Cristina Taglietti, la Lettura (Corriere della Sera) 29/04/2012; Edoardo Camurri, ib., 29 aprile 2012
2 articoli – E’ L’ORA DEI NARRATORI IMPURI - G ramellini, Ligabue, Guccini, Volo, Verdone, Pivetti, Insinna: in questa prima parte del 2012 nelle classifiche dei libri più venduti sono sbarcati i «narratori impuri»
2 articoli – E’ L’ORA DEI NARRATORI IMPURI - G ramellini, Ligabue, Guccini, Volo, Verdone, Pivetti, Insinna: in questa prima parte del 2012 nelle classifiche dei libri più venduti sono sbarcati i «narratori impuri». Sono giornalisti, cantanti, attori: professionisti che a un certo punto decidono di raccontare una storia, molto spesso la propria, portandosi dietro lo zoccolo duro del loro pubblico. Se Ligabue con i suoi racconti subito balzati ai primi posti della top ten, ha proseguito su un terreno, quello della storia breve che indaga piccole vite di provincia, inaugurato una quindicina di anni fa con Fuori e dentro il borgo, il filone più battuto oggi sembra però un altro: quello del memoir del personaggio di successo, un modo per raccontare la propria vita, spesso sul filo della nostalgia, per fare il conto con le proprie origini, inanellare carrellate di incontri con grandi personaggi e aneddoti di intrattenimento. Prevalgono i sentimenti, il dolore, la memoria, a volte anche la confessione. Così Massimo Gramellini domina da parecchie settimane la top ten con il racconto di come ha scoperto, soltanto dopo molti anni, la verità sulla morte della madre (Fai bei sogni, Longanesi), mentre il conduttore televisivo Flavio Insinna, mattatore della tv popolare, ha fatto subito la sua apparizione tra i più venduti della prima settimana di aprile con Neanche con un morso all’orecchio (Mondadori), amarcord sentimentale che partendo dalla recente scomparsa del padre, medico siciliano della Marina al quale era molto legato, ripercorre la sua vita da eterno adolescente, la passione per il teatro e per la squadra giallorossa, l’amore per la sua città. Lacrime e umorismo sono stati gli ingredienti anche di un altro bestseller, Ho smesso di piangere (Mondadori), in cui Veronica Pivetti, altro volto noto della televisione popolare, ha raccontato senza censure il suo viaggio, lungo sei anni, nel buio della depressione. Vittorio Spinazzola, docente di Storia della letteratura all’Università Statale di Milano che da anni cura Tirature, annuario dedicato al rapporto tra attività letteraria e produzione editoriale (Il Saggiatore con la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori ha appena pubblicato Alte tirature, dedicato alla «grande narrativa d’intrattenimento italiana») guarda al fenomeno con interesse perché, spiega, «ci dice qualcosa sul mercato editoriale, ma anche su che cosa si muove nella testa, o nella pancia, dei lettori. Sono tutte forme letterarie, anche se, naturalmente, più o meno raffinate, più o meno di valore». E il successo dei memoir di personaggi famosi o della cosiddetta narrativa del dolore che cosa ci dice della nostra società? «Come è accaduto anche in altri periodi, la memorialistica assume una funzione di supplenza quando la narrativa è in stallo. È un genere in cui ci si rifugia anche per via della sfiducia nella politica, in momenti di crisi leggere le storie di quelli che ce l’hanno fatta, che non sono degli "sfigati" per usare un termine utilizzato anche da un nostro sottosegretario, ha una funzione consolatoria, come se ci fosse la necessità di avere personalità di riferimento. Insomma, si ripiega sul privato perché il pubblico non dà più fiducia. E poi c’è il bisogno di sentimenti forti, di emozioni che colpiscono e questo spiega il successo di libri come quello di Gramellini, ma anche di alcuni dei romanzi più interessanti degli ultimi tempi, da Acciaio di Silvia Avallone, a Come Dio comanda di Ammaniti a La vita oscena di Nove». Se Carlo Verdone con La casa sopra i portici (Bompiani) compie un lungo viaggio sentimentale che ruota intorno all’abitazione di via Lungotevere dei Vallati, sul Gianicolo, dove è vissuto, e omaggia inquilini e ospiti illustri, da Pasolini a Zeffirelli, da Alberto Sordi a Christian De Sica, Francesco Guccini (già narratore di gialli a quattro mani con Loriano Machiavelli), compila un vero e proprio Dizionario delle cose perdute (Mondadori), in cui passa in rassegna le buone cose dei tempi andati in una personale archeologia che scava nel periodo tra il dopoguerra e gli anni Sessanta: maglia di lana, scoperta della gomma americana e fascino dei treni a vapore compresi. «Quello dei libri ibridi è un fenomeno degli ultimi anni — spiega Giuliano Vigini, esperto di editoria —. Se guardiamo indietro, risalendo al 1975, quando la Demoskopea iniziò a rilevare le vendite per la nascita di "Tuttolibri" della "Stampa", non c’erano questi generi mescolati. C’erano i narratori, che si chiamavano Pasolini, Parise, Bevilacqua, García Márquez, Kundera e qualche saggio di giornalisti come Biagi e Montanelli. Oggi l’ibridizzazione della scrittura è un fenomeno a tutti i livelli, basti pensare anche a Saviano o a Nesi con quelle narrazioni che stanno a metà tra il romanzo, il saggio, il reportage». Se fino agli anni Novanta le classifiche erano appannaggio dei narratori, oggi anche la cosiddetta «Varia» la fa da padrona, basta guardare alla top ten di questa settimana, dove Fulvio Ervas, Alessandro Baricco e Massimo Carlotto sono gli unici narratori puri che resistono tra Ligabue, la dieta Dukan, la biografia degli One direction. «È venuta meno la creatività pura, per effetto di molte cose — dice Vigini —. Prima di tutto per il marketing e la pubblicità che sono sempre più forti, poi c’è il peso di passaggi televisivi che possono fare la differenza, come quelli a Che tempo che fa di Fazio. E anche le nuove strategie comunicative, basate sui social network, su una forma di passaparola, sono importanti. Questo genere, poi, trae molto beneficio anche dalla moltiplicazione dei canali. Prima si parlava sostanzialmente di un successo di libreria. Adesso la grande distribuzione, la vendita al supermercato, in aeroporto, alle poste, favorisce proprio questo genere di volumi, destinati a un pubblico televisivo, mediatizzato, che consuma velocemente. Poi non bisogna dimenticare le sinergie del franchising. Se pensiamo a Mondadori, per esempio, che ha 628 punti vendita tra librerie e edicole, la possibilità di spingere un libro si moltiplica e anche questo contribuisce a creare i grandi numeri. Intendiamoci: sono successi che vanno e vengono, spesso sono exploit di breve durata, a parte Fabio Volo che, in certi periodi, è riuscito ad avere quattro o cinque titoli, nelle varie edizioni, in classifica». Oggi è il momento dei cantanti, degli attori, dei giornalisti, personaggi che si portano dietro, anche nelle lettere, il loro pubblico, ma ci sono state anche altre ondate. «Quella dei comici, per esempio, cominciata con il successo della raccolta di Gino & Michele Anche le formiche nel loro piccolo si incazzano, e poi diventato un vero e proprio filone all’inizio degli anni Duemila — spiega ancora Vigini — . Il 2003, per esempio, ha segnato il trionfo dei comici e degli stupidari. Nella classifica generale dell’anno ci sono le barzellette di Totti, che furono un grande fenomeno e le battute di due comici di Zelig, Anna Maria Barbera e Flavio Oreglio. L’effetto imitazione conta sempre molto. E l’editore dev’essere capace non soltanto di individuare un potenziale successo, ma anche di gestirlo». Cristina Taglietti DIETE, COMPLOTTI, SIGARETTE: SONO IL PANE QUOTIDIANO DELLA «VARIA» DI SUCCESSO - Tra tutti i libri che vengono pubblicati, i più negletti, i meno recensiti, sono quelli che appartengono alla categoria definita «Varia». Sono quei volumi che non guardano né alla narrativa, né alla saggistica e che quindi non si sa bene come classificare. Fanno tenerezza. Sono manuali, ricettari, guide, rivelazioni; vendono tantissimo ma molti, cioè tutto il ditirambico mondo del cosiddetto ceto medio riflessivo e, come lo definiva Edmondo Berselli, delle professoresse democratiche, cioè coloro che credono nella funzione edificante del libro e della cultura come atto di civismo, mai ammetterebbero di leggere e di comprare. Ma qui sta il bello. Anche se non li leggono e non li comprano (crediamoci), nei libri della «Varia» si squaderna perfettamente, e senza troppi giri di parole, e senza il maquillage della poesia e del pensiero che piace, quello stesso universo di luoghi comuni di cui è fatta la pasta delle loro e delle nostre giornate. E qui si arriva al sugo del discorso. O quantomeno all’ipotesi un po’ scema che lo guida e che però forse consente, tenendoli insieme, di spiegare il successo di questi testi disgraziati e reietti. Inizio con un libro che solo in Italia ha venduto un milione e duecentomila copie e che è sempre in classifica: È facile smettere di fumare se sai come farlo di Allen Carr pubblicato da Ewi editrice (pagine 180, 10) e già ci si rende conto che siamo costretti a vivere in una situazione nella quale, per dirla con Cocteau, la salute assomiglia a quei brutti film dove si vedono dei ministri che inaugurano una statua. Non entro nel merito dei singoli libri di cui voglio parlare, diciamo che li percorro a volo d’uccello per costringermi ad afferrare il fenomeno generale, e neppure dico, per rimanere al primo esempio, che smettere di fumare sia in sé deplorevole, ma ho come l’impressione che succeda qualcosa d’inquietante. Si prendano per esempio i volumi, assai venduti, dedicati alle diete e al cibo. Come mi diceva un’amica, morto Dio non ci sono rimaste che le intolleranze alimentari, e leggere Vito Mancuso e cucinare le ricette di Benedetta Parodi diventa così un unico gesto. Un curioso incrocio di questo tipo, si può trovare nel libro che la scrittrice e avvocato Simonetta Agnello Hornby ha da poco pubblicato per Feltrinelli: un volume (tra i più venduti nella «Varia») di cucina e di riflessioni culinarie, scritto insieme a Maria Rosario Lazzati dove, oltre a biasimare il fatto che le intolleranze alimentari stanno frammentando il rito conviviale del mangiare perché la conversazione sul cibo non coinvolge tutti (pagina 19), si rimpiange e si evoca e si reclama un mondo, per dirla con Longanesi, un po’ da vecchie zie: «Le donne panificano seguendo uno spartito tramandato nei secoli di madre in figlia. (…) Mealie mealie, chapati o pane che sia, la ritualità e i movimenti delle donne africane, indiane ed europee sono tutt’uno: si concentrano, come la lattaia di Vermeer, nel versare l’acqua sulla farina (…). Oggi abbiamo perduto nozioni e sensazioni del nostro non lontano passato (…). I giovani non hanno idea di come si coltivi o si raccolga il grano» (La cucina del buon gusto, pagine 281, 16). Quando c’è la salute c’è tutto, Dio è morto, ormai non esistono più i sapori di una volta, le persone non comunicano più, e i giovani di oggi non sanno che si perdono. Sembra il riassunto di un libro di Umberto Galimberti, ma è l’effetto combinato dei libri di «Varia» che così vanno ad arredare l’iperuranio delle frasi fatte. Ma con una caratteristica che li riscatta: a prescindere dalla Hornby (in realtà, semplificando, autrice più da ceto medio riflessivo che da «Varia»), lo fanno in maniera spudorata, senza il corruccio della sofferenza, dell’impegno e della messa domenicale che ne consegue. La spudoratezza è tale che uno dei libri più venduti di questi anni, perennemente in classifica, s’intitola The Secret (l’autrice si chiama Rhonda Byrne e in Italia è pubblicato da Macro edizioni: pagine 198, 18,60). È un testo che presuppone dei lettori disposti a credere, ecco il segreto, che se uno pensa molto intensamente a una cosa questa cosa si realizza. E così, viene da immaginare, a forza di pensare a una sola cosa per vederla concretizzata si diventa dei fissati, dei monoscopi, dei maniaci ossessivi, degli occhi pallati, dei denutriti, dei tremolanti, degli esasperati. Ciò che implica The Secret, se si fa attenzione, si vede un po’ dappertutto: per esempio nell’opinione pubblica più avvertita che si convince che sia sufficiente la parola cultura per essere migliori; che basti ripeterla un’infinità di volte per stabilire una differenza tra sé e gli altri senza accorgersi che ormai questa retorica filistea, incarnata vivacemente nei libracci della «Varia» e rappresentata più tristemente nei tinelli per bene, è diventata invece uno dei segni di riconoscimento delle menti ordinarie. Edoardo Camurri