Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 30/04/2012, 30 aprile 2012
VALIANI, MISSIONE A TEHERAN
La storia segreta degli affari mancati può illuminare con riflettori maliziosi le prepotenze ottuse consumate tra i Paesi dell’Alleanza atlantica. E questo può spiegare perché possa qua e là riaffiorare, come un fiume carsico, una certa diffidenza verso le potenze anglosassoni. Nonostante l’attrazione politica verso gli Usa e il Regno Unito e le relazioni con Wall Street. Un esempio di questa storia segreta è la ricostruzione, fresca di stampa, delle missioni dell’inviato della Comit e di Mediobanca a Teheran tra l’agosto 1952 e il gennaio 1953 (Fulvio Coltorti, Leo Valiani ed Enrico Cuccia: l’Iran degli anni ’50, «Annali della Fondazione Ugo La Malfa», XXVI, 2011).
In quei sei mesi, l’ex comandante partigiano Valiani soggiornò nella capitale iraniana per conto dei due istituti di credito milanesi, allo scopo di costruire una banca per le esportazioni che aiutasse il grande Paese mediorientale a emanciparsi dalla monocultura del petrolio. Coltorti, che ha guidato per decenni l’area studi di Mediobanca, ricostruisce la vicenda sulla base della fitta corrispondenza di Valiani con i suoi referenti in Comit (Carlo Bombieri e Giuseppe Zuccoli) e in Mediobanca (un Cuccia ancora giovane). Ma il testo, sostenuto da un’ampia ricognizione negli archivi di Intesa Sanpaolo e Mediobanca, acquista un vigore particolare se si ricorda il contesto del tempo.
L’Iran era già allora uno dei più importanti esportatori di petrolio. Ad Abadan funzionava la maggiore raffineria del mondo, specializzata nella benzina avio. L’Anglo-Persian Oil Company, che dal 1935 si era premurata di sostituire l’aggettivo Persian con il più corretto Iranian, aveva detenuto per oltre mezzo secolo il monopolio dei pozzi. Questa società, che oggi tutti conoscono come Bp, era controllata dalla Corona britannica fin dal 1914, per iniziativa di Winston Churchill, primo lord dell’Ammiragliato. Grazie a contratti capestro stipulati con il Trono del Pavone, andava accumulando ingenti profitti. Ma nel 1944 gli Alleati (sovietici e inglesi avevano occupato il Paese già nel 1941 per impedire che scivolasse nell’orbita nazista) avevano favorito la formazione di istituzioni democratiche. E così, nel 1951, il Parlamento di Teheran aveva varato la nazionalizzazione del monopolio che prese il nome, tuttora valido, di National Iranian Oil Company.
La reazione britannica fu durissima. Rimpatrio dei tecnici. Blocco navale. L’occupazione militare dei campi petroliferi evitata solo perché gli Usa non volevano svilire il Point Four Program, un piano di aiuti ai Paesi poveri per fronteggiare l’influenza sovietica che proprio in Iran aveva fatto il suo esordio. La nazionalizzazione del petrolio era firmata dal Fronte nazionale di Mohammad Mossadegh, un ricchissimo giurista che voleva modernizzare la società iraniana restando dentro le nuove istituzioni. Benché la propaganda inglese lo volesse asservito ai comunisti del Tudeh, Mossadegh non era comunista né aveva assegnato alcuna concessione petrolifera ai sovietici. Ma questo non salvò l’Iran dal crollo della produzione e delle esportazioni petrolifere determinato dal richiamo dei tecnici e dei capitali e dal blocco navale. Coltorti racconta dei guai delle nostre petroliere. La «Miriella» era riuscita a eludere le navi da guerra di sua maestà e ad attraccare a Porto Marghera, ma poi la società armatrice Supor venne sopraffatta dalle cause inglesi e dovette essere ceduta all’Eni. La petroliera «Rose-Marie» del conte Della Zonca, più semplicemente, venne dirottata ad Aden dalla Royal Navy e il suo carico sequestrato. È in un tale, ferrigno contesto che Comit e Mediobanca mandano Valiani nel Paese assediato dagli inglesi per aprirne le porte all’industria italiana.
Le due banche non sono terzomondiste alla Mattei. Mediobanca era attratta da Wall Street, anche se stipulerà soltanto nel 1955 la sua prima alleanza con la Lazard di André Meyer, franco-israelita trasferito a New York, e con Lehman Brothers. La Comit, allora paragonabile a una Deutsche Bank, godeva di una forte reputazione internazionale. Valiani apparteneva al filone azionista filo-atlantico, e lo farà vedere da senatore del Pri. Ma la rottura tra Teheran e Londra aveva portato alla liquidazione della British Bank of Iran e questo fatto creava lo spazio per una banca analoga con un’ampia partecipazione di Mediobanca, quale ambasciatrice di Montecatini, Fiat, Snia, Edison e con la garanzia Comit (il Banco di Roma non aveva accettato per non litigare con l’amica Barclays). Il progetto finanziario, che si lega ad altri investimenti nella logistica dei porti di Bandar Shapur e Korramshar, viene concertato con la Banca Mellie, di fatto la banca centrale dell’Iran, le Generali e le Assicurazioni Iran. Valiani incontra Mossadegh e il responsabile americano del Point Four. E scrive a Cuccia: «L’Italia tornerebbe a essere acquirente di petrolio iraniano, raffinato e grezzo, e lo sarebbe forse ben più di prima, dacché il commercio non ne sarebbe più monopolizzato dall’Anglo-Iranian. Ma soprattutto nel campo del rinnovo degli impianti e dei mezzi di trasporto, l’autonomia conquistata dai persiani avrebbe ripercussioni straordinariamente interessanti per gli industriali di Paesi come il nostro: il macchinario, il naviglio, i mezzi di trasporto terrestri, le molteplici attrezzature sussidiarie, i beni di consumo diretti per la parte che la Persia non produce, non verrebbero più necessariamente dalla Gran Bretagna. Il campo sarebbe aperto alla concorrenza…». E chi ammazza la concorrenza? Non lo statalista Mossadegh, evidentemente. Ma i nipotini di Adam Smith che, con la benedizione del nuovo presidente americano, il repubblicano Eisenhower, danno via libera al British Secret Intelligence Service per rovesciare la fragile democrazia iraniana e riportare al potere lo scià Reza Pahlavi, che era stato costretto a lasciare il Paese. Curiosamente, dopo gli entusiasmi iniziali, la Mellie aveva cominciato a lasciar cadere ogni discorso sei mesi prima del golpe. I banchieri del Bazar avevano fiutato il vento.
L’Italia, priva di forza militare, perse quel treno. Mediobanca entrerà anni dopo, ma con l’1 per cento, in un’altra banca iraniana. L’Eni avrà le sue concessioni. Ma l’Occidente aveva dilapidato il capitale di fiducia costruito nel 1944 tra la gente iraniana. Annota Coltorti: nel dodicesimo anniversario della morte di Mossadegh, avvenuta nel 1967 dopo una vita trascorsa agli arresti domiciliari per volere dello scià, un milione di persone ne visitò la tomba. Il fondamentalismo antiamericano e antibritannico trova alimento anche nella memoria di quegli antichi soprusi. Lo ha riconosciuto la stessa Madeleine Albright, ma solo nel marzo del 2000 quando non era più segretario di Stato Usa. E allora a che servono le parole se anche in questi mesi gli ordini di vendita allo scoperto dei titoli pubblici europei, provenienti da Wall Street e da Londra, aumentano e calano in conturbante coincidenza con l’incertezza o la fermezza delle prese di posizione europee sulle sanzioni all’Iran? Da dove passa il confine tra democrazia e violenza, tra diritto e interessi?
Massimo Mucchetti