Eva Alberti, Libero 27/4/2012, 27 aprile 2012
IN QUARANTAMILA CANTANO IL BRANO ODIATO DA BREIVIK
«Vivremo insieme, ognuna sorella e ognuno fratello, piccoli figli dell’arcobaleno e di una terra verde»: così ieri 40 mila norvegesi hanno espresso, con una sola voce, il loro canoro dissenso verso l’autore della strage di Oslo Anders Breivik e l’ideologia da lui incarnata. Rispondendo a una campagna su Facebook si sono raccolti sotto la pioggia nella piazza della capitale più vicina al tribunale, la Youngstorget, davanti alla sede del Partito laburista; qui tutti insieme hanno cantato una canzone molto popolare nel Paese, «Bambini dell’arcobaleno» («Barnav regnbuen»), proprio perché sapevano che era la più odiata dall’assassino. Il testo, arrangiamento locale di una pezzo del cantautore comunista americano Pete Seeger, parla infatti di libertà, uguaglianza e fratellanza universali, trasuda multiculturalismo e amicizia interrazziale. Insomma tutto ciò che Breivik voleva distruggere. Egli stesso l’aveva citata nei suoi scritti come «un buon esempio di marxismo infiltrato negli ambienti culturali» e di «tipico lavaggio del cervello dei giovani norvegesi». Allora i manifestanti, per contrappasso, hanno deciso di cantargliela idealmente sotto la cella. L’autore del brano, il cantante folk Lillebjoern Nilsen, ha diretto personalmente i bambini delle elementari che hanno guidato il coro dei manifestanti. E poi tra la folla di mantelle colorate, che sventolava bandiere e rose per ricordare le 77 vittime della strage, non sono mancate le personalità politiche: erano presenti i ministri della Cultura dell’intero mondo nordico (norvegese, svedese, finlandese, danese e islandese), a riprovare il peso dell’iniziativa.
Parallelamente, in aula, Breivik assisteva impassibile alle deposizioni di alcuni dei sopravvissuti alla sua impresa. Tra loro Anne Helene Lund, 24 anni, coinvolta nell’esplosione dell’autobomba a Oslo. Per questo è finita in coma, e, dopo un mese di incoscienza, ha ripreso i sensi ma non la memoria, tanto che non ricorda il nome dei propri genitori.
Breivik in questi giorni di processo si è sempre mostrato freddo, sciogliendosi in calde lacrime solo davanti al proprio video propagandistico e viceversa scaldandosi davanti alla prima perizia psichiatrica, che diagnosticava una schizofrenia paranoide. «Sono menzogne inventate in mala fede», avrebbe esclamato. Poi avrebbe in parte ritrattato, dicendo che «potrebbero anche non essere state escogitate di sana pianta», «ma sono comunque sbagliate». Dichiarazioni contraddittorie, che forse sembrano avvalorare la prima tesi degli psicologi. Ad ogni modo, se sarà considerato sano di mente rischia al massimo 21 anni di carcere; se giudicato pazzo, dovrà sottostare a trattamenti psichiatrici obbligatori. È questa l’ipotesi che lo turba di più, come lui stesso ha ammesso due giorni fa, perché di fatto «delegittimerebbe» il suo pensiero.
Eva Alberti