il Fatto Quotidiano 1/5/2012, 1 maggio 2012
IL PREMIER: “PRONTI A DISCUTERE L’ACCORDO PER TASSARE GLI EVASORI COME GERMANIA E INGHILTERRA”
Mario Monti è pronto a trattare con la Svizzera per tassare i capitali nascosti dagli evasori italiani nei forzieri di Lugano e Ginevra: “Considereremo ex novo l’intera materia”, annuncia ieri sera in conferenza stampa. Come anticipato dal Fatto, il via libera della Commissione europea agli accordi bilaterali di Gran Bretaglia, Germania e Austria con Berna, ha cambiato tutto. Ora si può discuterne, anzi, si sta già trattando, Monti fissa la prima condizione: il rispetto dei trattati sulla tassazione dei lavoratori frontalieri che “il Canton Ticino ha sospeso unilateralmente”. Il negoziato comincia .
“Come Pd presenteremo chiederemo al governo una stima sull’ammontare e la composizione dei capitali italiani in Svizzera, poi servirà con urgenza un accordo bilaterale e un vincolo chiaro per l’utilizzo del gettito ottenuto. Se arrivassero subito 3 miliardi, per esempio, si potrebbero destinare subito a credito di imposta per le imprese che assumono”, spiega Sandro Gozi, deputato del Pd che segue da tempo il dossier dell’accordo fiscale. Nel 2008 la Commissione europea aveva iniziato a ragionare su un accordo comunitario con la Svizzera, per tassare in loco i capitali sottratti al fisco, “ma per cambiare le regole in materia fiscale ci vuole l’unanimità e l’Italia si opponeva, formalmente Giulio Tremonti chiedeva un accordo più duro, ma in pratica ha bloccato i negoziati”, ricorda Gozi.
La Commissione aveva comunque fatto alcuni conti: la metà dei capitali depositati in Svizzera, 3.300 miliardi, sarebbe di origine straniera: 180 miliardi tedeschi, 120-150 italiani, 70 inglesi. A metà 2011 Gran Bretagna e Germania, vista la paralisi della normativa comunitaria e la necessità di fare cassa, stipulano un accordo bilaterale con la Svizzera. La Commissione all’inizio è scettica poi, dopo alcune modifiche, concede formalmente il via libera a metà aprile. Nel frattempo all’elenco si è aggiunta anche l’Austria.
Gli effetti si sentiranno dal 2013, quando entrano in vigore gli accordi. “Germania e Gran Bretagna hanno concordato che Berna paghi subito un acconto sulle somme che riscuoterà dalle banche, per l’Italia potrebbe essere oltre un miliardo di euro”, stima Gozi.
DA QUANDO è caduto il veto di Bruxelles, evasori, consulenti, avvocati e banchieri stanno studiando la documentazione ufficiale per capire cosa li aspetta. Questi accordi si compongono di due parti: la prima è una sanatoria del passato, la seconda una tassa annuale sui redditi prodotti dalle attività detenute in Svizzera. Dal primo gennaio 2013, un tedesco o un inglese che hanno un conto a Lugano avranno tre scelte. La prima: chiudere il conto e trasferire i capitali in un altro paradiso fiscale (le autorità elvetiche faranno di tutto per scoraggiare questa opzione). Seconda scelta: il correntista dichiara per iscritto alla banca di voler uscire allo scoperto , la banca poi informa il governo svizzero che informa il Paese di appartenenza che poi si rifarà sul malcapitato correntista facendogli pagare sanzioni, penali e tasse non pagate per tutti gli anni passati (ovviamente questa ipotesi è concepita in modo così poco allettante da non spingere nessuno a sceglierla). Terza opzione, quella che tutte le parti interessate caldeggiano: il pagamento anonimo della tassa. La banca verifica la nazionalità del beneficiario delle attività che detiene (anche se si tratta di un trust o di altri tipi di schermi giuridici), poi preleva dal conto la penale prevista dalle formule contenute negli accordi bilaterali – tra il 21 e il 41 per cento per i tedeschi, tra il 19 e il 34 per gli inglesi, tra il 15 e il 38 per gli austriaci – e versa la somma al governo di Berna che, a sua volta, la passerà allo Stato interessato. In teoria tutto questo sarebbe già previsto dalla direttiva 2003/48, in vigore dal 2005, ma non ha mai funzionato: la Svizzera si impegnava ad applicare una ritenuta del 35 per cento sui rendimenti maturati nei suoi confini da cittadini dell’Unione europea, poi versava il 75 per cento del gettito ai Paesi di competenza. Le somme raccolte sono state ridicole, perché era troppo facile aggirare i vincoli. Per questo sono arrivati gli accordi bilaterali. Dopo la sanatoria sul passato, un
condono fiscale molto costoso (l’aliquota chiesta da Tremonti agli evasori che usavano lo scudo fiscale per rimpatriare denaro era solo del 5 per cento, qui sui grossi capitali si arriva al 40) in teoria non dovrebbero più esserci situazioni ambigue: chi non è uscito allo scoperto o non ha chiuso il conto fuggendo a Saint Lucia o alle isole del Canale sarà noto al governo e, di fatto, al Paese di provenienza che sa quale gettito aspettarsi. Nella fase due, dopo la “regolarizzazione”, al dentista o al piccolo imprenditore italiano che ha il conto a Lugano resteranno due alternative: o emerge allo scoperto o, se vuole mantenere l’anonimato, paga un’aliquota sui rendimenti ottenuti dalle attività che è abbastanza salata: 26,375 per i tedeschi, tra il 27 e il 48 per gli inglesi , 25 per gli austriaci. “Proteggere la privacy dei clienti delle banche è e rimarrà uno dei pilastri del settore finanziario svizzero. L’accordo rispetta questo impegno: solo i pagamenti delle tasse saranno trasmessi alle autorità fiscali, non i nomi dei clienti”, rassicura la documentazione del governo di Berna. Ma è chiaro che uno dei principali benefici della segretezza, cioè l’elusione fiscale, sarà caduto. Stefano Feltri • IL CONSULENTE: I FURBI DI PROFESSIONE HANNO GIÀ SPOSTATO I SOLDI IN ASIA
di Giovanna Lantini
Milano
Tutte le strade alternative mi sembrano sbarrate”. Mario Rossi, fiscalista di un importante studio tributario attivo sul territorio nazionale che ha chiesto l’anonimato, risponde alla nostra telefonata ancora immerso nei suoi ragionamenti sui risvolti degli ultimi accordi bilaterali siglati dalla Svizzera.
LA CATEGORIA, che ancora attende lumi sullo scudo-bis, è infatti in gran fermento e vuole vederci chiaro per essere pronta a rispondere alle domande dei clienti nell’eventualità che anche l’Italia si decida a percorrere la strada di un’intesa che, secondo le stime, potrebbe portare nelle casse dello Stato fino a 50 miliardi di euro prelevati dai capitali svizzeri dei nostri concittadini. Senza lasciare grandi vie di fuga agli evasori che hanno scelto i forzieri della Confederazione elvetica che, nel caso italiano, dopo l’ultimo scudo, appartengono principalmente a tre categorie. “Chi è rimasto in Svizzera è lì dagli anni settanta, quando c’è stata l’ondata di trasferimenti di capitali oltreconfine per motivi diciamo politici, cioè per mettere i propri soldi in un posto sicuro e vicino casomai succedesse qualcosa in Italia – ricorda l’esperto –. Poi c’è chi temeva l’anonima sequestri e ha aggirato il congelamento dei beni in caso di rapimento di familiari. Infine, ci sono gli evasori imperterriti, ma questa è gente che si è già spostata altrove, i più in Asia. Chi, invece, voleva riportare i suoi soldi in Italia ha avuto lo scudo e se lo facesse ora non se la passerebbe bene”.
QUANTO al percorso inverso, gli accordi che la Svizzera sta firmando non prevedono l’ingresso di nuovi capitali non dichiarati. Le strade si stanno quindi per chiudere sia in entrata che in uscita. “L’unica alternativa sarebbe andarsene dalla Svizzera, ma dove? Nei vari paradisi fiscali sparsi per il mondo non puoi prevedere con un buon margine di sicurezza che cosa succederà. E comunque andarsene ora non è facile”. Le banche svizzere, infatti, non hanno nessun interesse a perdere i clienti e gli accordi che la Confederazione ha stipulato sono il meno peggio o, a seconda delle prospettive, il meglio che si potesse ottenere per soddisfare tutte le parti. Quindi da una parte chi resta in Svizzera non dovrebbe avere nuovi vantaggi oltre al mantenimento del segreto bancario, né subire un aggravio d’imposta dopo aver sanato e i capitali rimasti continuerebbero a subire una tassazione sui redditi prodotti in loco che dovrebbe essere in linea con quella sugli investimenti all’estero. “Anzi, non sono pochi quelli che temono di più a restare in Italia, dove le nuove tasse sono sempre dietro l’angolo”. Dal canto loro (e a proprio vantaggio) le banche svizzere si sono impegnate a non assistere chi decide di spostare i capitali per non correre rischi: ai clienti suggeriscono di aspettare e pagare e con chi non si lascia convincere fanno resistenza passiva senza offrire vie alternative. Non solo. “Ora sembra che stia prendendo strada la strategia di trattenere in anticipo l’ammontare dell’eventuale una tantum in vista dell’estensione degli accordi ad altri Paesi dell’Unione a chi avvia le pratiche per il trasferimento dei propri capitali altrove”.
INSOMMA, vie di fuga sembrano davvero non essercene. A meno che non ci si metta il governo.
“È chiaro che chiusi gli accordi con Germania, Austria e Gran Bretagna, la Svizzera non offrirà grandi margini agli altri Stati per spuntare di più. Anzi, chi tra i Paesi arriverà dopo, potrebbe ottenere delle condizioni peggiori, quindi all’Italia conviene accelerare. Forse si pensava di ottenere di fare meglio e di più confidando in una maggiore pressione da parte dell’Unione europea. Dimenticando, però, che la Svizzera è un partner troppo importante per l’Europa”. Giovanna Lantini