugovic era uno qualunque, non uno specialista. In certi casi è meglio non esserlo. In altri si sbaglia perché non ci si sente più sicuri delle proprie gambe o si rimastica un’occasione perduta poco prima, come accadde a Shevchenko nella finale di Champions a Istanbul contro il Liverpool. Prima di tirare gli passarono davanti le immagini dell’incredibile rimonta degli inglesi dal 3-0 mentre il Milan aveva già brindato negli spogliatoi dopo il primo tempo. L’ucraino si ricordò dell’occasione sprecata all’ultimo minuto dei supplementari: vide di nuovo davanti a sè Dudek, un polacco in serata magica, l’unica della vita, e sbagliò. Proprio perché il vantaggio sul portiere è gigantesco (lui non dovrebbe muoversi prima che parta il tiro e la palla impiega meno di un terzo di secondo ad arrivare in porta) chi calcia sa che l’errore sarà tutto suo. Di angolazione, di potenza, di altezza nel tiro. Ecco perché dietro allo sbaglio dei grandi rigoristi c’è sempre un momento di malessere fisico o psicologico. A Pasadena nella finale contro il Brasile, Sacchi mandò sul dischetto Baresi e Baggio. Baresi era un miracolato che veniva da un’operazione di menisco rimediata a tempo di record. Baggio l’avevamo seguito nell’ultimo allenamento dell’Italia, sul campo di un «college» californiano: non riusciva a calciare per il dolore, eravamo convinti che non avrebbe neppure giocato. Coinvolgerli in quell’ultima fatica al tiro fu un azzardo sballato. Tutti sbagliano. Di Maradona si ricordano 3 errori negli anni italiani: due li commise nel giro di pochi mesi contro lo stesso portiere, lo jugoslavo Ivkovic. Si erano trovati uno contro l’altro nel settembre dell’89: Diego nel Napoli, l’altro nello Sporting Lisbona, eliminatoria di Coppa Uefa. Ai rigori Ivkovic lanciò la sfida: «Se paro mi dai 100 dollari, altrimenti pago io». Maradona sbagliò e quando nel giugno del ’90 si ritrovarono in Argentina-Jugoslavia, ottavi dei Mondiali ’90, Diego fallì ancora, stregato dal ricordo. In entrambe le occasioni la bravura dei suoi compagni lo assolse: Napoli e Argentina andarono avanti e degli errori di Maradona ci si ricorda sorridendo. Come non succederà più al Real e al Barça .