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 2012  maggio 01 Martedì calendario

PALERMO LE CIFRE DI UN CRACK ANNUNCIATO

Le stanno inventando tutte pur di occultare la voragine finanziaria del Comune di Palermo e dei suoi 20mila dipendenti diretti e indiretti. Le giunte di centro-destra che hanno governato la città tra il 2002 e il 2011 hanno fatto carte false per nascondere il bubbone. Ma lo stato dei conti va sempre più aggravandosi. Il crack è ormai uno scenario plausibile.
C’è stato un lungo periodo della passata legislatura in cui l’ex sindaco, Diego Cammarata, ha trascorso più tempo a Roma, a batter cassa a Palazzo Chigi, che a Palermo, a partecipare ai lavori del consiglio comunale. La Sicilia rappresentava per il Pdl un serbatoio strategico di voti (oggi le cose stanno cambiando) e appena il bilancio del Comune ha cominciato a scricchiolare il governo è corso in aiuto della giunta. In più occasioni Silvio Berlusconi ha sbloccato fondi del Cipe e firmato cambiali in bianco per Palermo, come gli 80 milioni bruciati a fine 2008 nella ricapitalizzazione dell’Amia, l’azienda dei rifiuti; o come i 90 milioni trasferiti in due tranche a un’altra fabbrica di perdite, la Gesip. Cammarata del resto aveva svolto bene i suoi compiti: aveva assunto a tempo indeterminato migliaia di precari, che formano l’ossatura dell’apparato clientelare del Comune, e aveva distribuito favori, prebende e consulenze agli amici della maggioranza. Non poteva essere lasciato solo.
La situazione è precipitata con le dimissioni di Berlusconi. Venendogli a mancare il paracadute del governo, a Cammarata non è rimasto che darsela a gambe e lasciare la città in braghe di tela. Da gennaio, nella sede municipale di Palazzo delle Aquile siede un commissario straordinario, l’ex prefetto di Vibo Valentia Luisa Latella, che non comunica con la stampa.
Nella forma, il bilancio del Comune appare sano, con un avanzo d’amministrazione, debiti in calo, nessuna anticipazione di cassa, nessun derivato. La sostanza, però, è completamente diversa. Intanto non è chiaro se le entrate e le spese correnti (784 milioni) siano correttamente valutate. C’è chi sostiene, per esempio, che le entrate tributarie ed extra-tributarie siano sovrastimate di un centinaio di milioni. Ad alimentare il dubbio è il valore dei residui attivi, crediti accertati ma non riscossi per 1,4 miliardi – una somma pari a circa il doppio del bilancio – e non si sa in che misura esigibili.
Il problema vero, però, sono i debiti finanziari e di funzionamento delle partecipate: 500 milioni; che si aggiungono ai 100 di entrate fittizie. Se il Comune redigesse fin da subito il bilancio consolidato (obbligo che entrerà comunque in vigore nel 2014) e sommasse al proprio indebitamento quello del sistema delle partecipate, chiuderebbe l’esercizio con un "buco" di proporzioni gigantesche, intorno ai 600 milioni. È questo l’ordine di grandezza del dissesto.
Le aziende controllate e collegate sono la zavorra che sta portando a fondo la barca comunale. Alcune chiudono in utile (i dati sono tutti al 31 dicembre 2010). L’Amap, che distribuisce l’acqua, presenta un risultato netto di 3,7 milioni a fronte di un valore della produzione di 97 milioni. Il suo patrimonio netto è di 33,3 milioni contro un indebitamento totale di poco superiore a 100 . I crediti verso i clienti sfiorano i 112 milioni al netto di svalutazioni per 29 milioni.
È in utile, ma per appena 106mila euro, anche l’Amg, che distribuisce il gas. La società è ben capitalizzata: 117 milioni di patrimonio netto contro 35 di debiti. Risente, però, del calo del valore della produzione, a 34,5 milioni.
Chiude con 342mila euro di utile la Sispi. La società per l’informatica ha un valore della produzione di quasi 9 milioni, un patrimonio netto che sfiora i 3 milioni e debiti totali per circa 9, di cui oltre 4 di esposizione bancaria.
La Gesap, invece, che gestisce l’aeroporto di Punta Raisi, registra per il quarto anno consecutivo una lieve perdita (137mila euro nel 2010), ma ha un patrimonio netto di 40,5 milioni accanto a un’esposizione di 38 milioni, sia pure in aumento. È appesantita da una massa di consulenze affidate con i soliti criteri clientelari-amicali. Il suo valore della produzione sfiora i 43 milioni.
Veniamo ora ai casi disperati. Del disastro del gruppo Amia, che opera nella raccolta dei rifiuti e occupa 2.463 dipendenti, abbiamo dato ampiamente conto (vedi Il Sole-24 Ore del 6 aprile 2012 e l’articolo in basso). La società, in amministrazione straordinaria dal 2010, ha un patrimonio netto negativo di 55 milioni, un margine operativo lordo negativo e una perdita prevista a fine 2011 di oltre 15 milioni. Dopo la dichiarazione d’insolvenza non s’è più riavuta. Il Comune-azionista contesta peraltro ai commissari governativi la non correttezza del bilancio dell’Amia, sollevando questioni che potrebbero avere rilevanza penale.
C’è poi la Gesip con i suoi 1.900 dipendenti (di cui un terzo ex detenuti) che dovrebbero occuparsi della manutenzione di aiuole e asili, della pulizia di impianti sportivi ed edifici comunali, oltre che di trasporto dei disabili. La Gesip ha tassi di assenteismo spaventosi ed è una bomba sociale. Il suo patrimonio netto è negativo. La società non ha mai generato utili: è fallita, e le iniezioni di denaro pubblico dell’era Berlusconi hanno avuto il solo risultato di allungarne l’agonia.
Grave è anche la situazione dell’Amat, un modello di inefficienza. L’azienda dei trasporti pubblici di Palermo, che dà lavoro ad altre 1.900 persone, ha chiuso il 2010 con un valore della produzione di 109 milioni e con costi pressoché identici (inferiori di appena 37mila euro). La spesa per il personale supera i 76 milioni. Gli 82,5 milioni di patrimonio netto si contrappongono ai 117 di indebitamento, tra cui 42 milioni di esposizione bancaria, 49 di debiti verso fornitori e 18 di debiti tributari. In compenso l’Amat vanta un «credito verso controllanti», per la maggior parte nei confronti del Comune, di 170 milioni.
Il sistema delle partecipate ha ricevuto dal Comune, con i contratti di servizio, 309 milioni solo nel 2010 e circa 1,1 miliardi nel quadriennio 2007-2010: una quota assai rilevante di spesa corrente distrutta in attività che non hanno generato ricchezza.
Non meno preoccupante è il capitolo dei trasferimenti correnti: 460 milioni attesi nel 2012 contro i 574 dell’anno precedente. I trasferimenti statali sono previsti in calo di 104 milioni, mentre quelli regionali dovrebbero ridursi di appena 10, ma la previsione è quanto mai ottimistica, perché la Regione siciliana ha abbattuto il suo fondo per le autonomie locali e alla fine dell’anno il taglio potrebbe essere più consistente. Per contro le entrate tributarie sono stimate in aumento di 72 milioni e quelle extratributarie di 10 milioni. Morale: il gettito atteso da addizionale Irpef e Imu (la nuova imposta sulla casa) non basterà a compensare la caduta dei trasferimenti. Non parliamo della spesa per investimenti, poco meno di 68 milioni, una miseria. Ci vorrebbe altro per finanziare lo sviluppo della quinta città d’Italia per numero di abitanti.
Accanto ai debiti ufficiali, poi, il Comune ha un ingente ammontare di debiti fuori bilancio: spese occulte, non contemplate nel bilancio di previsione approvato dal consiglio comunale, che rappresentano la piaga degli enti locali. Totò Orlando, di Italia dei Valori, ha calcolato che la prima giunta Cammarata (2002-2006) ha contratto 162 milioni di debiti fuori bilancio e la seconda (2007-2011) 130 milioni: una massa di denaro sottratta a qualsiasi controllo. Portare il dissesto alla luce del sole sarebbe un atto di trasparenza e di giustizia verso i contribuenti e i palermitani onesti che si ostinano a credere, nonostante tutto, nella possibilità di un cambiamento.