Irene Guetta, Libero 1/5/2012, 1 maggio 2012
IL LIBRO CHE SPIEGA L’AMERICA DISTRUGGENDO I LUOGHI COMUNI
John Brown fu davvero l’eroe americano della causa antischiavista che ora giace indimenticato nella tomba là nel pian, come ci insegna la canzoncina? In realtà John Brown fu un macellaio a capo di una banda di fanatici, capace di trascinare cinque padri di famiglia fuori dalle loro case e di farli a pezzi davanti a mogli e figli. Le cinque famiglie non possedevano schiavi, ma erano colpevoli di essere politicamente schierate con la parte avversa e pertanto dovettero fare da esempio cruento.
L’eroe Brown fu catturato da gente comune durante un raid in un’armeria, una tappa di rifornimento che lui considerava il primo capitolo di un’insurrezione, e le picche di ferro con cui era armato – dopo l’impiccagione e la sepoltura là nel pian – furono esibite in un giro degli stati del sud, tanto per dimostrare che cosa avevano in serbo per i loro nemici i paladini dei diritti civili. E Abramo Lincoln, il presidente la cui statua colossale di marmo siede al centro di Washington a eterno ricordo della lotta dei nordisti contro il sud che teneva i neri in catene? Ecco una citazione presa dalla sua campagna elettorale, lunga ma ne vale la pena: «Non sono – né sono mai stato – in alcun modo a favore dell’uguaglianza sociale e politica tra la razza bianca e quella nera; e non sono – né sono mai stato – favorevole a dare ai neri la possibilità di votare o di fare i giurati, né a permettere loro di ricoprire cariche pubbliche, né d’imparentarsi con persone bianche». Non male vero per una delle menti politiche più illustri d’America?
E sentite questa, in cui Abe s’inerpica sulla questione pericolosa della differenza biologica, sembra di ascoltare Adolf Hitler seduto in birreria a Monaco: «E dirò in aggiunta che c’è una differenza biologica tra la razza bianca e quella nera che, credo, impedirà sempre alle due razze di vivere insieme sulla base di un’uguaglianza politica e sociale. E se non possono vivere così, fintanto che rimangono insieme, dovranno sussistere una posizione di superiorità e una d’inferiorità, ed io sono, come chiunque altro, favorevole ad assegnare la posizione di superiorità alla razza bianca».
E che dire di Franklin Delano Roosevelt, il presidente ottimista che fece ripartire il motore economico dell’America dopo il disastro del ’29? In realtà il New Deal fu la formula astratta di un apprendista stregone che ostacolò la ripresa, invece che favorirla. La diminuzione dell’offerta, credeva per esempio Roosevelt, avrebbe alzato i prezzi dei prodotti agricoli: e per raggiungere questo scopo la sua amministrazione nel 1933 ordinò di abbattere sei milioni di maiali e di distruggere dieci milioni di acri di cotone.
In realtà, secondo i dati del Dipartimento per l’agricoltura (che aveva suddiviso il fabbisogno alimentare degli americani in quattro categorie: generoso, moderato, minimo e di emergenza, cioè al di sotto della sussistenza) l’America non stava producendo abbastanza cibo nemmeno per sostenere la sua popolazione al livello minimo, cioè quello di sussistenza. Eppure Roosevelt, preso dalle tabelle e dai suoi esperimenti economici, si chiedeva scandalizzato: «Vogliamo sul serio che il governo federale rinunci a regolamentare la crescita delle coltivazioni, tornando giusto al vecchio principio in base al quale ogni contadino è nella sua fattoria il padrone e può fare quello che desidera, far crescere qualunque cosa, quando vuole, nella quantità che vuole, per poi venderla quando vuole?».
Sono tre capitoli presi dalla Guida politicamente scorretta alla storia degli Stati Uniti d’America (D’Ettoris editore, pp. 348, euro, con un «Invito alla lettura» di Marco Respinti), scritta da Thomas E. Woods Jr. (politicamente scorretta, ed è così che cercavamo una guida, come pure altre nella stessa collana editoriale, altrimenti sarebbe ben misera cosa e non ci alzeremmo nemmeno dal letto per andarla a comprare).
Il saggio di Woods è un fallo a gamba tesa contro la «sindrome americana» degli italiani, ovvero contro la convinzione inspiegabile che noi al di qua dell’Atlantico si conosca davvero gli Stati Uniti, perché sono così trasparenti, così ingenui, così facili da riassumere. La sindrome potrebbe essere spiegata così: gli Stati Uniti sono un paese facile da raccontare, male (la sindrome è anche responsabile di alcune tragedie giornalistiche fra i corrispondenti italiani, ma qui non si vuole deviare troppo dal tema: diciamo semplicemente con sicurezza che su Raitre non sentirete mai citare Lincoln nella sua appassionata difesa della superiorità biologica dei bianchi o la teoria di mercato del democratico Roosevelt, per cui per sfamare i contadini lo stato ha facoltà di distruggerne i campi).
Così si passa per McCarthy, che non era quell’imbecille a caccia di streghe che vi hanno raccontato: i comunisti c’erano davvero, e per gli anni Ottanta cosiddetti «materialisti», che furono in realtà il decennio in cui le donazioni di carità e la beneficenza aumentarono come non era mai successo prima. Dove la Guida rende un servizio più utile è, naturalmente, nei capitoli che si avvicinano ai nostri giorni: Bill Clinton, l’assistenza sanitaria, la guerra nei Balani, Monica Lewinsky e il Sudan. Ma non si può raccontare tutto in una recensione.
Irene Guetta