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 2012  maggio 01 Martedì calendario

PROFILO DI ENRICO BONDI

DAI GIORNALI DEL 1° MAGGIO 2012

MASSIMO SIDERI SUL CORRIERE DELLA SERA
Gli aneddoti sulla sua attività da «risanatore» dicono molto della figura di Enrico Bondi, anche perché — com’è noto — l’uomo non ha mai rilasciato un’intervista vera e propria e si trincera sempre dietro l’ironia da toscanaccio. Arrivato poco prima del Natale 2003 alla Parmalat, dove nonostante il baratro da 14 miliardi l’uso dell’elicottero e dell’aereo di Calisto Tanzi erano la prassi, Bondi tagliò le auto aziendali di lusso a tutti. In treno si viaggia benissimo. Sette anni dopo e pochi mesi fa, arrivato con l’auto Parmalat all’ultima assemblea del gruppo lattiero di Collecchio (ormai completamente risanato tanto da essere stato nel frattempo conquistato dai francesi di Lactalis) se n’è tornato a casa con il suo «Pandino». La sera prima, sapendo che il suo mandato da amministratore delegato dopo la guerra con i francesi era ormai concluso, si era premurato di parcheggiare l’auto personale vicino al luogo dell’assemblea. Uno stile che se non è proprio un manifesto certo potrebbe anticipare molto del suo nuovo incarico di commissario straordinario sulla spending review per il governo di Mario Monti. Probabilmente considera i costi della politica alti e, comunque, riducibili. «Ho avuto una grandissima apertura di credito. Fiducia che devo ripagare con azioni. Gli strumenti non mancano, cercherò di essere incisivo» si è lasciato strappare ieri contravvenendo, ma solo in parte, alla sua regola aurea del silenzio. D’altra parte, pur considerando come «pubbliche» le sue esperienze da commissario visto che le nomine dopo i crac arrivano proprio dall’esecutivo, questo è il suo vero primo incarico all’interno del governo. In parte è anche un po’ una rivincita visto che lo scorso novembre stava preparando una mezza valigia per salire al governo come ministro ma poi non se ne fece nulla. Ora a 77 anni e tutt’altro che fuori dal giro — dopo un passaggio con qualche battibecco presso la Fondazione San Raffaele, dove ha accelerato il suo lavoro per andarsene il «prima possibile», il suo nome ha aleggiato su tutti i dossier importanti, da Rai a Finmeccanica — ha accettato l’incarico pro bono. L’«agiografia» sul personaggio, tra realtà e leggenda, prevede anche che si cibi di «pane e olio», tassativamente quello della sua tenuta aretina.
Chi lo conosce sa che lo farà sinceramente per spirito di servizio nei confronti del Paese, anche se per rispetto nei confronti di un Paese in difficoltà va anche ricordato che i 32 milioni che ha ricevuto come «supercommissario» per il salvataggio Parmalat non ne fanno di certo un uomo a rischio povertà. Ma è stata appunto questa la sua grande capacità: risanare ciò che era considerato ormai insanabile. Spremere denaro dove c’erano solo debiti anche grazie alla coerenza. A Collecchio riunì tutti i fornitori e i dipendenti del gruppo per dirgli: «Non vi posso pagare, adesso. Ma se continueremo a lavorare ce la faremo». Riuscì a convincerli e anni dopo i sindacati sono stati tra i soggetti più preoccupati per la sua partenza.
Ora tutti lo ricordano per aver fatto risorgere Collecchio ma la nascita del Bondi Risanatore risale a un’altra pagina infelice della nostra storia finanziaria: il crac Montedison dopo il suicidio di Raul Gardini. Lo stesso gruppo dove aveva cominciato nel ’57 nel comparto ricerche resine di Castellana, grazie alla sua laurea in Chimica presso l’Università di Firenze.
Dal ’93 al 2001 rivoltò il gruppo imploso sotto il sogno di diventare un nuovo polo europeo della chimica. E da lì in poi fu sempre chiamato a risanare: 2001-2002, nel gruppo Olivetti-Telecom. Subito dopo nel gruppo Fondiaria Sai, uscito in rottura con Salvatore Ligresti che non aveva gradito il suo consiglio di allontanare i figli dal gruppo. «Non sto qui a pagare le spese dei figli di Ligresti» si fece scappare in quell’occasione. La storia recente forse avrebbe dovuto consigliare un altro epilogo. Ci fu anche un veloce passaggio alla Lucchini prima dell’arrivo a Collecchio. Uomo storicamente vicino a Mediobanca è sempre stato percepito come uomo di fiducia delle banche, almeno fino a quando, come commissario straordinario della Parmalat, ha iniziato un braccio di ferro contro tutti gli istituti di credito italiani e stranieri, direttamente o indirettamente protagonisti della stagione pre-crac. Alla fine l’ha avuta vinta, tanto che la maggior parte del denaro usato per redistribuire una parte di quanto perso agli ex creditori del gruppo, è arrivata dalle revocatorie contro le banche che hanno fruttato oltre due miliardi di euro.
Alla fine le critiche che gli vengono mosse sono di sapere tagliare ma di non saper spendere: la cassa miliardaria di Parmalat, tenuta lì in Bot e Btp, ne ha fatto una preda dei francesi. Anche se il tentativo della cordata degli imprenditori italiani di tenerla nel nostro territorio ha ricordato da vicino le imprese dell’armata Brancaleone. Certo, qui è chiamato soprattutto a ridurre e risparmiare. La spending review, ancora di più con lui, sarà una non-spending review. Ieri non si è sbilanciato nonostante fin dal mattino una gola profonda del governo su Twitter, @ilportaborse, avesse sparato il suo nome. Forse memore di quella volta in cui Umberto Agnelli lo aveva chiamato in Fiat, azienda alla quale non arrivò mai. L’unica cosa sicura per adesso è che per ridurre i costi non userà la tecnologia: ancora fino a pochi mesi fa la sua assistente a Collecchio doveva stampargli le email su carta per riportare poi sul computer la risposta che lui vi appuntava a penna.
I metodi, se non si fosse capito, sono orgogliosamente quelli di una volta.
Massimo Sideri

ETTORE LIVINI SU REPUBBLICA
NON c´è due senza tre. E così dopo aver risanato Montedison e salvato Parmalat, Enrico Bondi – all´alba dei 77 anni – affronta la più impossible delle sue mission: far quadrare i conti della Governo Spa. Obiettivo: ridurre di 5 miliardi le spese dei ministeri per risparmiare agli italiani un altro aumento dell´Iva.
Il metodo? Lo stesso che ha funzionato a Foro Buonaparte e Collecchio, trasformandolo in una sorta di Croce Rossa in servizio permanente per i casi più disperati dell´industria italiana: poche parole («non ho niente da dire», sono le uniche che ha rivolto ai giornalisti in cinquant´anni di carriera) e molti fatti. Conditi da uno stile di vita riservato e monacale al cui confronto persino il sobrio Mario Monti rischia di passare per un Fabrizio Corona della politica.
All´Italia, del resto, le chiacchiere non servono. «Ringrazio per la fiducia, cercherò di essere incisivo», ha promesso ieri Bondi. Nessuno ne dubita. Le forbici della spending review – assicura chi ha lavorato con lui – non potevano finire in mani più esperte. Il compito, ovviamente, è titanico. Ma per il super-risanatore è una sorta di déjà vu. Montedison e Parmalat erano una versione bonsai del Belpaese di oggi: sane, ma zavorrate dai debiti e sull´orlo del crac. Situazioni da brividi che "Il dottore" – come l´hanno sempre chiamato tutti i suoi collaboratori – ha aggredito a modo suo: zero proclami, maniche rimboccate e poi via di bisturi senza guardare in faccia nessuno. Particolare che ha già fatto scattare qualche campanello d´allarme nei corridoi dei ministeri capitolini.
Poco male. Molti nemici, molto onore. E il manager-contadino (nel week-end innesta rose e coltiva ulivi nella tenuta "Il matto") non è tipo da impressionarsi facilmente. Quando nel 1993 Enrico Cuccia gli ha affidato le redini di una Montedison disastrata dalla gestione Ferruzzi, il benvenuto di Guido Rossi – allora presidente di Foro Buonaparte – è stato gelido: «Bondi? È la brutta copia di un cattivo esempio», l´ha fulminato ricordando il legame con il mentore Cesare Romiti. Il seguito è storia. Il dottor mani di forbice ha tirato dritto per la sua strada dribblando i sarcasmi del professore. Ha venduto le controllate in crisi, tagliato i costi, messo all´asta quadri e yacht della famiglia di Ravenna, riposizionato la società sull´energia. Uscendo di scena nel 2001 quando il fior fiore della finanza italiana (ed europea) si è dato battaglia a colpi di Opa miliardarie per comprare la Montedison risorta dalle sue ceneri. Bondi tace, ma i numeri parlano per lui: l´"artista delle ristrutturazioni" – copyright The Economist – è arrivato in società con il titolo a 10 lire e se ne è andato con le azioni a quota 5.500 dopo che l´azienda è finita ai francesi di Edf.
Il copione è andato in scena in fotocopia due anni più tardi quando – dopo un rapido passaggio in Telecom Italia, Lucchini e Premafin – Bondi è sbarcato in Emilia per salvare Parmalat. Missione forse più disperata della spending review romana. «È il commissario delle banche!», si sono lamentati i puristi del mercato. Lui ha fatto orecchie da mercante, ha dedicato un paio di settimane a pagare in contanti (all´alba) le autobotti di latte all´ingresso della fabbrica di Collecchio per non interrompere forniture e produzione. Ha isolato il bubbone – i 14 miliardi di buco dei Tanzi – dall´industria, convinto il Parlamento ad approvare una legge (la Marzano) su misura per salvare la società e limato il limabile per far quadrare i conti. Poi, alla faccia dell´uomo delle banche, è partito all´assalto degli istituti di credito con una serie di cause miliardarie da cui ha incassato 2,3 miliardi, girati a stretto giro di posta ai risparmiatori travolti dal crac. Risultato finale: Parmalat c´è ancora, non è stato perso un posto di lavoro e i bond-people di Collecchio hanno recuperato fino al 60% del loro capitale quando i francesi di Lactalis hanno messo sul piatto 6 miliardi per scalare la società.
Ai grandi numeri – è la lezione di Bondi – si arriva anche con piccoli risparmi. E il buon esempio deve arrivare dall´alto. Lui stesso è una sorta di manuale vivente dell´arte della spending review. In Telecom ha rinunciato all´auto blu per una Punto bianca. Per il Governo lavorerà gratis («spero di convincerlo a prendere un rimborso spese di 150mila euro l´anno», ha fatto sapere ieri il premier). A Collecchio, dove ha assunto il figlio di Mario Monti, guadagnava tra 320mila e 550mila euro l´anno, un decimo delle buste paga di molti ad delle aziende pubbliche quotate. Tempera le matite con cui scrive fino a ridurle a moncherini di tre centimetri. E le eleganti cartellette in cuoio verde nella sala dei cda della società emiliana sono le stesse fatte fare dai Tanzi per la vecchia Parmalat Finanziaria. Riciclate dal super-risanatore cancellando con il raschietto quella parola (Finanziaria) sparita oggi dalla ragione sociale.
«Meglio un ducato in borsa che dieci spesi male», ripete spesso lui, citando il suo corregionale Francesco Guicciardini. Dopo l´ultima assemblea Parmalat, quella dell´addio, ha salutato tutti con un discorso asciutto – «lascio un´azienda migliore di quello che ho trovato» – uscendo di scena al volante di una piccola Panda grigia, rigorosamente energy-saving. L´uomo, ovviamente, ha i suoi difetti. Un carattere molto ruvido (resta da vedere se è un lato negativo), la nomea di risanatore implacabile incapace di far crescere le aziende salvate. Alla Roma dei tecnici, però, basta e avanza il suo lavoro di forbici. Sperando che l´Italia Spa si salvi come è successo a Parmalat e Montedison. Evitando, se possibile, scalate francesi.

FRANCESCO MANACORDA SULLA STAMPA
Un tecnico per i tecnici, e questo è ovvio. Ma un tecnico di tagli radicali al debito e certosini recuperi di margini, di fredde allergie alle troppe luci - metaforiche e no - accese sul suo lavoro, di silenzi ostinati e durezze inflessibili con le controparti. Perché l’arrivo di Enrico Bondi alla guida della task force per i tagli alla spesa non rappresenta tanto e solo l’ennesima competenza superspecialistica - e lontanissima dalla politica tradizionale che approda dalle parti del governo, quanto la certificazione di uno stato di crisi profonda che rende necessario l’ingresso in scena del Risanatore, se non addirittura del Rianimatore, per eccellenza. L’uomo che nella storia del capitalismo italiano ha solitamente preso in mano le aziende dopo che il peggio era già accaduto e, almeno in alcuni casi, ha ottenuto risultati che parevano impossibili.
Dici Bondi, infatti, ed è prima di tutto Parmalat. Nell’azienda spolpata dalle scorribande di Calisto Tanzi e dei suoi manager con l’acquiescenza di grandi banche, arriva nel dicembre 2003 assommando tutti i poteri come commissario straordinario, presidente e amministratore delegato. A volerlo sono soprattutto i creditori di Collecchio - leggasi le banche italiane - che non sanno se rivedranno mai più quei 15,5 miliardi di euro di indebitamento netto della società; ma anche la Procura di Milano dà il suo via libera. In otto anni Bondi farà il miracolo, ripianando il debito, azzannando dentro e fuori dalle aule giudiziarie le banche che avevano favorito la cavalcata criminale di Tanzi - e da loro recupererà più di due miliardi - salvando parte del valore delle azioni e conservando i posti di lavoro. Troppa grazia, verrebbe da dire, tanto che l’anno scorso - forte anche di una liquidità di quasi un miliardo e mezzo in cassa, l’ex brutto anatroccolo Parmalat finisce nell’Opa dei francesi di Lactalis. Dieci anni prima, nel ‘93, il copione non era poi troppo diverso, quando Mediobanca spinse quel chimico diventato uomo d’azienda tra le rovine dell’impero Montedison-Ferruzzi, gravato da 31 miliardi di lire di debiti. Anche in quel caso risanamento, catastrofe evitata, debiti ripianati e poi di nuovo una scalata.
Ma al di là dei casi più celebri negli ultimi vent’anni Bondi, spesso sotto l’ala protettrice di Mediobanca a cui è storicamente legato, ha messo le mani su tanti casi critici: da Lucchini a Premafin e Fonsai, fino a un breve e contrastato passaggio in Telecom nell’interregno tra Colaninno e Tronchetti Provera.
Preceduto ovunque dalla fama di implacabile tagliatore di costi - «l’uomo con la scure», è il soprannome che si porta addosso - per disegnarlo conviene andare, in coerenza con il personaggio, per sottrazione. E dunque, nessuna mondanità, né qualche attrazione per le luci della ribalta: in mezzo secolo di carriera - oggi ha 78 anni - mai un’intervista; solo lo scorso anno - finita l’Opa dei francesi - ha accettato un incontro pubblico alla Bocconi per spiegare la sua Parmalat. Nessun master in finanza, ma un’esperienza sul campo che dalla laurea in Chimica a Firenze lo porta prima in Montedison, poi alla Snia e nel gruppo Fiat. E poi gli addii, anche quelli un rito celebrato sottotono e che proprio per questo fanno ancora più rumore: via dall’ultima assemblea Montedison tornando a casa senza autista e macchina di servizio, visto che la presidenza era scaduta; via da Collecchio sulla Panda di famiglia. Destinazione abituale, a missione compiuta o semplicemente nei fine settimana, la tenuta «Il Matto», provincia della sua Arezzo, dove si dedica a produrre olio.
Chi lo vede un po’ pantografato sul profilo di quel Mario Monti che lo vuole a Palazzo Chigi, non sbaglia. Non è solo questione di loden - rigorosamente verde quello del manager - ma anche di visione della vita fatta di understatement e lenita da uno humor che quando vuole sa essere sferzante. Lo stesso presidente del Consiglio raccontò due anni fa in Parmalat - dove peraltro lavora suo figlio, chiamato proprio da Bondi - di quando da Commissario europeo, si vide arrivare a Bruxelles il manager toscano che aveva appena assunto la guida di Collecchio: «Venne a trovarmi con un suo consulente giuridico e mi fece vedere, senza minimamente drammatizzare, l’inferno». Ma soprattutto, ricordò Monti, garantì «la completa assenza di sussidi pubblici nella sua strategia per risollevare le sorti dell’azienda». C’è da giurare che anche di quel risparmio per le casse dello Stato si sia ricordato adesso il premier nella sua scelta.