Federico Fubini,, Corriere della Sera 1/5/2012, 1 maggio 2012
Di questi tempi intensi sembra un secolo fa, ma da quell’istantanea sono passate solo sei settimane
Di questi tempi intensi sembra un secolo fa, ma da quell’istantanea sono passate solo sei settimane. Mario Monti, a un incontro di Assolombarda, in piedi dietro a un podio un sabato di metà marzo: invece di pronunciare un discorso solenne, quel mattino il premier legge puntigliosamente la fotocopia di un articolo niente affatto tenero nei suoi confronti. Lo ha appena pubblicato un suo collega, anch’egli professore ed economista della Bocconi, anch’egli editorialista del «Corriere». Francesco Giavazzi non ha mai risparmiato le critiche all’operato di Monti, se e quando riteneva ve ne fosse motivo. Neanche in quella volta a marzo si era tirato indietro. Dopo le resistenze sulla riforma del lavoro e nelle liberalizzazioni, Giavazzi si era chiesto dalle colonne di questo giornale: «Come fa un investitore che deve scommettere su un cambio di passo dell’Italia a fidarsi?» Monti quel giorno legge l’editoriale di Giavazzi e rimprovera il collega di «impazienza e imprecisione». Non dev’essere stata la sola volta che lo ha pensato, da primo ministro e prima ancora da commissario europeo alla Concorrenza. È anche per questo che quando ieri sera Giavazzi ha avuto la chiamata da Monti per lavorare sui sussidi alle imprese, ha colto subito il messaggio fra le righe: il premier fa sul serio, non cerca soluzioni comode o di facciata. Palazzo Chigi poteva chiamare una figura silente e burocratica giusto per mettere a tacere le critiche. Invece si è rivolto a uno dei suoi critici intellettualmente più affilati. Uno — ripeteva ieri sera — convinto che «gli aiuti di Stato danneggiano le imprese valide, quelle che stanno sul mercato con le proprie forze». Giavazzi, spesso con l’amico e collega Alberto Alesina, in passato e poi ancora in questi mesi aveva incalzato Monti proprio su quel punto: l’eccesso di spesa pubblica e in particolare quella legata ai sussidi per le imprese, sulla quale secondo Giavazzi il governo non ha fatto abbastanza (finora). «Ostinarsi a ridurre deficit e debito aumentando le imposte è inutile o addirittura controproducente», aveva scritto Giavazzi a proposito del governo Monti un mese fa. È un vecchio punto fermo, per l’economista che si divide fra la Bocconi e il Massachusetts Institute of Technology di Boston. Una volta dieci anni fa, ottobre 2002, Giavazzi prese carta e penna (sempre con Alesina) per sostenere che la Commissione europea con Monti alla Concorrenza faceva poco per ridurre gli aiuti di Stato alle imprese, che in Italia allora arrivavano a 50 miliardi di euro. Rispose piccato Giampaolo Galli, allora capo ufficio studi di Confindustria (e ora suo direttore generale). Galli la prese male, mise in discussione l’affidabilità delle stime offerte sui sussidi alle imprese da tagliare e quel duello potrebbe essere stato solo l’antipasto di ciò che accadrà nelle prossime settimane. Perché il difficile per Giavazzi probabilmente inizia ora. Non che il professore non sia abituato a scendere in trincea da «gran commis». Dal ’91 al ’95, anni di sconvolgimenti monetari e crisi, Giavazzi è stato dirigente generale al Tesoro (con Mario Draghi direttore) lavorando alle privatizzazioni e gestendo le emissioni di debito. Ora torna in contatto con la pubblica amministrazione in un ruolo più defilato, ma sa benissimo che i rapporti con le varie branche dello Stato saranno decisivi. Per portare a termine una vera ricognizione dei trasferimenti alle imprese e indicare gli interventi, occorrerà la collaborazione della Ragioneria generale dello Stato. Poi bisognerà che anche le Regioni si decidano a fornire tutte le informazioni del caso sui sussidi che gestiscono. Perché quello della trasparenza è un chiodo fisso di Giavazzi, sui costi e sui prezzi. Da economista formatosi negli Stati Uniti, vorrebbe che il costo di un servizio pubblico come i trasporti fosse molto chiaro ai cittadini, e non mascherato dai sussidi per i quali spesso si pagano tasse più o meno occulte. Meglio, per Giavazzi, dare meno aiuti a un’azienda municipalizzata, pagare più caro un biglietto dell’autobus ma avere diritto a pagare meno tasse. E intanto magari avere un’idea più chiara del servizio che si ottiene a fronte dei costi che si sopportano: a quel punto un cittadino sarà pronto a esigere di più, pensa Giavazzi. Lo stesso che lui ha sempre chiesto al governo Monti. Federico Fubini