f. g., Il Sole 24 Ore 29/4/2012, 29 aprile 2012
CHE SUCCEDE AI TITOLI SE LA BANCA FALLISCE?
Gentilissimi, leggo con una certa regolarità il vostro giornale perché lo trovo concreto. Per questo mi rivolgo a voi per una domanda che, ad oggi, ha trovato soltanto risposte vaghe.
La domanda è la seguente: acquisto, tramite la mia banca, titoli che non sono prodotti della banca stessa, ad esempio azioni di aziende italiane, o anche estere. Nel caso in cui la mia banca dovesse fallire o, peggio, l’Italia, come Stato, dovesse andare in default, mi verrebbe a mancare l’intermediario per poter mettere in vendita le mie azioni. Cosa posso o debbo fare in questi due casi per vendere le mie azioni? Vi ringrazio anticipatamente per la cortese attenzione. Cordiali saluti
Domenico Carabelli
Caro Carabelli,
la sua domanda richiama alla mente antiche paure. Mi ricordo a Roma, a fine 2008, in coda alla cassa del supermercato, quando la gente ansiosa e in attesa si scambiava timori: devo ritirare i soldi in banca? Devo rinnovare i BoT? Allora la crisi finanziaria, che di lì a poco sarebbe sfociata nella Grande recessione, colpiva duro, le banche avevano addirittura timori a prestarsi i soldi l’un l’altra, foss’anche per una notte, i prezzi di azioni e obbligazioni crollavano e in tutto il mondo - non solo in Italia - stridevano i freni del ciclo economico.
Come sappiamo, la recessione c’è stata e molti hanno perso i soldi, ma la maggior parte delle paure sono rientrate. I depositi bancari sono ancora lì, i BoT sono sempre stati regolarmente rimborsati e i soldi persi sono quelli che fanno parte del normale rischio di mercato: sono calate azioni e obbligazioni, qualche società è andata fallita e, ciò che è più grave, la disoccupazione è aumentata e gli stipendi sono rimasti al palo.
Ma tutto ciò è diverso dal timore evocato del lettore Carabelli. Se la banca dove sono custoditi i suoi titoli dovesse fallire, non succederà niente di brutto a quei titoli. Se un banca fallisce ci sono due vie: o viene messa in liquidazione, oppure viene comprata da un’altra banca. Nei due casi, o il liquidatore o la banca acquirente si faranno carico dei bisogni dei clienti. I depositi sono garantiti dallo Stato e i titoli saranno sempre là ad aspettare il padrone. L’interesse del Paese a un ordinato funzionamento del mercato finanziario è troppo grande e troppo cruciale per pensare a soluzioni diverse.
Sì, ma - dice Carabelli - se anche lo Stato dovesse fallire? Anche qui, non c’è da temere, e il caso della Grecia insegna: lo Stato greco non è tecnicamente fallito, ma ha dovuto sottostare a un accordo "volontario" con i detentori dei titoli greci con un taglio massiccio del valore capitale del debito. Insomma, anche se uno Stato fallisce le sue infrastrutture finanziarie, in un modo o nell’altro, lavorano ancora. Le banche greche sono lì, hanno sopportato la perdita su quanto detenevano per conto dei clienti (e anche per conto proprio, ma questa è un’altra questione) e continuano a servire i bisogni finanziari dei clienti.
Molti risparmiatori italiani furono scottati dai BoT argentini. L’Argentina andò tecnicamente in fallimento, e qualche banca andò a gambe all’aria, ma se gli argentini o gli stranieri persero i soldi era perché lo Stato era fallito, non perché non si sapeva più dove fossero i titoli. L’infrastruttura, ho già detto, continuò a funzionare.