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 2012  maggio 01 Martedì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

PALERMO — «Mammina, sei pronta? Io sono pronto». Visto in tivù lo show dell’aspirante sindaco di Palermo, il blogger Tony Troja si è precipitato a farne una parodia alla Beniamino Gigli: «Maaaamma! Hanno bisogno di uno che s’immola / Maaaamma! Il "problem solving" l’ho imparato a scuola».
Ride tutta Palermo, su quella parodia. Anche lui, Massimo Costa, il giovane scelto da Casini e Alfano per tentare un triplo salto carpiato con avvitamento: far dimenticare Diego Cammarata, il sindaco che lascia un buco abissale e zero rimpianti. Ragazzo di spirito, sa che quella imitazione se la doveva aspettare. Lui stesso, già campione europeo di kick-boxing (boxe e arti marziali) e poi giovanissimo capo del Coni isolano, sa che i colpi si danno e si prendono.
E lui era andato a cercarsela, arringando la folla così: «Io sono pronto. Rinuncio a tutto. Mamma preparati: cambierà la tua vita. Oltre che la mia. Sei pronta al successo di tuo figlio se riuscirà a cambiare i destini di questa terra? Mammina, sei pronta? Io sono pronto».
Il coetaneo Fabrizio Ferrandelli, candidato della sinistra, sceglie lo slogan in dialetto «Amunì, Palermo», cioè «andiamo, Palermo»? Lui va sull’english: «Voglio prendere in mano il destino di questa città. La voglio liberare dal peccato e dai peccatori. Impossible is nothing».
E già qui si vede come lui stesso dia per complicata, al di là della sicurezza da «vincente» che ostenta, l’operazione di rimuovere, in quella che è stata forse la più berlusconiana delle grandi città italiane, quel sindaco uscente che cinque anni fa incassò al primo turno il 53,5%. Capiamoci, senza tornare a Goethe che scriveva di come ognuno badasse solo a se stesso e spazzasse i propri rifiuti nella strada così che questa «diventa sempre più sudicia e finisce col restituirvi, a ogni soffio di vento, il sudiciume che vi avete accumulato», Palermo era una città piena di problemi anche prima. Ma certo gli ultimi anni sono stati così disastrosi, agli occhi dei cittadini, da spingere lo stesso Alfano a rassicurare Costa: «Mi ha detto: il nostro partito peserà come una piuma».
Del resto, anche se con le sue giacche blu, la cravattina e il sorriso Durban’s pare uscito dalla fabbrica del «perfetto berlusconiano», l’alfiere della riscossa pidiellina non era stato scelto dai berlusconiani. Al contrario: dai suoi nemici Casini, Lombardo, Fini. I quali avevano individuato in lui l’uomo giusto per scardinare il sistema di potere: giovane, nuovo, sveglio, parlantina sciolta... Un politico nato che titilla sentimenti antipolitici: «Se sarò eletto, via tutti gli assessori degli ultimi venti anni, via tutte le prebende e stipendi a me e agli assessori di 2000 euro, via tutte ma proprio tutte le auto blu, trasparenza, "diretta" sul Web dei consigli comunali». Non è un’idea di Beppe Grillo, che a Palermo candida il giovane analista aziendale Riccardo Nuti e dello stesso Ferrandelli? «Le buone idee non sono monopolio di nessuno».
Avviato verso una probabile batosta e privo di un nome da spendere, Angelino Alfano ha deciso di metterci il cappello sopra: lo votiamo pure noi. Perché, ha spiegato l’altro ieri, «è figlio della Palermo vera: ha speso l’intera buonuscita dei genitori per sostenere la sua campagna elettorale». Sul serio? Lui conferma: «In tutto 120 mila euro. Miei, di mio papà e mia mamma». Ironie degli avversari: «Ma se costa 70 mila da solo il manifesto gigantesco in piazza Croci!» Fatto sta che a quel punto sono saltati su lombardiani e finiani: allora non lo votiamo noi. E hanno puntato sul deputato regionale ed ex assessore «cammaratesco» («ma in rotta dal 2008») Alessandro Aricò. Che spiega: «Da noi si dice che occorre guardare i compagni di processione. E in processione dietro a Costa c’è il peggio del peggio. Basti dire che nelle sue liste ci sono 32 ex assessori e consiglieri della vecchia maggioranza». Quindi all’eventuale ballottaggio... «Neanche a parlarne. Non vogliamo ridare il potere a chi ha devastato la città e le municipalizzate».
Riassunto: l’Amia costrinse un paio di anni fa Berlusconi, terrorizzato all’idea di una nuova emergenza-rifiuti nonostante il record di spazzini (mezzo migliaio più che a Torino, per raccogliere 164 tonnellate l’anno a testa contro 491 dei piemontesi) a tappare tra i mal di pancia leghisti un buco di 80 milioni. Quanto alla Gesip, un carrozzone delegato a un sacco di cose, basti un dettaglio: i suoi operai potano gli alberi fino a 249 centimetri di altezza, poi dai 250 in su tocca a quelli del settore ville e giardini. Un delirio. Per non dire di scelleratezze come la decisione del Comune di assumere per destinarli all’azienda dei trasporti 110 autisti da autobus tutti senza la patente d’autobus e smistati all’Amat, che fu costretta a prenderseli, dopo corsi di autoscuola pagati dal municipio un occhio della testa.
«Quando ero sindaco io, giravano 480 autobus», tuona Leoluca Orlando, «adesso solo 180, gli altri sono rotti, in deposito e talvolta li usano per i pezzi di ricambio. Una vergogna!» Quel discolo di Tony Troja non ha risparmiato neanche lui. E ha messo on-line una parodia di «Quando» di Pino Daniele: «Tu dimmi quando, Orlando / finalmente anche tu farai persuaso / che magari è proprio il caso / di non candidati ancora…». Macché, il vecchio zazzeruto che fondò la Rete ci riprova. La zazzera è ingrigita. E le borse sotto gli occhi sembrano bisacce. Il mitico «Nino u ballerinu», maestro con coppola e pizzetto dei panini con la milza («No che non ballo: mi dicono "u ballerinu" pecché sono dinamicu») giura però che «stavolta vince lui, Luca!» E nel caos del mercato al Capo, l’uomo della cosiddetta «primavera di Palermo» si muove con l’irruenza d’un tempo. Bacia, abbraccia, saluta nome per nome decine di bottegai e clienti, appioppa a questo e quello manciate di santini: «Dai che ce la facciamo».
Conta sull’illusione di chi spera tornino i «bei tempi» in cui imbottì il Comune di migliaia di lsu? «A parte che quelli, in un momento particolare, li pagava lo Stato, è cambiato tutto. Io voglio rifare la città. Rifarla! Torno per entrare nella storia. Se uno non lavora lo butto fuori e finisco in prima sul New York Times. Capito? Qui si fa la storia».
Fabrizio Ferrandelli, a lungo il pupillo dipietrista di Orlando del quale dicono abbia preso a modello perfino il ciuffo, ha vissuto l’irruzione in campagna elettorale del suo ex-mito come una coltellata: «Era schierato con la Borsellino. Invitava a votare "BorsOrlando”. Poi, all’ultimo istante, dopo la mia vittoria, ha deciso di provarci. Non capisco. Dopo i disastri di Cammarata avremmo vinto al primo turno».
Spaccata la destra, spaccata la sinistra, spaccato il centro (anche Saverio Romano presenta una sua candidata, Marianna Caronia), si è spaccato perfino il fronte ribelle. Carrettino siciliano al passo, Rossella Accardo gira per la città chiedendo voti in nome del «Movimento dei forconi». Ma in tanti si sono rivoltati: «Come osa usurpare il nome?» E via coi ricorsi. Dai forconi alle carte bollate.
Gian Antonio Stella