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 2012  maggio 01 Martedì calendario

LA SFIDA DELLO STATO PER IL RISANATORE DEI GRANDI GRUPPI

Enrico Bondi commissario per l’emergenza lo è da sempre. Gli ultimi vent’anni lo hanno visto a capo di gruppi in difficoltà che ha tirato fuori dal guado. Il controllo maniacale dei costi è sempre stata la sua specialità. Ora, all’età di 78 anni, dovrà applicare il suo metodo alla spending review, per tagliare e razionalizzare gli acquisti di beni e servizi della pubblica amministrazione. Dice: «Ho avuto una grandissima apertura di credito, una fiducia che devo ripagare con azioni. Cercherò di essere incisivo. Sono stato portato in una struttura che ritengo vincente per il risanamento del paese. Farò del mio meglio». Non chiede un soldo per l’incarico di un anno. Il governo vorrebbe riconoscergli un compenso o un rimborso spese di 150mila euro lordi.
Laurea in chimica, ricercatore alla Montecatini, è alla Fiat che si afferma come top manager. Tra il 1990 e il ’93 è responsabile del raggruppamento difesa e spazio del gruppo torinese, e quando nell’estate ’93 Montedison è prossima alla bancarotta è a lui che si rivolge Mediobanca per affidargli il comando del secondo gruppo privato del Paese. Alla Montedison Bondi impone una cura dimagrante grazie alla conversione dei crediti in azioni e alla ristrutturazione del debito accordatagli dalle banche. Vende centinaia di società, dismette la chimica e individua nell’energia la nuova missione di Montedison.
Poi nel 2001 Edf e Fiat scalano il gruppo. Bondi è dato in partenza per Arezzo, sua città natale. Invece, il colpo di scena: Marco Tronchetti Provera lo designa al vertice di Telecom appena dopo l’Opa di Pirelli sul gigante telefonico. Bondi resta lì il tempo necessario a Tronchetti di insediarsi nel consiglio d’amministrazione. Ma non fa a tempo ad andarsene che è già in Premafin e in Fondiaria-Sai, le società di Ligresti, le cui vicende si sono intrecciate appena qualche mese prima con quelle di Montedison. E dopo Ligresti, ancora su richiesta di Mediobanca, corre in soccorso del gruppo siderurgico di Luigi Lucchini, presidente della stessa Montedison negli anni in cui Bondi ne è stato l’amministratore delegato.
A fine 2003, la mission impossible: Parmalat. Se i debiti di Montedison erano 31.500 miliardi di lire, il "buco" di Collecchio vale 13,5 miliardi di euro. Sono cifre da capogiro. Ma Bondi non è tipo da perdersi d’animo. Fisico asciutto, primo ad entrare ultimo ad uscire dall’azienda, pranzi e cene frugali, niente auto di rappresentanza, low profile negli affari come nella vita, il commissario straordinario e amministratore delegato di Parmalat ha più l’aria di un monaco buddista che del manager rampante. E alla Parmalat mette sotto accusa il gotha del sistema bancario. Tra azioni revocatorie e risarcitorie, riuscirà a farsi restituire oltre 2 miliardi. Quando nel 2011 la francese Lactalis scala Parmalat, Collecchio galleggia nella liquidità. Una breve sosta al San Raffaele come consulente e ora rieccolo a proseguire l’opera avviata dal ministro dei Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda. Rimarrà comunque commissario straordinario della vecchia Parmalat, per portarne a termine la liquidazione e concludere il lavoro cominciato nove anni fa.