VARIE 30/4/2012, 30 aprile 2012
APPUNTI PER GAZZETTA. LA SPENDING REVIEW DI MONTI-GIARDA E LA NOMINA DI ENRICO BONDI COMMISSARIO AI TAGLI
REPUBBLICA.IT
ROMA - Arriva una commissario per la razionalizzazione della spesa sugli acquisti di beni e servizi, nell’ambito del più ampio capitolo della spending review 1: il governo ha deciso, su proposta del ministro Piero Giarda, che sarà Enrico Bondi, 78 anni, ex commissario straordinario di Parmalat e noto per essere un ’risanatore’ di aziende. Sarà attuatore, per questo specifico aspetto, delle scelte politiche di cui ha la delega il ministro Giarda.
Il consiglio dei ministri in corso si appresta a varare un decreto legge per la nomina del commissario straordinario "per definire il livello di spesa per l’acquisto di beni e servizi". Secondo quanto si apprende da fonti governative a stretto giro il decreto legge sarà seguito da un decreto del presidente del Consiglio dei ministri che definirà la durata dell’incarico del commissario che non dovrà essere superiore a un anno e l’eventuale nomina di un subcommissario.
"Riduzione di spesa per più di 4 miliardi". Ammonterebbero a poco più di 4 miliardi i tagli di spesa che il governo intende programmare per il 2012. L’importo, secondo quanto si è appreso, non sarà contenuto in un provvedimento ma viene calcolato definendo gli interventi previsti per quest’anno. Inoltre un comitato interministeriale sulla spending review, presieduto
da Monti e composto dal ministro dei Rapporti con il Parlamento,Giarda, dal ministro della Funzione Pubblica, Patroni Griffi, il viceministro Vittorio Grilli e il Sottosegretario alla presidenza del Consiglio Antonio Catricalà sarebbe una delle novità che potrebbero essere decise oggi.
Entro il 31 maggio ogni ministro dovrà proporre il suo piano di risparmi come prevede la direttiva del presidente del Consiglio, all’esame del consiglio dei ministri. I criteri alla base del documento che in questo momento viene esaminato dal Cdm, partono dal "riconoscimento dell’attività di revisione di spesa come prioritaria". Di conseguenza, verrà costituito un "comitato dei ministri per la revisione della spesa, composto dai ministri per il programma, dal ministro per la pa, dal viceministro dell’economia e dal sottosegretario alla presidenza del consiglio", e parallelamente una "struttura di missione presso il ministro per l’esecuzione del programma".
I criteri. Il primo criterio operativo riguarda la "revisione dei programmi di spesa". Il secondo il "ridimensionamento delle strutture dirigenziali". Poi la "concentrazione dei servizi, attraverso razionalizzazione e distribuzione personale" e la "revisione dei procedimenti di acquisto mediante centralizzazione degli acquisti", con la conseguente "individuazione dei responsabili della spesa".
Bersani: "Basta tagli alla scuola". Sulla spending review è intervenuto il leader del Pd, Pierluigi Bersani. "Diciamo da sempre che abbiamo una spesa pubblica squilibrata. Ma si dia un’occhiata all’andamento della spesa corrente negli ultimi 15 anni. - ha detto Bersani - . Con noi era sotto controllo, col centrodestra è sbarellata. Ma adesso non ci sono francamente i margini, ad esempio, per tagli alla scuola. Ok la spending rewiew. Si può incidere sul settore della spesa della pubblica amministrazione, ad esempio, l’acquisto di beni e servizi. Ma non si può tagliare su stato sociale o istruzione, sul lavoro e gli investimenti perché crolliamo". "Il settore della Difesa merita di essere rivisitato col cacciavite, così come l’acquisto di beni e servizi da parte della pubblica amministrazione - ha aggiunto il leader del Pd - . Ma più in generale bisogna fare attenzione a non produrre l’effetto opposto a quello che ci si propone, cioè la riduzione della spesa corrente".
Cicchitto: "Niente tagli alla sicurezza". "E’ chiaro che bisogna usare i bisturi e non l’accetta. Mentre possono essere ridimensionate le spese inerenti il personale amministrativo, è necessario prestare molta attenzione a non tagliare le spese per quanto riguarda la sicurezza in quanto tale: quello che sta avvenendo in questi giorni,infatti, sta dimostrando che c’è una emergenza sicurezza", ha affermato Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera.
Donadi: "Tagli all’acqua di rose". "Quella che sta facendo il governo è una spending review all’acqua di rose, giusta un ritocco di facciata, un buffetto sulle guance di qua e di là per non dare fastidio a nessuno. Non si fa quello che serve davvero, ovvero, agire sul cuore improduttivo e parassitario della spesa pubblica di questo Paese", ha detto Massimo Donadi, presidente dei deputati di Idv.
(30 aprile 2012)
PEZZI USCITI SULLA STAMPA DI STAMATTINA
FRANCESCO GRIGNETTI
A leggere il piano dei tagli del ministero dell’Interno, e a scoprire che di essi, questori e prefetti, uno su quattro non avrà più una poltrona, visto che una trentina di prefetture e di questure (su 106) saranno declassate a «sportello per i cittadini» oppure a commissariato, è già rivolta. Così come sono sul piede di guerra in magistratura e nei sindacati che tutelano i dipendenti del ministero della Giustizia. «In questo momento il servizio giustizia necessita di investimenti, altro che tagli», dice Cosimo Maria Ferri, segretario di Magistratura indipendente. Per non dire del sordo malumore che si alza dal mondo militare dove sarebbero trentamila gli «esuberi» tra ufficiali e sottufficiali. Siamo alla vigilia di un consiglio dei ministri che si annuncia cruciale per la macchina dello Stato. Il governo è alla disperata ricerca di risparmi. E però dirigenti e funzionari dell’Interno, della Difesa e della Giustizia, non accettano il ruolo di capri espiatori delle diverse «spending review».
«Io questo piano vorrei tanto capirlo, ma non ci è dato di conoscerlo se non per le indiscrezioni. Eppure avevamo chiesto per tempo un incontro al ministro Cancellieri. E invece siamo arrivati al consiglio dei ministri senza alcuna informazione». Claudio Palomba è il presidente del sindacato dei prefetti, in sigla Sinpref. Il ruolo consiglia un tono misurato e istituzionale, ma il prefetto è davvero arrabbiato. «Questo metodo non va bene. Ci vuole più rispetto per chi rappresenta oltre 125 mila persone. E non si dica che le prefetture non sono presidio di sicurezza. Lo sono al pari delle questure».
I tagli annunciati preoccupano Palomba nella sua veste di sindacalista. Per fortuna è scongiurato un esodo anticipato, ma anche l’idea di bloccare il turn over per cinque anni non gli piace. Se però si facessero davvero i famosi Utg, gli uffici territoriali del governo, il Sinpref farebbe festa. «Da 16 anni non si riesce a realizzarli perché non c’è dirigente dello Stato, in periferia, che accetti di fare capo al prefetto. Se il ministro Cancellieri ci riuscisse, se si facessero dei "veri" Utg, con la centrale unica per gli acquisti, allora sì che sarebbe un risparmio importante. E certo non mi metterei a fare la guerra per salvare qualche sede minore. Ma dev’essere minore per davvero. Tagliare d’un colpo 30 prefetture e quindi anche altrettante questure o comandi provinciali dell’Arma mi pare troppo. Non faremo le barricate per Isernia o per Verbania; la nostra è una posizione costruttiva. Ma considerare Crotone o Vibo Valentia solo sulla base della popolazione, per dire, e non della densità mafiosa, mi pare un errore».
Anche in polizia, a sentire le indiscrezioni, sono in fibrillazione. «Non mi batto per salvare qualche poltrona - dice Enzo Letizia, segretario dell’associazione nazionale funzionari di polizia - ma per la capacità di analisi di una questura che è molto maggiore di quella di un commissariato. Ho letto di Verbania. Benissimo, parliamone: zona di confine, segnali di insediamenti mafiosi... E’ davvero il caso di declassare quella questura, magari lasciando un numero equivalente di agenti, ma a scapito di funzionari e dirigenti? Che razza di risparmio è questo?».
Il ministero dell’Interno calcola che si recupera 1 milione di euro da ciascun accorpamento. «Inevitabilmente - insiste Enzo Letizia - si diminuirà la qualità ed il livello di sicurezza nelle aree interessate dai tagli, incidendo direttamente sulla capacità di analisi e di guida». La pensa così anche Nicola Tanzi, segretario del sindacato autonomo di polizia Sap: «I governi Prodi e Berlusconi hanno tagliato complessivamente 3 miliardi di euro per la sicurezza. Secondo noi le intenzioni dichiarate dal ministro Cancellieri rischiano di creare ulteriori danni ai cittadini. L’ipotizzata trasformazione di alcune questure in commissariati porterà ad una minor presenza di poliziotti sul territorio, comporterà una riduzione dei servizi che oggi garantiamo e genererà necessariamente maggiore insicurezza. Questa è la realtà».
Eppure sono tante le voci che spingono per gli accorpamenti delle province. Non ultima la Bce. Intanto anche la politica si scalda: «Mi auguro che Giarda voglia usare il cacciavite e non la mazza» dice il segretario Pd Pierluigi Bersani. Che prima dei tagli alla scuola sostiene che sarebbe meglio «riorganizzare la Difesa». «Giù le mani dalla sicurezza» avvisa invece dalle file del Pdl Maurizio Gasparri. Per il governo replica il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo: «Faremo una verifica di tutti i comparti di spesa - avvisa - Nessuno sarà esentato», ben sapendo però che «la spending review non è un esercizio accademico, le decisioni da prendere sono politiche».
LA STAMPA - IL CASO DI VERBANIA
La possibile scure che si sta per abbattere sulla provincia di Verbania sta scatenando già un vespaio di polemiche.
«Non si capisce in che modo il ministero intende fare dei risparmi - tuona il sindaco Marco Zacchera - vogliono chiudere la questura dopo che la nuova sede gli è costata milioni di euro? E poi che costi ha la prefettura che è una residenza demaniale?». Gli fa eco il presidente della Provincia, Massimo Nobili. «Per risparmiare bisogna fare progetti credibili, tagliare qua e là non serve a niente».
Eppure era solo il 30 aprile 1992 quando con un decreto legislativo nasceva ufficialmente la Provincia del Verbano Cusio Ossola e Verbania conquistava i gradi di capoluogo. A venti anni esatti rischia già di perderli. Anche quando nacque il Verbano Cusio Ossola erano giorni segnati dalla più grande incertezza politica. A Palazzo Chigi era da poco finito il settimo governo Andreotti; al Quirinale era invece Spadolini a fare le veci del Capo dello Stato dopo le dimissioni di Cossiga. Oltre le loro firme, in calce all’atto di nascita del Vco (così la sigla della nuova provincia, anche se per le auto si preferì un più semplice «Vb») anche quelle dei ministri Scotti, Carli, Formica, Gaspari, Martinazzoli e Martelli. Era il tramonto della Prima repubblica e ancora non si vedeva l’alba della Seconda. Ma in quell’anno ci fu la più grande infornata di nuove province: otto in poche settimane.
Verbania, dopo battaglie politiche lunghe anni, era riuscita a ottenere il capoluogo di questo piccolo ente: 77 Comuni (solo tre sopra i 10 mila abitanti), una superficie di 2.255 chilometri quadrati e una popolazione che dai dati dell’ultimo censimento si attesta nel 2011 a 160.385 unità. Una terra ai più sconosciuta a due passi dalla Svizzera. Verbania dovette vincere la resistenza soprattutto di Domodossola, che già dal 1981 chiedeva l’autonomia rivendicando per sé il ruolo di guida di quello che era stata ribattezzata «Provincia Azzurra».
Nel gioco delle parti, e della politica, gli uffici vennero spalmati nel territorio, ma Verbania conquistò prefettura e questura, oltre ai comandi provinciali delle forze armate e il provveditorato agli studi. Così a Villa Taranto, dove è presente un ampio giardino botanico che ogni anno richiama decine di migliaia di visitatori, trovò sede la prefettura. A due passi dal lungolago venne collocata la questura.
La Provincia andò in una zona periferica di Verbania, nell’avvenieristico «Tecnoparco». La presenza del capoluogo non ha però portato uno sviluppo numerico della città, ma ha garantito occupazione a un territorio che nell’ultimo periodo ha assistito alla chiusura degli insediamenti dell’industria chimica e ha nel frontalierato e nel turismo le due gambe economiche. Se, insieme alla prefettura, anche la questura lascerà la città, rimarrà una beffa: nel cuore di Verbania c’è il cantiere per la costruzione della nuova sede della polizia. Un grande palazzo di vetro che, ancora prima di essere concluso, è già in cerca di nuovi inquilini.
LA STAMPA - LA QUESTIONE DELLE PROVINCE
FRANCESCA SCHIANCHI
Alla revisione della spesa pubblica non guardano con interesse solo i partiti, ma persino la Banca centrale europea. Alla vigilia del Consiglio dei ministri che discuterà di razionalizzazione delle spese, nella speranza di recuperare risorse tra le pieghe degli sprechi, filtra da Francoforte l’«attenzione» della Bce per il capitolo in questione, da affiancare a concorrenza e liberalizzazioni e all’accorpamento delle province che «sarebbe l’unica, vera misura di taglio di costi della politica».
Un tema, questo, da tempo contemplato nell’agenda politica e parecchio dibattuto. Dall’ipotesi soppressione degli enti sotto i 220mila abitanti, ma con l’eccezione di quelli in Regioni a statuto speciale o confinanti con uno stato estero (manovra del maggio 2010) all’idea di abolire quelle sotto i 300mila abitanti o i 3mila chilometri quadrati di superficie (decreto 138 dell’agosto scorso, ne sarebbero sparite 29) si arriva fino alla formulazione del decreto Salva Italia dello scorso dicembre che, all’articolo 23, di fatto svuota le province delle loro funzioni trasformandole in enti di secondo livello.
Così, al “consiglio” della Bce, all’ipotesi dell’accorpamento, più soft della cancellazione, reagisce positivamente l’Upi, l’Unione delle province italiane: «Sono mesi che ribadiamo che l’unica riforma possibile è la razionalizzazione delle province», interviene il presidente, Giuseppe Castiglione, «oggi la Bce non fa che attestare che la proposta dell’Upi è la più innovativa e efficace. Forse qualcuno ci darà ascolto». Come sottolinea il presidente della provincia di Milano, Guido Podestà, la proposta dell’Upi «prevede un accorpamento delle province e non una indiscriminata cancellazione»; si tratta, garantisce il vicepresidente dell’Unione Antonio Saitta, di «un testo chiaro, che senza sconvolgere la Costituzione e senza toccare la democrazia potrebbe portare in pochi mesi a una maggiore efficienza della pubblica amministrazione», addirittura parla di risparmi record «di almeno 5 miliardi».
Il termine «accorpamento» non va invece a genio al leader dell’Italia dei valori, Antonio Di Pietro: «La Bce non sa che nel nostro Paese non basta l’accorpamento delle province per risparmiare. Per eliminare veramente gli sprechi è necessaria la loro eliminazione». Parere opposto a quello del leader della Lega Umberto Bossi: «Le province sono utili anche se c’è chi le vuole togliere a tutti i costi. Le province non costano niente: quindi toglierle vorrebbe dire togliere un pezzo di organizzazione del territorio» e la Bce che sollecita un cambiamento «non mi pare una grande autorità nel merito delle istituzioni del nostro Paese».
Commenta il suggerimento che arriva dall’Europa anche l’ex ministro del Pd Arturo Parisi: «Prima che paradossale, è offensivo che debba essere la Bce ad invitarci a tagliare e accorpare le province».
LA STAMPA - QUESTIONI POLITICHE
FABIO MARTINI
L’ altro Mario, Mario Draghi, si era già fatto vivo cinque giorni fa, con un’esternazione un po’ «silenziata» dai massmedia, ma poco gratificante per il governo italiano, in particolare quando il presidente della Bce aveva fatto notare come l’aumento delle tasse sia una misura recessiva e anche la ricetta più semplice per colmare una voragine di bilancio. Ma ieri, domenica, la Bce ha fatto risentire la sua voce, con una modalità originale per un’istituzione di quel peso: non smentendo - e dunque avallando un circostanziato lancio mattutino dell’agenzia Ansa. Nel quale si attribuiva alla Banca centrale europea l’auspicio affinché il governo italiano proceda all’accorpamento delle Province. Auspicio prescrittivo, irrituale nella forma e nella sostanza: a 24 ore da un’importante riunione del Consiglio dei ministri, dedicata alla revisione della spesa pubblica, il monito-Bce è andato a sommarsi alle proteste, in parte sotto traccia in parte esplicite, di pezzi importanti dello Stato: prefetti, questori, poliziotti, magistrati, militari. Tutti inquieti per i possibili «sacrifici» che queste categorie potrebbero essere chiamate a sopportare nel caso il governo decidesse di andare avanti nella ristrutturazione della spesa pubblica. Certo, segnali di natura molto diversa tra loro, ma la «criticità» firmata Bce, per Monti è la meno prevedibile. E anche se non hanno trovato conferma le voci di un raffreddamento tra i due, con tanto di mediatori sulla linea FrancoforteMilano, il segnale di ieri raddoppia quello di cinque giorni fa.
E così, a 24 ore dal Cdm, Mario Monti ha dovuto fare i conti con due contrapposte campane: da una parte la Bce, che chiede di accelerare la realizzazione di alcuni degli obiettivi indicati nella lettera a doppia firma (Trichet-Draghi) spedita al governo italiano (c’era ancora Berlusconi) il 5 agosto e dunque i risparmi sulle Province ma anche misure più radicali sul fronte delle liberalizzazioni e del mercato del lavoro; dall’altra alcuni «servitori dello Stato» preoccupati da tagli alla spesa che, nel giro di qualche tempo, potrebbero coinvolgerli. A dispetto di queste opposte istanze, il presidente del Consiglio ha preparato il Cdm di oggi, nel corso del quale il ministro per i Rapporti col Parlamento Piero Giarda presenterà una corposa relazione, dal titolo eloquente: «Elementi per la revisione della spesa pubblica». Sarà un’analisi dettagliata dell’andamento della spesa delle amministrazioni centrali dello Stato, che metterà in evidenza tutte le criticità, (interessante il capitolo sulle dispersioni determinate dalla organizzazione su base provinciale di alcuni servizi), suggerendo anche soluzioni di immediata operatività, a cominciare dai tagli del valore di 4 miliardi, da realizzare entro l’estate, capaci di evitare l’aumento dell’Iva previsto da ottobre. Il rapporto indicherà le modalità che possano condurre nel medio periodo ad una profonda revisione dei meccanismi della spesa pubblica, ma senza spiegare come incardinare una riforma così stutturale. E’ molto probabile che nel corso del Cdm si proceda ad un ulteriore e formale accreditamento di Giarda che, per quanto sia uno degli uomini chiave della squadra Monti è pur sempre il ministro per i Rapporti col Parlamento, mentre tutta questa materia dovrebbe ricadere sotto la giurisdizione del ministero del Tesoro e dunque della triade formata dal viceministro Vittorio Grilli, dal capo di gabinetto Vincenzo Fortunato e dal Ragioniere generale dello Stato Mario Canzio. Oggi si dovrebbe arrivare alla formalizzazione di una taskforce interministeriale e formata da tecnici, chiamata a dare sostanza alla fase-2 della spending review.
Il rapporto, come spiegato dal ministro Giarda in una intervista a «La Stampa», non prevede infatti interventi strutturali di immediata realizzabilità, perché i possibili risparmi realizzabili entro il 2013 devono garantire in via prioritaria l’obiettivo strategico del pareggio di bilancio, compensando l’eventuale mancato conseguimento dei già cospicui tagli di spesa già previsti dal 2011. Se si vorrà ridurre sensibilmente la spesa, occorrerà rivedere il perimetro dell’intervento pubblico, valutando quel che lo Stato vuole continuare a finanziare, quello che si può affidare ai privati. E quello che potrà essere alienato. Il rapporto Giarda, pur non entrando nel merito, accenna al tema delle possibili privatizzazioni. Questione che, sinora, Monti ha accantonato, sensibile all’argomento che questa non è la stagione migliore per vendere, ma sulla quale potrebbero maturare significative novità.
LA STAMPA - IL CASO DEL MINISTERO DEGLI ESTERI
La difficile congiuntura di bilancio richiede di valutare con grande attenzione l’adeguatezza degli strumenti a disposizione della nostra politica estera e le priorità che possono essere realisticamente perseguite». Così, lo scorso 16 gennaio, il ministro Giulio Terzi di Sant’Agata annunciava l’inizio dei lavori della Commissione sulla «spending review» della Farnesina. Un sorta di analisi interna volta a «identificare gli ambiti di prioritario intervento, e razionalizzare la spesa del Ministero».
La Farnesina tuttavia non è nuova a tagli e riordini: dal 2008 al 2012 il bilancio complessivo del Mae si è ridotto da 2,5 miliardi a 1,67 miliardi di euro. Nell’ultimo triennio il personale è diminuito del 12% ogni anno, con una fuoriuscita di 1400 persone. Come dire, «abbiamo già dato». Del resto Terzi ha posto da subito l’accento sulla forte necessità «di preservare l’operatività del Mae e la sua rete diplomatico-consolare, in un momento in cui l’accresciuta competizione globale rende ancora più pressante l’esigenza di sostegno degli interessi nazionali». Una posizione che vede allineati il sindacato dei diplomatici e degli amministrativi, seppur con i dovuti distinguo.
I risultati della perizia della commissione (composta anche da membri esterni) saranno a disposizione, tra qualche giorno, del ministro per i rapporti col Parlamento, Piero Giarda. Il punto di arrivo è un «modello» di bilancio che, in una prospettiva di medio termine, possa coniugare le crescenti responsabilità a livello globale con un sostanziale miglioramento della propria efficienza di spesa.
Cosa ci si deve attendere? L’attuale legislazione prevede che rispetto al 2011, la dotazione di bilancio della Farnesina subisca una decurtazione di 206 milioni di euro nell’anno corrente, di circa 72 milioni nel 2013 e di circa 93 nel 2014. Le proiezioni previste anche dalla «spending review» agendo sul fronte delle risorse umane e strumentali, puntano a risparmi per circa 25 milioni di euro, che riassorbano una quota significativa di questi tagli attraverso una migliore distribuzione e un più efficiente utilizzo del personale all’estero, un’aggiornata ripartizione degli istituti di cultura, l’innovazione tecnologica, la gestione più dinamica del patrimonio immobiliare, nuova attenzione alla sostenibilità ambientale come stabilito dal progetto «Farnesina Verde».
Occorre inoltre tener presente lo «spread» tra Italia e altri Stati europei in fatto di politica estera. Il nostro Paese vi dedica lo 0,22% del bilancio statale, la Francia l’1,78%, la Germania l’1,1%, la Gran Bretagna lo 0,3%, la Spagna lo 0,75%, e l’Olanda il 2,5%. In termini di incidenza sul Pil siamo allo 0,1%, a fronte del 2,5% dell’Olanda dello 0,23% di Francia e Spagna, la Gran Bretagna allo 0,14% seguita dalla Germania con lo 0,12%.
«Il Mae non può più tagliare - spiega Paola Ottaviani, responsabile funzione pubblica della Cgil Esteri - abbiamo circa 400 rappresentanze nel mondo, ci sono costi di tenuta e soprattutto fattori di sicurezza». Si rischia di ledere il funzionamento delle sedi consolari o diplomatiche, gli apparati di sicurezza e i servizi resi ai cittadini all’estero. «È una questione di numeri», puntualizza la sindacalista. Su 3200 dipendenti amministrativi sono previsti 250 pensionamenti l’anno, tra tre anni si arriverà a quota 2450, la metà in Italia, l’altra inviata alle 400 rappresentanze estere, in media tre per sede. «Contando che le cariche di segretario direttivo, capo contabile e capo servizio consolare devono essere riservate a personale di ruolo, gli altri impieghi dovranno essere riempiti da contrattisti italiani, locali, e a seguire da prestatori d’opera e stagisti», spiega la Ottaviani. «Ma si può, ad esempio, impiegare all’ufficio passaporti di una sede in Cina un contrattista locale? Non sarebbe rischioso in termini di sicurezza. Oltre al fatto che ci sono divieti stabiliti dalla convenzione di Vienna».
LA STAMPA - IL CASO DELLA SCUOLA
Segreterie e biblioteche delle scuole in Comune, una riorganizzazione del personale del Miur, riduzione delle sedi: anche il ministero dell’Istruzione è al lavoro in queste ore per l’esame della spending review, la revisione mirata della spesa pubblica necessaria ad assicurare il raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio nel 2013 e impedire che i conti siano di nuovo in rosso.
Luigi Fiorentino, capo di gabinetto del Miur da pochi mesi, arrivato un mese dopo l’insediamento di Francesco Profumo alla guida del ministero, è alle prese con i conti ma sa che la scuola è già stata molto spremuta negli ultimi 10 anni e il suo pensiero va innanzitutto agli insegnanti: «Voglio che sappiano che ogni euro risparmiato andrà investito per loro».
Da qualche parte però bisognerà pur tagliare per allontanare lo spettro dei licenziamenti dei dipendenti pubblici sul modello greco. Il Miur agirà su quattro capitoli di spesa. Sulla scuola innanzitutto, perché si può ancora provare a realizzare delle economie di spesa, sostiene Fiorentino. Si può infatti rendere più efficiente la gestione delle supplenze e mettere in condivisione spazi come biblioteche e segreterie. Non si sa ancora quanto e come si ricaverà ma i risparmi saranno reinvestiti all’interno del sistema scolastico, promette il ministero.
Il secondo capitolo riguarda gli affitti. Saranno escluse le scuole che non verranno toccate da questa razionalizzazione. Le strutture dell’amministrazione centrale del ministero dell’istruzione, università e ricerca costano ogni anno 12 milioni di euro di canoni.
I dipendenti centrali sono suddivisi in due sedi: il palazzo storico del Ministero su viale Trastevere dove lavorano 900 dipendenti e piazzale Kennedy all’Eur sede degli uffici dedicati all’università ma non solo, e dove lavorano 400 dipendenti. A disposizione hanno 40mila metri quadri, in pratica 100mq per ogni dipendente della struttura. Un po’ sovradimensionata, insomma. Non strategici anche due depositi a Fiano Romano, un paese a nord di Roma, e villa Lucidi usata per ospitare il sistema informatico e un centro di corsi di Formazione. Verrà tutto dismesso entro fine 2013 concentrando tutte le attività tra la sede centrale di Trastevere e gli uffici di viale Carcani. Totale del risparmio circa 9 milioni di euro, il 75% dell’attuale spesa che calerà da 12 a 3 milioni.
Uno degli interventi più delicati sarà quello che toccherà la riorganizzazione degli uffici amministrativi. Si sta studiando una rivoluzione delle funzioni e degli uffici che seguirà la linea dettata dal ministro Profumo: di un ministero non più autorizzativo, ma cooperativo. E quindi molto accento sulle funzioni di indirizzo e coordinamento mentre saranno ridotte le strutture che finora hanno gestito i processi seguiti per raggiungere gli obiettivi. Anche in questo caso al Miur non si sbilanciano sulle cifre né sul programma di riorganizzazione che potrebbe prevedere tagli o spostamenti interni.
Un’ultima quota di risparmi arriverà dai beni e servizi. Quando si faranno le gare si cercherà di aumentare l’uso dell’e-procurement. Si ricorrerà cioè all’acquisto on-line, in genere meno costoso: il risparmio atteso è di circa 100 milioni, il 15% della spesa attuale.
CORRIERE DELLA SERA - IL CASO DELLA SANITA’
MARGHERITA DE BAC
ROMA — La prossima vittima è la settima Giornata nazionale del malato oncologico, organizzata dalla Federazione delle associazioni di volontariato (Favo) presieduta dall’ex ministro Francesco De Lorenzo. Confermata la data, 19 e 20 maggio. Però una lauta fetta dei fondi stavolta non arriveranno. Il ministero della Salute ha deciso di ridurre il budget di 80 mila euro. Una delle numerose forme di mini-risparmio amministrativo che, tutte insieme, contribuiranno all’operazione spending review, piano coordinato dal ministro dei rapporti con il Parlamento Piero Giarda.
Quanto denaro verrà recuperato dal ministero della Salute con la manovrina? Il calcolo non è stato ancora fatto anche perché gran parte delle azioni di ridimensionamento gestionale sono in via di sviluppo. L’antipasto è di 5-10 milioni. «Tante piccole gocce possono fare un oceano», è il motto che circola al ministero retto dal professor Renato Balduzzi.
Sono in fase di studio e trattativa interventi ben più pesanti da attuare con provvedimenti strutturali che dovrebbero produrre un risparmio di 750 milioni. Come la riforma dei ticket e la creazione di un sistema uniforme in tutte le Asl italiane per l’acquisto di beni e servizi. In altre parole cerotti, gel per esami radiologici, siringhe e lavanderia avranno lo stesso costo. Un piano da approntare entro luglio.
Poi nel 2013 arriveranno i costi standard. Ogni prestazione sanitaria dovrà essere pagata in modo uguale in Sicilia come in Veneto, nel Lazio come in Lombardia. Il tutto si inserisce nel quadro di previsioni pessime. Secondo le tabelle del Def (documento di economia e finanza) la sanità costerà sempre più, nel 2014 di un miliardo almeno.
Intanto sono state riviste centinaia di piccole voci di spesa all’apparenza insignificanti. Le prime a risentirne sono state le Giornate nazionali istituite nel corso degli anni con decreti della presidenza del Consiglio. Quelle su Aids, trapianti, alcol, stati vegetativi si svolgeranno o si sono svolte con budget da austerity per un risparmio complessivo di un milione. In particolare per quella sugli stati vegetativi sono stati risparmiati centomila euro rispetto al 2011.
Colpo di spugna anche sui fondi per fiere, esposizioni e convegni, stand espositivi, pubblicazioni, affitto di sale per convegni. La manifestazione «Donne in sanità», dell’8 marzo, ha dovuto chiudere per mancanza di fondi, gli 80 mila euro che hanno reso possibile lo svolgimento delle precedenti edizioni non sono usciti dalle casse del ministero.
Resteranno delusi gli organizzatori della Fiera del cavallo di Verona che avevano ricevuto negli due anni una cifra di circa 250 mila euro. Quest’anno, hanno fatto sapere i funzionari del ministero della Salute, solo materiale informativo. Tra le scoperte di spese sostenute finora inutilmente, quel milione e mezzo di euro versati alla Rai per una convenzione che prevedeva la produzione di fiction o altri programmi per la promozione della salute. L’unico realizzato è stato un mini serial intitolato «Brava Giulia» e dedicato ai corretti stili di vita. I soldi dell’accordo non possono ovviamente essere recuperati e serviranno a organizzare altre iniziative televisive per sostenere le campagne del ministero.
Il contributo alla spending review deriverà in gran parte dalle economie domestiche. La moderna sede del ministero, all’Eur, edificio tutto vetro, alla periferia di Roma, da questa settimana verrà chiuso alle 18.30. A quell’ora luci e condizionatori spenti per ridurre il peso delle bollette e degli straordinari degli impiegati. Nessuno dovrà trattenersi oltre.
Niente più auto private per i trasferimenti dei funzionari dalla sede dell’Eur a quella centrale di Lungotevere Ripa. Istituito un servizio navetta con partenze ogni 10 minuti. Niente più auto blu e autista per 12 direttori generali. Balduzzi ha infine dato un impulso di discrezione a viaggi e trasferte per sé e i suoi. Mai voli di Stato, sì agli aerei di linea anche se con tre scali come è accaduto per la recente missione in una cittadina vicino Copenaghen per un incontro del Consiglio dei ministri dell’Unione europea. Ministro e collaboratori hanno viaggiato rigorosamente in classe economica.
Per quanto riguarda gli alberghi, precedenza ai quattro stelle, in camere normali. Dunque niente suite o superior. Tagli si sono abbattuti anche su spese di comunicazione, ufficio stampa, abbonamenti a servizi e organi di stampa, mazzette di giornali. Attenzione al consumo delle risme di carta e fotocopie. Già ora se ne consumano il 70% in meno.
Margherita De Bac
CORRIERE DELLA SERA - MARIO SENSINI
ROMA — «Un pacchetto di risparmi immediati e un metodo per il futuro». La spending review che arriverà oggi sul tavolo del Consiglio dei Ministri, conferma Palazzo Chigi, servirà anche ad operare un taglio alla spesa pubblica già sul bilancio del 2012. L’importo è ancora da determinare e difficilmente il governo si spingerà a definirlo già in questa fase. «Al presidente del Consiglio non piace creare aspettative fornendo cifre non certe», riferiscono le stesse fonti. Anche se la prospettiva di dare una sforbiciata al bilancio di 3 o 4 miliardi, già da quest’anno, viene ritenuta realistica dai tecnici che seguono il dossier.
Servirebbero a rinviare l’aumento dell’Iva previsto ad ottobre fino all’inizio del prossimo anno, e magari ridurre l’incremento delle aliquote che altrimenti salirebbero già da quest’anno dal 10 al 12% (quella agevolata) e dal 21 al 23% (quella ordinaria), con la prospettiva di un ulteriore aumento di mezzo punto a gennaio del 2014. Il gettito della manovra sull’Iva vale 3,2 miliardi solo negli ultimi due mesi di quest’anno, ma poi lievita a 13,1 miliardi di euro nel 2013 e a ben 16,4 miliardi di euro nel 2014 quando sarà scattato anche l’ultimo aumento previsto dal decreto Salva-Italia.
I 3 o 4 miliardi di risparmi che grazie al metodo della spending review sarebbe possibile realizzare immediatamente, spiegano le stesse fonti di Palazzo Chigi, sarebbero in ogni caso strutturali. Ed in quella misura potrebbero dunque consentire una riduzione altrettanto strutturale dell’Iva. Sul piano dei tagli, però, molto difficilmente si andrà oltre questo passaggio.
La spending review è un metodo, un sistema diverso di costruzione del bilancio pubblico, dove invece di discutere di quanto aumentare o ridurre un certo capitolo di spesa, vengono rimesse in discussione tutte le voci. E presuppone una minuziosa mappatura di tutte le leggi di spesa, che sono 21 mila, e scelte politiche radicali, sulle quali difficilmente il governo Monti si spingerà. «L’obiettivo è quello di individuare il metodo e gli strumenti per entrare nella macchina amministrativa dello Stato, ridurne i costi e migliorare l’efficienza dei servizi. Non c’è l’idea di eliminarli» dicono ancora a Palazzo Chigi.
Al ministro per i rapporti con il Parlamento Pietro Giarda, che sta curando il rapporto sulla revisione della spesa, dovrebbe intanto essere affidata una task-force per dare attuazione ai primi tagli da realizzare entro l’anno. Smorzare l’impatto dell’Iva è l’obiettivo principale, ma sarà realizzabile solo se tutti gli altri tagli già previsti dalle manovre del 2011 saranno effettivamente applicati. E non sono certo pochi, perché solo sui ministeri ci sono 6 miliardi di tagli sul 2012 e 2,5 sul 2013, (ed è a questo, e non alla spending review, che servono i piani di risparmio che stanno mettendo a punto Giustizia, Interni, Difesa e gli altri dicasteri), per una riduzione della spesa complessiva di 13 miliardi da qui al 2013. Rispetto ai quali il beneficio dell’abolizione delle Province, che la Bce (Banca centrale europea) è tornata ieri a sollecitare, rappresenta una goccia nell’oceano. Secondo la Ragioneria, l’amministrazione delle Province (perché non si può immaginare di tagliare le funzioni e il personale) costa circa 130 milioni l’anno. E già il decreto Salva-Italia le svuota di funzioni, con un risparmio atteso di 65 milioni di euro.
Mario Sensini
CORRIERE DELLA SERA - COME è NATA LA RICHIESTA BCE DI ACCORPARE LE PROVINCE
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
BRUXELLES — È solo un rapporto tecnico, non un’indicazione strategica al più alto livello: non viene cioè dall’ufficio di Mario Draghi e dintorni, l’indicazione della Banca centrale europea per un accorpamento delle Province. Ma ha lo stesso una sua storia, parte da lontano: precisamente dallo scorso 4 novembre, già Festa della vittoria, e nel 2011 data di un vertice G20 piuttosto tormentato per l’Italia. A Palazzo Chigi sedeva ancora Silvio Berlusconi, la crisi mordeva rabbiosamente, e a un certo punto i vertici dell’Unione europea cominciarono a discutere di un «monitoraggio» sul risanamento e la crescita italiana, da affidare in primis al Fondo monetario internazionale. Forse poiché l’idea era poco lusinghiera, non aveva nulla del complimento, Roma preferì parlare di «consigli bene accetti sull’applicazione delle conclusioni dell’Eurogruppo».
Alla fine si trovò un accordo: la Commissione europea e l’Fmi avrebbero dovuto stilare entrambe un rapporto su come l’esecutivo italiano applicava le misure anti-crisi presentate agli alleati del G20, sulle riforme delle pensioni, del lavoro, della competitività. Ognuno diede la sua lettura di quanto stava avvenendo: il presidente della Commissione José Manuel Barroso disse che era stata l’Italia a chiedere di sua iniziativa il monitoraggio dell’Fmi, altri parlarono senz’altro di un commissariamento da parte dell’Europa, Berlusconi in una conferenza stampa spiegò che l’iniziativa era «come una certificazione di bilancio nei confronti di una società commerciale». Poi passò un po’ di tempo. E ci fu una sorta di «pre-monitoraggio» con il viaggio a Roma di un gruppo di tecnici della Bce, un viaggio da cui nacque appunto una bozza di rapporto tecnico. La stessa, che probabilmente, con qualche variante e aggiornamento, è riemersa ora, suscitando qualche brivido nei palazzi delle Province. Da allora, il programma di monitoraggio del Fondo monetario internazionale è stato ritirato: è successo formalmente agli incontri di primavera del Fmi a Washington poco più di una settimana fa.
l.off.
REPUBBLICA - ANTICIPAZIONI
ROBERTO PETRINI
SCONGIURARE l’aumento dell’Iva e blindare il pareggio di bilancio previsto per il 2013. Ma se si riuscirà, e se il Consiglio dei ministri arriverà a questa determinazione oggi, anche dare un segnale alle imprese con un alleggerimento fiscale. Il tutto per circa 5 miliardi di cui 3-4 serviranno per disinnescare l’aumento dell’Iva al 23% che scatterà per legge da ottobre e forse un miliardo da destinare al rilancio dell’economia dando uno stimolo al sistema delle aziende ormai allo stremo.
L’INDICE CI BOCCIA Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Piero Giarda ha lavorato fino all’ultimo momento a quelli che ha battezzato "Elementi per una revisione della spesa pubblica", in pratica la spending review che significa revisione sistematica della spesa. Oggi Giarda illustrerà il Rapporto in Consiglio dei ministri: non un semplice intervento per quest’anno, ma un’azione profonda per impedire allo Stato di spendere male e in modo poco efficiente. Secondo il "Public sector performance", l’indice che ci dice come spendiamo i soldi pubblici, l’Italia è sotto la media europea: totalizziamo 0,83 mentre l’Europa si trova a quota 0,93; la Germania a 0,96 e la Francia a 0,93. La Grecia fa peggio di noi: l’efficienza della sua spesa pubblica è solo a quota 0,78.
Il Rapporto dovrebbe trasformarsi in un provvedimento di legge, con tutta probabilità un decreto, entro il mese di maggio, al massimo ai primi di giugno. A guidare l’operazione Giarda, affiancato dal viceministro dell’Economia Grilli e dal ministro della Funzione Pubblica Patroni Griffi. Da oggi si insedia anche un comitato operativo, una task force, che collaborerà con i ministri e che sarà composto da cinque-sei tecnici di nome. SALVA LA SANITA’ Cinque i ministeri passati al setaccio da Giarda: Interni, Giustizia, Difesa, Istruzione ed Esteri. Si tratta infatti della spesa pubblica centrale: restano fuori la Sanità, il pubblico impiego e gli enti locali. Ma il terreno di caccia agli sprechi rimasto non è poco. Duplicazioni e sovrapposizioni sovraccaricano la macchina dello Statoe rendono urgente un intervento. Dalle prefetture alle caserme, dai tribunali agli uffici Inps, Inail e dell’Ispettorato del lavoro. In prima linea c’è la Difesa: con gli Interni condivide le forze che gestiscono l’ordine pubblico: da una parte i Carabinieri, dall’altra la Polizia. Le sovrapposizioni ci sono: l’Arma, ad esempio, ha 5.000 presidi in tutto il territorio che spesso si intrecciano con strutture della Polizia. Ma difesa significa anche Esercito: il piano del ministro Di Paola già prevede di ridurre gli effettivi da 180 mila a 150 mila entro il 2024. Resta aperto il problema di come sistemare i 30 mila marescialli dell’esercito in esubero. Anche la Giustizia è nel mirino. Si va dalla razionalizzazione del personale di sorveglianza nelle carceri, fino al nodo dei Tribunali. In Italia si contano 165 Tribunali e Procure e, soprattutto, 220 sezioni distaccate dei Tribunali, spesso in piccoli centri, che sono oggetto di razionalizzazione. Occhio vigile anche sugli 848 giudici di pace.
TROPPI DIRIGENTI Il pubblico impiego non è al centro della spending review ma della partita della spesa efficiente fanno parte anche i vertici della Pubblica amministrazione. La quota dei dirigenti sui funzionari è alta: nelle sedi centrali dei ministeri ci sono 14,9 dirigenti per cento funzionari, contro 1,3 su cento nelle sedi periferiche. Anche Inps, Inail e Ispettorati del lavoro potrebbero subire accorpamenti negli uffici decentrati.
Aperto anche il problema delle Prefetture: in Italia sono 103, circa una per ogni provincia. Indipendentemente dagli abitanti o dall’attività il numero di dipendenti, funzionari e strutture è uguale in un grande centro del Nord o in un piccolo capoluogo del Sud. L’obiettivoè accorpare e mantenere una prefettura su un bacino minimo di 350 mila abitanti. Occhi puntati anche sulla scuola: la maggior parte delle speseè per il personale, ma serve un miliardo per l’acquisto di beni e servizi. E qui si può intervenire realizzando risparmi per circa il 15% attraverso l’intervento della Consip.
WIKIPEDIA - CHE COS’È IL COMMISSARIATO DI PUBBLICA SICUREZZA
Il Commissariato di Pubblica Sicurezza è una struttura dell’amministrazione della Polizia di Stato inquadrata nell’organizzazione territoriale della Questura. Lo si può definire ed intendere come una rappresentazione sul territorio di quest’ultima, un suo distaccamento, dal momento che in commissariato sono presenti, anche se in misura più ristretta ed adattati alle esigenze tecnico-operative del territorio coperto, i medesimi uffici e servizi disponibili in questura, dove sono invece articolati a livello provinciale.
La denominazione ricorda la funzione principe della struttura, che è la salvaguardia della sicurezza pubblica sotto gli aspetti penali, civili ed amministrativi.
I Commissariati di P.S. si distinguono in Sezionali e Distaccati, a seconda che insistano nella città capoluogo di provincia oppure in centri abitati presenti nella provincia; la differenza è che, nel caso dei Distaccati, il Dirigente assume anche le funzioni di Autorità locale di Pubblica Sicurezza (funzioni altrimenti esercitate dal Sindaco nelle città ove non è presente un Ufficio di P.S.).
All’interno del Commissariato, al pari della questura, sono in genere presenti uffici presso i quali il cittadino può espletare diverse pratiche di polizia amministrativa (rilascio o rinnovo del passaporto, del porto d’armi, delle licenze amministrative ai sensi dell’art.115 TULPS, del permesso di soggiorno, etc). Vi è anche un ufficio di Polizia Giudiziaria (oggi "Squadra Anticrimine") presso il quale è possibile sporgere, dinanzi ad un ufficiale di P.G., denuncia, emettere querela, presentare un esposto ed in genere effettuare la maggior parte delle possibili azioni di carattere giudiziario. L’ufficio può ricevere dall’Autorità Giudiziaria specifiche richieste di eseguire indagini e/o interventi.
I Commissariati di P.S. sezionali sono ubicati nelle grandi o medie città, mentre, i distaccati, si trovano solo in centri di grandi dimensioni, densamente popolati o con maggiori e specifiche esigenze di pubblica sicurezza.
Il Commissariato solitamente garantisce la presenza sul territorio di una "pattuglia di zona" (chiamata autoradio) per ogni turno, che va ad affiancarsi alle Volanti dell’omonimo reparto della Questura.
E’ diretto da un funzionario della Polizia di Stato col grado di Commissario Capo o di Vice Questore Aggiunto, o nei casi di quelli più grandi e importanti, di Primo Dirigente.
Questa struttura di Polizia ha una competenza territoriale specifica (giurisdizione). La suddivisione territoriale dipende e discende dagli accordi tecnici stabiliti negli anni Cinquanta fra l’allora Corpo delle Guardie di Pubblica Sicurezza e l’Arma dei Carabinieri, che attraverso il cosiddetto "Accordo Carcaterra", nel rispetto di una basilare completa copertura del territorio nazionale da parte di entrambi gli Enti, ed al fine di evitare controproducenti duplicazioni, indicava ai Carabinieri la copertura più diffusa del territorio rurale ed extraurbano (con l’insediamento delle stazioni e delle tenenze), mentre alla Polizia riservava quella dei grandi centri.
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