Alessandro Giorgiutti, Libero 1/5/2012, 1 maggio 2012
«UNA VERA LOTTA AGLI SPRECHI VALE 100 MILIARDI L’ANNO»
Professor Luca Ricolfi, sociologo e censore intransigente degli sprechi pubblici, quanti risparmi dovrebbe produrre la spending review per non essere considerate un’operazione deludente?
«Per me, più che l’entità, conta la destinazione. Fatto 100 l’ammontare dei tagli di spesa che si riusciranno ad effettuare, mi piacerebbe sapere in quali quote i proventi saranno destinati: a) a tappare nuovi buchi del bilancio, per raggiungere il “quasi pareggio”nel 2013; b) ad evitare ulteriori aumenti dell’Iva; c) ad alleggerire i contributi sociali; d) ad alleggerire Irap e Ires. L’ideale sarebbe destinare tutto agli ultimi due obiettivi, e nulla ai primi due. Ma non voglio sfuggire alla domanda. Quanto si dovrebbe tagliare, su base annua? Facciamo due calcoli. In teoria, sprecando di meno, la spesa pubblica extrapensionistica può essere ridotta di 100 miliardi a parità di output. Poiché non possiamo diventare tutti scandinavi, potremmo darci un obiettivo meno ambizioso, diciamo di tagliare la metà del tagliabile (50 miliardi su 100)nontutti inun colpo ma prendendoci 5 anni di tempo. Fa 50 miliardi, circa 3 punti di Pil, che spalmati su 5 anni diventano 10 miliardi l’anno. Questo mi parrebbe soddisfacente».
Lei dice: sprecando meno. Ma dal ministero del Tesoro si fa capire che per fare davvero tagli consistenti bisognerebbe ridurre le prestazioni sociali del nostro Welfare in settori delicati come la scuola e la sanità...
«C’è un certo razzismo, a mio parere, nella tesi secondo cui non si può fare sanità, assistenza o scuola a livelli di efficienza significativamente maggiori di quelli attuali. Io non riesco a credere che il popolo meridionale soffra di tare genetiche che gli impediscono di fare molto meglio di oggi, se non altro perché vedo che molte efficienti istituzioni del Nord funzionano anche grazie all’apporto di persone nate e vissute nel Sud d’Italia. Se non vogliamo fare del razzismo antimeridionale dobbiamo ammettere che un asilo a Napoli può benissimo funzionare come un asilo a Reggio Emilia, con gli stessi costi e i medesimi risultati. Chi dice che la spesa pubblica è incomprimibile pare pensare esattamente il contrario, e cioè che ci siano territori e popolazioni condannate a un’inefficienza eterna».
Qual è il metodo che lei usa per calcolare inefficienze e sprechi?
«È lo stesso che usano quasi tutti gli studiosi che si occupano di misurare l’efficienza della Pubblica Amministrazione: si individuano le organizzazioni e/o i territori più efficienti (le cosiddette migliori pratiche, o best practices), si analizzano gli ingredienti e i costi con cui operano, e si calcola quanto potrebbero risparmiare le amministrazioni meno efficienti se solo adottassero i metodi di quelle che funzionano meglio. Il punto cruciale è che noi non pretendiamo di stabilire quanto si risparmierebbe se si adottasse la migliore organizzazione produttiva possibile in assoluto, ma solo quanto si risparmierebbe se si copiassero metodi di erogazione dei servizi già messi in atto da qualcun altro in Italia».
Lei ha fatto recentemente notare che le inefficienze pubbliche sono diverse da regione e regione. È la distinzione tra Nord virtuoso e Sud sprecone o va fatta un’analisi più raffinata?
«Va fatta un’analisi più fine, perché esistono importanti eccezioni positive al Sud e negative al Nord. Però, purtroppo, il quadro generale è quello che ho delineato, con una graduatoria di efficienza che vede in testa Lombardia, Triveneto, Emilia Romagna e Toscana, e in coda le tre regioni ad alta intensità mafiosa, ovvero Calabria, Sicilia e Campania (con importanti eccezioni all’interno di quest’ultima)».
Senza un approccio «federalista» la spending review è inutile?
«Può addirittura essere dannosa, perché alcuni territori del centro-nord hanno già fatto molto, e hanno margini di miglioramento molto ridotti. La lotta agli sprechi va condotta innanzitutto là dove gli sprechi sono così ampi da rendere facili e praticabili le riorganizzazioni».
Un punto non secondario, cui lei accennava all’inizio: come dovrebbero essere impiegati i soldi risparmiati?
«Aliquote più basse su imprese grandi e piccole, perché solo così possiamo pensare di bloccare la distruzione di posti di lavoro che questo governo sta provocando con l’aumento della pressione fiscale».
Un governo tecnico e di «emergenza» sembrava essere l’unica possibilità per incidere sulla spesa. Se fallirà anche Monti, di tagli non se ne parlerà più?
«Penso che di tagli ne vedremo pochi con qualsiasi governo. Posso sbagliarmi (anzi: spero di sbagliarmi), ma a me pare che la politica – non solo in Italia – sia così debole e impaurita che solo la crisi potrà incaricarsi di ridurre in modo apprezzabile la spesa pubblica. Detto altrimenti: per capire che dobbiamo tagliare sul serio, dovremo arrivare a una situazione tipo quella della Grecia di oggi. Un’eventualità che potrebbe essere molto vicina, se l’euro dovesse collassare, ma che potrebbe anche richiedere 4, 5 o 6 anni se la nostra agonia dovesse procedere al blando ritmo attuale».
Alessandro Giorgiutti