Franco Bechis, Libero 1/5/2012, 1 maggio 2012
LA CAMERA COMPRA QUADRI E POI LI NASCONDE
Ne aveva così tante che nemmeno riusciva ad esporle, e quando Vittorio Sgarbi fece un giro nei magazzini di Montecitorio scoprì che erano pieni di opere d’arte di grande valore, mentre nei corridoi del palazzo erano quasi sempre esposte croste di nessun valore. La Camera dei deputati ha più opere di un museo, e solo poche sono visibili nei luoghi di più classica rappresentanza. Fra dipinti, sculture, tappeti, arazzi, disegni, reperti archeologici, busti e varie amenità il palazzo degli onorevoli ha circa 4.700 pezzi da museo. Di questi 554 sono prestati da terzi (spesso sono i pezzi più pregiati), il resto è nello stato patrimoniale dei deputati. Che se ne fanno poco: ci volle appunto Sgarbi per fare mettere in mostra almeno le opere più rilevanti. Ma la maggiore parte restano nascoste. Pezzi di valore, che si potrebbero offrire a musei pubblici o anche mettere all’asta per provare a ridurre anche così un po’ di spese del principale palazzo della politica. E invece accade il contrario: ogni anno la Camera acquista altre opere. Più o meno di valore. Da quando è arrivato alla presidenza Gianfranco Fini il palazzo simbolo della politica è sembrato la succursale di Christie’s o di Sotheby. La collezione d’arte è aumentata di 127 pezzi di proprietà: dipinti, sculture, disegni, stampe, incisioni, tappeti di valore e reperti archeologici (qualcuno trovato durante gli scavi che a Roma non mancano nemmeno a Montecitorio). Fra le fatture del 2011 che l’amministrazione della Camera ha dovuto rendere pubbliche secondo regolamento c’è l’ultimo acquisto deciso da chi guida il palazzo. Un assegnino da 5 mila euro staccato dall’amministrazione in favore di Mauro Olivi, nome che non sembra conosciutissimo ai critici d’arte. Non si tratta però di uno di quei giovani artisti su cui da qualche anno la Camera sembrava puntare, anche a rischio di tenere in catalogo opere di scarso valore. Olivi è invece un inquilino ben noto al palazzo: bolognese, classe 1937, vi ha soggiornato per tre legislature, dal 1976 al 1987. Sempre nel vecchio partito comunista, dove aveva fatto carriera come funzionario nella rossa Emilia prima di continuare alla Lega Coop. Il lavoro è potuto continuare in tutta pace, anche perché con quelle tre legislature alle spalle, con le vecchie contestatissime regole, Olivi poteva contare ogni mese sul comodo salvagente di un vitalizio da 4.277 euro. Maturata la relativa tranquillità economica, l’ex deputato comunista ha potuto dedicarsi ai suoi hobby preferiti. Il primo era proprio la scultura, con cui vinse nel 2007 la sezione arte di una memorabile edizione del premio Agape nel castello di San Gaudenzio di Cervesina. L’«onorevole Olivi» fu scelto come scultore dell’anno, «la dottoressa Antonia Matarrese» come giornalista dell’anno e il «cavaliere Pippo Franco» come uomo di spettacolo dell’anno. Un premio così deve avere certo fatto lievitare le quotazioni dello scultore rosso. Che prima di cedere la sua opera d’arte alla Camera dei deputati, aveva però provato a cimentarsi in altro campo delle arti. Proprio lo scorso anno Olivi si è scoperto scrittore e per i tipi delle Edizioni Pendragon ha dato alle stampe un presentatissimo e recensitissimo «Il comunista che mangiava le farfalle». Titolo che lascerebbe interdetti senza adeguata spiegazione: quelle farfalle furono inghiottite senza nemmeno una smorfia una sera dal comunista Olivi, durante un comizio sotto i riflettori che avevano portato un nugolo di falene sul palco. Lui non voleva fermare la sua vis oratoria, e scelse di inghiottire falena dopo falena.
Olivi e giovani artisti a parte, nella collezione d’arte di Montecitorio ci sono opere anche molto note che attraversano i secoli: si va da una Madonna di Luca Giordano a una tela attribuita a Jacopo Tintoretto, fino alle Nozze di Caana di Paolo Veronese e Benedetto Calliari. Nutrito anche il portafoglio di opere d’arte del Novecento e contemporanea: sui va dai Renato Guttuso a Giorgio De Chirico, Giorgio Morandi, Aligi Sassu, Mario Sironi, Carlo Carrà, Giacomo Manzù, Franco Gentilini, Marino Mazzacurati, Mario Mafai, fino a una vera e propria chicca: il ritratto di un giovane scrittore della surrealista argentina Leonor Fini, che portava lo stesso cognome dell’attuale presidente della Camera (ma non risultano parentele nemmeno lontane). Ora nel museo di Fini svetterà anche l’opera del comunista che mangiava le falene…
Franco Bechis