Giorgio Carbone, Libero 29/4/2012, 29 aprile 2012
GIBSON AL SANGUE (PURE TROPPO)
Tra un mese torna Mel Gibson. Ai primi di giugno esce «Un viaggio in paradiso» (titolo originale, «Get the gringo», vale a dire «Acchiappa il gringo»), thriller di inusitata violenza che dovrebbe riportare il divo australiano ai fasti di un tempo. Un tempo che sembra essersi fermato al 2006 anno del maxisuccesso di «Apocalypto». Dopodiché Mel aveva fatto parlare molto le cronache giudiziarie e poco i fan del cinema, accostato in sei anni soltanto un paio di volte: il giallo «Fuori controllo» e la commedia drammatica «Mr. Beaver». Qualche lode della critica, ma scarsa risposta del pubblico. La vita privata, poi, in caduta libera: la moglie l’ha mollato dopo 30 anni, la nuova compagna l’ha denunciato per violenze, la polizia di Los Angeles l’ha più volte raccattato con la sbronza cattiva. Insomma, un bilancio privato e professionale, quello dell’ultimo lustro, in rosso profondo. Morale, il Gibson 56enne era dato dai più come finito. Come uomo e come star di Hollywood.
DENTRO L’INFERNO
E invece il 2012 sarà l’anno della rinascita. Almeno così spera Gibson che ce l’ha messa tutta per rimettersi in pista. E per ritrovare il suo pubblico. Che desiderano poi gli ultrà di Mel? Violenza, violenza e ancora violenza. Nella «Passione» si perdeva la contabilità delle nerbate inflitte a Cristo sulla via del Calvario. In «Apocalypto» i cattivi si dilettavano di sacrifici umani. E i buoni li trovavi solo tra le vittime designate. «Viaggio in paradiso» è immerso nell’inferno attualmente più tremendo, le prigioni messicane (che pare abbiano superato, per atrocità di avvenimenti, persino quelle turche. Gibson per descrivere l’orrido scenario non ha dovuto fare nemmeno sforzi di fantasia. Il postaccio c’è (o meglio: c’è stato fino a pochi anni fa) e si chiama El Pueblito. Un penitenziario costruito nel 1956 con l’intento di farne un carcere modello e chiuso alla fine del secolo con l’intervento (in stile scuola Diaz) dell’esercito messicano.
Che era avvenuto in 40 e passa anni. Che i detenuti avevano preso il sopravvento sui carcerieri, si erano impadroniti del luogo facendone una cittadella della malavita, dove comandavano i boss e si uccideva, si rubava, si spacciava droga a ruota libera (avete presente Manhattan trasformata in un’immensa prigione in «Fuga da New York»?).
In un postaccio modellato sul El Pueblito (per allestirlo Gibson ha fatto sgombrare temporaneamente un’altra prigione) capita l’eroe del film, cioè Mel Gibson. Che almeno all’inizio è ben poco eroico (saranno le circostanze a trasformarlo). Anzi, è un gran figlio di buona donna, un gangster ladro e assassino. Ha fatto il colpo grosso, una rapina da quattro milioni di dollari che gli dovrebbe garantire un’agiata pensione in Messico. Ma qui ha un incidente d’auto e finisce in guardina, dove saltano subito fuori le malefatte da lui compiute al di là del Rio Grande. Conseguenza: una “vacanza” pagata al Pueblito. Anche conosciuto come la «universitad del crimen».
EVADERE PER VIVERE
Driver (questo il nome del personaggio di Gibson) è un duro, ma un isolato, e lì non campi due giorni se non sei nelle simpatie del “Magnifico rettore” (cioè il boss dei boss). Driver ce la fa a star vivo per una settimana, quindi capisce che l’unica soluzione è evadere. Non è facile. Dentro il Pueblito c’è la legge della giungla, ma se provi a mettere un piede fuori, i sorveglianti all’esterno ti sparano o ti abbrustoliscono con l’alta tensione.
Tornato in Messico cinque anni dopo «Apocalypto», Gibson ha voluto accanto a sé la troupe locale che tanto bene lo aveva servito all’epoca (tra gli interpreti Raoul Trujillo, il capo degli inseguitori aztechi). Produttore, sceneggiatore e interprete, Gibson per la prima volta non firma la regia («Ormai è troppo faticoso per me essere contemporaneamente director e star nello stesso film»). Dietro la macchina da presa ha collocato Adrien Grunberg, direttore della seconda unità e delle scene d’azione di «Apocalypto». «Voglio scene di caccia all’uomo che facciano sembrare gli inseguimenti del 2006 un’adunata di boy scout», è stata la consegna di Mel a Grunberg. Consegna rispettata, stando almeno alle dichiarazioni di Gibson a lavoro ultimato.
Giorgio Carbone