Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 01 Martedì calendario

Sinceramente non si capisce perché la Cgil, che pure avrebbe molti impegni da onorare in questo orribile periodo di crisi del lavoro, debba prodigarsi per organizzare un «presidio antifascista» che si propone di ostacolare la celebrazione in cui si ricorda l’uccisione di Sergio Ramelli, un giovane di destra assassinato in un agguato a 19 anni, nel 1975

Sinceramente non si capisce perché la Cgil, che pure avrebbe molti impegni da onorare in questo orribile periodo di crisi del lavoro, debba prodigarsi per organizzare un «presidio antifascista» che si propone di ostacolare la celebrazione in cui si ricorda l’uccisione di Sergio Ramelli, un giovane di destra assassinato in un agguato a 19 anni, nel 1975. Cosa urta la sensibilità della Cgil: onorare la memoria di un giovane ragazzo ucciso 37 anni fa solo perché era «fascista»? Hanno forse nostalgia per quel pezzo lugubre e cupo della storia italiana, quell’orribile decennio dei Settanta in cui si urlava nelle piazze che «uccidere un fascista non è reato»? È impressionante come le teste e la coscienza di tante persone siano ancor oggi così penosamente aggrappate al loro passato. Così privi di intelligenza e di robustezza morale da suggerire una fragorosa e rituale protesta contro un elementare esercizio di pietà per un «fascista» fatto fuori a colpi di chiave inglese in quella tetra parodia dei Ragazzi della Via Paal in cui giovani di destra e di sinistra si colpivano in agguati a colpi di spranghe, bastoni, catene, chiavi inglesi, armi contundenti micidiali e invalidanti. In quella spirale di violenza e intimidazione persero la vita molti giovani. Altri furono gravemente feriti. Qualcuno ne ha portato i segni per il resto della propria esistenza. Tutti ventenni abituati a fare della città un campo di battaglia, di aggressioni dieci contro uno, di sedi bruciate, di militanti pestati a sangue. Picchiavano tutti, negli anni Settanta, senza esclusione. Picchiavano selvaggiamente i «fascisti», ma anche i «comunisti». Bastava abitare in un quartiere sbagliato, un «fascista» in un quartiere rosso o un «compagno» in un quartiere nero, per essere presi di mira, aggrediti, i motorini bruciati, i muri imbrattati di scritte minatorie. Era un gorgo di violenza che incupiva il tono della lotta politica, facendone un ricettacolo di prepotenza e di soprusi. C’è davvero bisogno di essere di destra per ricordare Sergio Ramelli, un ragazzo che è stato in coma per decine di giorni e che alla fine non ha retto alle conseguenze delle bestiali bastonate con cui i nemici politici lo avevano colpito, da vigliacchi, in tanti contro uno? E c’è bisogno di essere di sinistra per ricordare con rimpianto e affetto il giovane Walter Rossi, militante di sinistra ucciso in una piazza che ora ne porta il nome? Archiviare quella pagina raccapricciante della nostra storia, dopo tanti anni, dovrebbe essere un esercizio così normale che quasi appare stupefacente la riluttanza cieca di alcune minoranze fanatizzate, che a Milano hanno preso in prestito le bandiere di una gloriosa organizzazione sindacale, la Cgil, per inscenare una manifestazione contro chi voleva ricordare Ramelli. Sono frange di irriducibili, certo. Ma è triste la mancanza di memoria storica, la minimizzazione dei crimini commessi. Al capezzale di un giovane romano di destra, Paolo Di Nella, anch’egli vittima di quella stagione cruenta e violenta, venne un giorno il presidente Sandro Pertini, un antifascista, un partigiano, un uomo di sinistra. Anche lui voleva dire basta alle rappresaglie sanguinarie, alle vendette cruente, alle spranghe assassine. E invece, nel cuore del 2012, è come se tanti anni non fossero passati, o fossero passati invano. Come se fosse tanto difficile deporre i vessilli e i simboli di una finta ma ugualmente micidiale guerra civile. Tanto difficile ricordare Sergio Ramelli, 19 anni di Milano, ucciso a bastonate nel 1975.