Varie, la Repubblica 29/4/2012, 29 aprile 2012
1 - I VERI MADMEN L’INCUBO DEL SOGNO AMERICANO
Stefania Parmeggiani per "la Repubblica"
A New York da qualche settimana c’è una pubblicità che risveglia un incubo: la figura nera stilizzata di un uomo in giacca e cravatta precipita nel vuoto da un grattacielo. È la silhouette che ricorda Don Draper, il protagonista della serie televisiva Mad Men, arrivata alla sua quinta stagione. È dal 2007 che la stessa immagine apre il telefilm ma vederla affissa a pochi isolati da Ground Zero sconvolge l’America: troppo simile al «Falling man», la foto simbolo dell’11 settembre scattata da Richard Drew.
Eppure la campagna è a suo modo perfetta: applica i principi della big idea, il metodo pubblicitario al centro della saga di Matthew Weiner. La caduta di Don Draper è una metafora del caos in cui piomba la sua vita, cattura l’attenzione e non si cura del politicamente corretto.
Come era consuetudine negli anni d’oro del marketing e come racconta Advertising from the Mad Men Era, un cofanetto in due volumi che raccoglie vent’anni di pubblicità a stampa. In pratica il capitalismo a colori secondo Jim Heimann, editore esecutivo di Taschen America e Steven Heller, autorevole storico dell’illustrazione e del design.
Settecento pagine che attraverso immagini d’epoca, citazioni e saggi descrivono l’evolversi della comunicazione commerciale dall’approccio formale all’ironia, dal semplice bombardamento agli slogan in grado di vendere non un prodotto ma uno status sociale. Il primo volume si apre con gli annunci del dopoguerra che mostrano come nel 1950 i messaggi shirt-sleeve, in maniche di camicia, non siano più sufficienti alle esigenze del mercato.
Il Pil americano ha raggiunto i 300 miliardi di dollari, vendere è un grande affare, ma per stimolare i consumi bisogna soffiare sui desideri. Ecco le automobili presentate come «macchine da sogno» e la Guerra fredda riflessa in un annuncio della Western Elettric: «Qualcosa che i Rossi non hanno», in riferimento alla velocità delle linee telefoniche. Persino un bambino va bene per vendere sigarette: «Prima di sgridarmi, mamma, sarebbe meglio che accendessi una Marlboro».
E quando dire il falso diventa inaccettabile, i pubblicitari dimostrano all’America che il marketing intelligente è possibile. Siamo all’inizio degli anni Sessanta, nel pieno della Mad Men Era, la culla dei consumi in cui si muovono gli uomini di Madison Avenue, che sono sì creativi ma anche mad, matti. Nel telefilm Don Draper aggira i pericoli del fumo coniando lo slogan delle Lucky Strike: «It’s toasted».
Poco importa che nella realtà la frase sia stata inventata nel 1917. George Lois e gli altri fanno la stessa cosa: le sigarette centos sono per chi sa godere un lungo piacere e la Pepsi è la bibita per i ragazzi della classe media che se la spassano sulle piste da sci. Si seduce il consumatore facendo leva sulle sue aspirazioni e ricorrendo all’ironia: «Lei la fa o non la fa? Solo il suo parrucchiere lo sa», strilla dalle riviste femminili la tintura per capelli Clairol. Non ci sono limiti, la creatività non lo ammette.
«L’uomo d’affari americano ha scoperto la vagina. È la nuova terra promessa. Ora stiamo puntando su quella. Ed è solo l’inizio. Oggi la vagina, domani il mondo». Così parlava Jerry Della Femina, italo-americano tra i cento più influenti pubblicitari del secolo scorso, citato alla fine del secondo volume. Un vero mad man: audace, scorretto, con pochi scrupoli e come Don Draper decisamente ingegnoso.
2 - L’INCUBO DEL SOGNO AMERICANO...
Natalia Aspesi per "la Repubblica"
A New York, adesso, Don Draper e la sua agenzia pubblicitaria stanno attraversando il 1966: i primi soldati americani sono già partiti per il Vietnam, anche il marito della rossa, pettoruta Joan, che nel frattempo partorisce il figlio del suo ex capo; le donne più evolute e arrabbiate hanno già letto La mistica della femminilità di Betty Friedan: forse anche Megan, la nuova moglie di Don, la prima donna della sua vita che si sente autonoma da lui e non vuole sacrificare il suo lavoro per compiacerlo.
Da poco è cominciata negli Stati Uniti la quinta serie, tredici puntate, di una delle più appassionanti e perfette saghe televisive, l’ormai famosissima, anche da noi (arrivata alla quarta serie), Mad Men, che racconta di un luogo simbolo di quegli anni e di quella nazione, quella Madison Avenue su cui già si affacciavano le agenzie di pubblicità, dove nascevano non i prodotti ma una loro immagine di fantasia per trasformarli in sogno, in desiderio, in bisogno, in un’ansia invincibile che poi si sarebbe chiamata consumismo: dalla sigaretta alla lotta ai tumori, dall’aereo all’automobile, dalla merendina alla vacanza, dall’assorbente igienico al deodorante, dal candidato presidenziale alla catena di alberghi.
Di serie in serie, il grande romanzo newyorchese segnala i cambiamenti politici, sociali, di genere, le mode, gli arredi, i peccati, gli orrori, i rapporti familiari e d’amore, le ambiguità e le ipocrisie, di quel decennio; e lo fa attraverso Madison Avenue, i suoi uffici arredati con il design di lusso, il mondo che lo invade con il suo furore creativo per diventare merce di massa, la vita inquieta di chi ci lavora, dentro e fuori le sue pareti di vetro.
Se la pubblicità si basa sull’inganno, anche la vita dei soci-padroni, dei dirigenti, dei creativi, delle segretarie e degli, impiegati della nuova agenzia Sterling Cooper Draper Pryce è una menzogna: nasconde segreti, disperazioni, turpitudini, inganni, terrori, ambizioni, frustrazioni, rivendicazioni, dietro l’apparente serenità e compostezza, l’ancheggiare delle donne, l’immancabile cappello degli uomini, l’atmosfera continua di seduzione, gioco, prevaricazione, umiliazione.
Sulla menzogna è fondato il successo del protagonista, Don Draper, che interpretato da Jon Hamm, è il primo divo televisivo di fascino irresistibile, un eroe amorale dal viso chiuso e malinconico, l’eleganza antica, e soprattutto l’apparente perfezione virile che cela sregolatezza, depressione, abbrutimento, indifferenza, nell’ombra nera di un inganno pericoloso e odioso che lo perseguita tra ricatti, sensi di colpa e terrori.
Lo sappiamo sin dalla prima serie che l’affascinante Don durante la guerra di Corea ha assunto l’identità di un compagno morto per cancellare la pochezza della sua vita. E Matthew Weiner, il genio che ha scritto Mad Men, autore anche dei meravigliosi Soprano, sa raccontare la continua, nascosta discesa all’inferno dell’impeccabile manager, che pare accettare il disgregarsi della sua vita come una tanto inevitabile quanto ignota punizione.
Raccontato dal cinema di quegli anni, Madison Avenue era un luogo di vita e professione invidiabili, i suoi manager di successo avevano mogli bruttine, devote e domestiche e tutti sprizzavano felicità, incuranti di quel che succedeva oltre i loro enormi frigidaire e giardinetti di casa. Weiner si riallaccia a certi romanzi d’epoca, come Diario di una casalinga inquieta (1967) di Sue Kauffman, e a film come Lontano dal Paradiso (2002) di Todd Haynes, per raccontare l’altra faccia di quella apparente armonia.
Dapprima Mad Men comunica un senso di fosca libertà oggi perduta, quella di fumare incessantemente Lucky Strike (gli uomini) senza temere il cancro, di divorare enormi bistecche (gli uomini) senza pensare al colesterolo, di bere cinque o sei martini alla volta (gli uomini) senza temere lo stordimento e l’arresto per guida pericolosa.
Ma la realtà è un’altra e a poco a poco quegli anni così romantici, quei luoghi di lavoro così vivaci, quella New York dei locali alla moda e delle bellissime signore sfacciate e impudiche, quei professionisti pieni di ambizioni e di denaro, in guerra continua con i colleghie con le agenzie rivali, sempre sull’orlo del disastro professionale e sentimentale, appaiono nella loro umana desolazione, nella loro lotta quotidiana per dare un sensoa un’esistenza che non ne ha.
Sono infelici gli uomini, sono infelici le donne: le belle mogli che assomigliano a Grace Kelly tradiscono e sono tradite, i seducenti mariti portano a letto le segretarie e poi le licenziano, il divorzio non cambia la vita, i nuovi amori neppure, i figli si isolano nel loro rancore. Gli uomini comandano, fanno i manager, le donne ubbidiscono, fanno le segretarie: quelle che cercano di far carriera sono derise, hanno vite private difficili e squallide, gli omosessuali si nascondono e scelgono di sposarsi.
Il dolore, lo sperdimento, il fallimento, sono peccati, crimini da annegare nel bere, nel sesso sfrenato e casuale, nell’Lsd, l’ultimo gioco pericoloso arrivato in città. Sono gli anni delle marce per i diritti civili, proprio nel ’66 nasce il Black Power, ma nel mondo separatoe irreale dei Madison Men, come isolati dalla libera infuocata, colta New York, non ne arrivano gli echi: gli unici neri dell’ufficio sono inservienti (in quegli anni su ventimila impiegati delle agenzie i neri erano venticinque), quando la creativa Betty propone di pubblicizzare un prodotto anche per la gente di colore usando come richiamo Harry Belafonte, è il cliente che rifiuta, perché non vuole consumatori neri. Maschilismo, razzismo, disuguaglianze, e l’America è già dentro una nuova, sanguinosa guerra, che terminerà con la resa solo nel 1975.