Fabio Martini, La Stampa 1/5/2012, 1 maggio 2012
Ha capito che a forza di calibrare le parole e di cercare onorevoli compromessi con partiti e parti sociali, c’era il rischio di finire come Andreotti, tirando a campare
Ha capito che a forza di calibrare le parole e di cercare onorevoli compromessi con partiti e parti sociali, c’era il rischio di finire come Andreotti, tirando a campare. Mario Monti ha deciso di cambiar passo in modo molto brusco e la decisione, che covava da giorni, è stata accelerata dalle più recenti esternazioni di due ministri-leader del governo Berlusconi, Giulio Tremonti e Roberto Maroni, che da qualche settimana si aggirano sulla scena pubblica quasi fossero «marziani», approdati sul pianeta Italia, stupiti e dolenti per le condizioni dei suoi abitanti. Per un uomo di scuola gesuitica come Monti, le parole non sono mai casuali e ieri, quando il premier è apparso nella sala stampa di Palazzo Chigi, l’incipit è stato bruciante. Senza preamboli, chiaramente «dedicato»: «Vorrei iniziare con una parola di sdegno. Chi ha governato e si candida a governare non può giustificare l’evasione fiscale, né istigare a non pagare le tasse». E ancora: «Se oggi c’è l’Imu, bisogna accettare l’amara verità che tre anni fa è stata cancellata l’Ici sulla prima casa, senza valutare le conseguenze», perché «quella tassa non andava abolita» E’ un «nuovo» Monti quello che si propone, pronto a parlare papale papale, senza vezzi accademici: «Tutti invocano la riduzione delle tasse, sembra quasi che il governo si diverta, ma chi continua a parlare di questo sappia che gli italiani non sono sprovveduti». Era già da diversi giorni che Mario Monti immaginava di cambiar passo. Ne aveva parlato con il Capo dello Stato, che dal Quirinale osserva preoccupato le vischiosità del sistema politico, economico e finanziario. E’ anche durante quei colloqui che Monti si è deciso - e questa è la novità - a riprendere il comando delle operazioni, a dettare lui l’agenda, anziché farsela dettare dai veti e dai mugugni. Anche a costo di dar l’impressione di «commissariare» i partiti. Certo, il premier negherà di voler interferire sulla sfera d’influenza esplicitamente assegnata alle forze politiche, ma allude proprio a questo la decisione di assegnare a Giuliano Amato il compito di «fornire al presidente del Consiglio analisi e orientamenti sulla disciplina dei partiti per l’attuazione dei principii di cui all’articolo 49 della Costituzione, sul loro finanziamento». Come dire, senza dirlo: a Palazzo Chigi, e non solo, considerano immature le riflessioni dei partiti sul loro finanziamento, ma anche le norme in via di elaborazione sulla trasparenza e la democraticità della loro vita interna. Eloquente la risposta del solitamente loquace Monti alla domanda della giornalista del Tg1, che chiedeva se su questo punto avesse preavvertito i partiti. «No», è stata la laconica replica. Il «nuovo» Monti, non c’è dubbio, ci tiene a lanciare un’immagine di sé diversa da quella dei partiti, anche quando parla (spontaneamente) di Rai, il regno della partitocrazia: tra i settori di intervento e risanamento «c’è la Rai, dove la logica della indipendenza dalla politica non è garantita». E, pur senza parlare di partiti, è a loro che Monti allude quando sciorina un’altra fiammeggiante espressione: «Una pesantissima tassa occulta è la corruzione». Ma Monti ha deciso di tornare alle origini non solo nella forte impronta tecnocratica delle nomine dei «commissari» (Enrico Bondi, Giuliano Amato, Francesco Giavazzi), ma anche nell’ambizione di toccare alcuni dei sancta sanctorum del sistema: Amato oltreché dei partiti si occuperà di una questione sinora tabù come il finanziamento dei sindacati, mentre Giavazzi è incaricato di provare a sfrondare la selva dei contributi pubblici alle imprese. E a questo riguardo le parole di Monti sono state acuminatissime, forse quelle che racchiudono tutto il senso di una svolta che va oltre i partiti: «Se vuole, il mondo politico, industriale o sindacale può distruggere in pochi giorni le cose migliori che il governo ha scelto di fare per la salute economica del Paese», ma a tutti deve esser chiaro che «a queste misure si è arrivati per via di una politica a maglie larghe», perché «abbiamo ereditato una serie di problemi da decenni di politiche spesso non serie». Certo, la politica ha storicamente più colpe di tutti, ma le parti sociali - ecco un’altra sorpresa del «nuovo» Monti - non sono esenti da errori, timidezze, privilegi. Attaccato nei giorni scorsi dai giornali di quel mondo anglosassone che avevano favorito la sua ascesa e lo avevano osannato, in via di logoramento per effetto di una progressiva disaffezione da parte dell’opinione pubblica, Mario Monti ha deciso di accettare la sfida. Mettendo nel conto reazioni aspre da parte dei partiti ma sapendo che i leader politici, sotto stress per le elezioni amministrative, tireranno la corda ancora per qualche giorno. Ma non potranno spezzarla. Le prime elezioni politiche in autunno in tutta la storia repubblicana sono un lusso che, piaccia o no, l’Italia non può concedersi.