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 2012  aprile 30 Lunedì calendario

5 articoli - MATTONE CONTRO BTP. LA SFIDA FINISCE DUE PARI - Mattone contro Btp, due pari. Niente da fare per Borsa, fondi e Bot, che non vincono mai

5 articoli - MATTONE CONTRO BTP. LA SFIDA FINISCE DUE PARI - Mattone contro Btp, due pari. Niente da fare per Borsa, fondi e Bot, che non vincono mai. I risultati della sfida organizzata da CorrierEconomia — e presentata in anteprima al Salone del Risparmio il 20 aprile — in sintesi sono questi. La casa, la magnifica ossessione degli italiani, negli ultimi vent’anni ha tenuto (alternativamente) testa ai titoli di Stato, vantando una volatilità (cioè un’oscillazione dei prezzi) decisamente più contenuta. E adesso? L’allarme per la reintroduzione della tassa sugli immobili e le paure per gli effetti della recessione sulle scelte delle famiglie hanno acceso un ampio dibattito sulla capacità del mattone di non sbriciolarsi anche nei prossimi vent’anni. Le idee sono diverse, il senno di poi ci dirà come è andata. I nostri numeri — elaborati utilizzando grandezze comparabili (vedi pezzo a fianco) — dicono che i prezzi degli immobili in Italia sono scesi molto poco, durante queste ultime crisi del 2008 e del 2011, non soltanto rispetto agli altri mercati europei omologhi ma anche se confrontati alla Borsa e ai Btp. Il rendimento totale, che tiene conto anche degli affitti, poi, è in genere positivo. Il Btp, il guerriero fragile della crisi dell’euro, ha rappresentato finora la vera alternativa al mattone: sui 20 anni e soprattutto negli ultimi 5, nonostante il terribile 2011, il Btp con il suo 13,4% ha mostrato performance migliori a tutte le altre forme di impiego considerate. Immobili inclusi. E la Borsa? Le azioni italiane a 20 anni battono gli immobili ma non i Btp, a 15 invece hanno la meglio sui Btp, ma vengono superate dalle case. Il tallone d’Achille di Piazza Affari, però, è la volatilità, una tendenza a ballare tre volte superiore a quelle dei titoli di Stato. E i «su e giù» eccessivi, probabilmente, sono stati uno degli ingredienti base della disaffezione da parte dei piccoli risparmiatori. Piuttosto stabili, ma non per questo più amati, i fondi comuni. Il guaio è che, a fronte del controllo del rischio, le performance, gravate dai costi, risultano competitive soltanto con i Bot. A parziale discolpa del risparmio gestito va detto che nel caso di Bot, Btp e Borsa, occorrerebbe conteggiare i costi bancari e quelli per la gestione del portafoglio e del deposito titoli, esclusi dall’analisi. Inoltre negli ultimi, pessimi 5 anni, i gestori non hanno perso. E il loro guadagno è solo un paio di punti in meno rispetto a quello del mattone. Giuditta Marvelli Francesca Monti I PRO DELLA FINANZA. LIQUIDABILITA’ E DIVERSIFICAZIONE - Facilmente liquidabili. Diversificabili, anche da chi ha capitali ridotti a disposizione. E ancora: più innovativi. Nel senso che i mercati e le forme di investimento mobiliare seguono di pari passo le scoperte e le invenzioni tecnologiche dell’umanità. In questo periodo di passione dei mercati finanziari è difficile mettere in vetrina le qualità degli investimento mobiliari. Che però esistono. Eccole, quindi, a cominciare dalla maggior liquidabilità. E’ indubbiamente più facile liberarsi di un portafoglio di azioni e titoli che di una casa. In ambedue le ipotesi si può perdere (soprattutto se lo si deve fare in fretta), ma la «svendita» del mattone è certamente più complicata e meno trasparente. E qualche volta, se il mercato è paralizzato, addirittura impossibile. Ma questo può accadere anche ai possessori di titoli strani, non quotati o troppo «sottili» per avere un prezzo. La diversificazione è un altro punto a favore delle scelte finanziarie. Obbedire al principio di non mettere tutti i propri soldi su pochi titoli è piuttosto facile anche con risorse limitate: le quote dei fondi costano poche centinaia di euro, i titoli di Stato e non, possono avere soglie minime d’acquisto intorno ai mille euro. Diversificare un portafoglio immobiliare è invece un’operazione da multi-miliardari o da investitori istituzionali. Perché i mattoni non si comprano direttamente uno alla volta e perché l’alternativa finanziaria (i fondi immobiliari) si è rivelata una cocente delusione. Il terzo motivo è che la finanza segue le novità del mondo e della scienza. Energie alternative, biotecnologie, smartphone: qualche anno fa nessuno sapeva cosa fossero. Oggi chi investe in fondi o in Borsa può decidere di puntare sulle società che fabbricano queste cose. Oppure sulle miniere, sulle riserve d’acqua, sul petrolio, cioè sull’utilizzo delle risorse naturali che da sempre il pianeta mette a disposizione. G. MAR. … E I PRO DEL MATTONE. IL RECORD DI TENUTA NEL LUNGO PERIODO – La regola è empirica, ma finora non è mai stata smentita: il mattone può perdere sul breve periodo, in dieci anni riesce almeno a pareggiare sull’inflazione, in venti anni guadagna, indipendentemente dal periodo da cui si fa partire la misurazione della performance. La conferma arriva dall’analisi di performance che presentiamo in queste pagine. Concentrandoci sull’ultimo quinquennio, chi avesse acquistato una casa per locarla al netto di spese e tasse avrebbe ottenuto un guadagno del 7%, al di sotto di quanto hanno conseguito con assai meno incombenze i possessori di titoli di stato a breve (+13,5%) e a lunga scadenza (+19,4%) ma addirittura sotto l’inflazione di periodo, pari al 12%. A 10 anni la performance però sale al 78,9%, ovvero 54 punti più dell’inflazione, e a 20 anni il confronto con il costo della vita è stravinto con 108 punti di differenza (175% contro 67%) Interessante anche il confronto con la Borsa, che negli anni d’oro ha garantito guadagni spettacolari a chi ne entrato e uscito al momento giusto (più che altro una mission impossible). Dell’ultimo quinquennio più che il dato medio (Piazza Affari ha segnato -45,8% tenendo conto anche dei generosi dividendi distribuiti begli ultimi anni) bisogna considerare che molte azioni del listino hanno visto addirittura polverizzare il loro valore (e tra queste, quelle dell’immobiliare) mentre con la casa questo rischio non si corre mai. Anche alla luce di questi dati l’acquisto che non preveda l’uso diretto dell’immobile appare consigliabile solo in una prospettiva di lungo periodo, senza badare più di tanto al rendimento immediato e senza farsi spaventare oltre misura nemmeno dalle tasse. L’Imu infatti, anche con aliquota massima, difficilmente rappresenta più dello 0,4-0,5% del valore patrimoniale: è molto perché in media è il doppio di quanto si è pagato di Ici nel ventennio della nostra analisi. Ma non tanto da indurre a vendere. G. PA. LA RIPRESA? LA CABALA DEI 7 ANNI DICE CHE SI FARA’ VIVA NEL 2014 - I cicli immobiliari in Italia hanno la curiosa particolarità di durare sette anni, come i periodi biblici di vacche magre e vacche grasse. Nel ventennio analizzato nella nostra ricerca i valori sono scesi dal 1993 al 2000, sono saliti fino alla fine del 2007 e poi hanno ricominciato a scendere. La prima fase di discesa parte dall’uscita della lira dallo Sme nell’autunno del 1992 , con l’impennata del tasso di sconto e dei titoli di Stato (arrivati al 14%) ma anche dall’introduzione dell’Ici. I prezzi nei sette anni di magra scenderanno anche del 40-50%. La Borsa invece comincia un periodo di grande spolvero che culminerà alla fine del millennio. Con l’arrivo dell’euro il trend immobiliare cambia: i prezzi e i mutui sono più accessibili e anche l’investimento nel mattone torna d’attualità, con la completa liberalizzazione delle locazioni residenziali. Le Borse invece devono prima fronteggiare lo scoppio della bolla Internet e poi gli effetti devastanti dell’11 settembre 2011. Il vento cambia nel 2007, con i primi sentori della crisi dei subprime, e per i prezzi della case ormai troppo alti per essere sostenuti da giovani e immigrati. Intanto l’Euribor sale fino al 5,5% mettendo in difficoltà le famiglie indebitate a tasso variabile mentre per chi cerca il mutuo crescono le difficoltà a ottenerlo. Con il default di Lehman si arriva al credit crunch, mentre le Borse vanno a picco. Seguono due anni di montagne russe: prima i mercati azionari riprendono fiato, la deflazione porta il costo del denaro di nuovo ai minimi e i tassi dei titoli di Stato a breve prossimi allo zero, ma nel 2011 il collasso della Grecia mette in crisi i debiti sovrani dei paesi euro più deboli e a metà anno coinvolge anche l’Italia; il Btp decennale arriva al 7% a ottobre, le banche sono in crisi di liquidità e negano il credito immobiliare o, quando lo fanno, applicano spread più alti di due punti rispetto a un anno prima bloccando il mercato. Questa è storia di oggi. E per il futuro? Se vale la regola dei sette anni la ripresa del mattone arriverà nel 2014. G. PA. «I PREZZI SCENDERANNO. NON SOLO PER L’IMU» - «La credenza che il mattone garantisca sempre guadagni fa parte quasi della mitologia finanziaria. Dati come quelli dell’analisi di CorrierEconomia dimostrano che in realtà l’immobiliare è un investimento che ha una sua ciclicità e che può avere anche performance meno interessanti di altri strumenti di risparmio, con l’handicap oltretutto di una minore liquidabilità. I numeri mostrano anche quali sono le sue caratteristiche positive e in particolare la minore volatilità rispetto ad altri forme di impiego del risparmio». Luca Dondi è il responsabile dell’Osservatorio immobiliare di Nomisma. I dati forniti dal suo istituto sono stati la base di calcolo del total return del mattone della nostra ricerca Dai dati grezzi, proprio su sua indicazione, abbiamo detratto dalla performance immobiliare il 3% all’anno; perché? «Per tenere conto delle imposte e delle spese necessarie perché l’immobile possa mantenersi nello stato in cui era a inizio locazione. Il 3% all’anno è una stima realistica fatta però con il presupposto che non vi siano periodi di sfitto». Se però parliamo di prima casa i conti sarebbero diversi; chi la abita pone al suo attivo anche i canoni di affitto risparmiati, e sono soldi su cui non si pagano tasse… «E’ vero ma la prima casa è un bene indisponibile, non rientra a pieno titolo nell’ambito dei beni di investimento. Quando è possibile comprarla è bene farlo, le azioni o i Bot non sono un’alternativa a un tetto da mettere sopra la propria testa». Quale quota di un portafoglio importante andrebbe destinata all’immobiliare? «Esclusa la prima casa, per quanto dicevamo sopra, dipende dagli obiettivi di investimento; tenendo conto della spiccata illiquidità del mattone direi intorno al 15-20%». Per chi vuole entrare nel mattone con mezzi limitati ci sarebbero i fondi immobiliari… «Fa bene a usare il condizionale. Non credo che se ne proporranno ancora per il pubblico indifferenziato dei risparmiatori mentre quelli quotati veleggiano con sconti sul Nav attorno al 50%». Comprare le quote sul mercato secondario potrebbe essere un bell’affare? «Se non lo stanno facendo in molti evidentemente non c’è una grande fiducia che gli immobili si potranno vendere al prezzo di carico. Comunque la situazione è paradossale: i fondi immobiliari retail dovevano essere un strumento a lunga scadenza per cassettisti oggi invece sono un investimento opportunistico». C’è un problema di valutazione degli asset? «C’è soprattutto un problema di tempi di liquidazione dei portafogli che, data la fase di mercato, viene giudicato una grave criticità». Per finire, lei da tempo sostiene che i prezzi delle abitazioni dovranno scendere ancora. E’ quindi d’accordo con le analisi del Censis che prevede un calo del 20% di qui a fine anno? «L’entità è credibile, non sono però d’accordo né sui tempi, perché occorrerà ancora qualche anno e non pochi mesi né sulle ragioni. L’Imu di per sé non può portare a vendere al ribasso, le difficoltà economiche e l’impossibilità di trovare acquirenti ai prezzi richiesti oggi invece sì». GINO PAGLIUCA