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 2012  aprile 28 Sabato calendario

LE FAIDE DOPO GLI AFFARI DELLA BANDA. COSI’ FINISCE UN MITO (SBAGLIATO) —

Chi la considerava un mito, adesso può rassegnarsi alla fine del mito. Alla dimostrazione che non esiste un livello criminale che ti mette al di sopra degli altri, e che se non sei in grado di uscire dalla malavita con la tua testa e le tue gambe il destino sarà sempre un’incognita tra la galera o la tomba. Perché continuerai a fare il criminale, e in tempi di crisi puoi incappare in una rapina dove ci lasci la pelle. Anche se appartenevi alla «leggenda» della banda della Magliana, o l’hai solo sfiorata.
Dopo tanti altri, è andata così pure ad Angelo Angelotti, che a 61 anni è morto in un’alba in cui tentava di raggranellare qualche gioiello insieme alla sua «batteria». L’età era da pensione, ma in quel ramo è difficile ritirarsi. La vecchia banda è finita da un pezzo; chi ne ha fatto parte sopravvivendo all’autocombustione che l’ha consumata e ha scelto di riciclarsi nella malavita ordinaria rischia di finire all’obitorio in attesa dell’autopsia. È cosi che tramonta un mito sbagliato.
Il caso ha voluto che Angelotti, da qualcuno battezzato «Caprotto», sia morto ammazzato pochi giorni dopo l’annuncio della prossima apertura di una tomba che dovrebbe sciogliere qualche mistero legato alla famosa banda di cui fece parte: quella di Enrico De Pedis detto Renatino, una delle anime della gang che quando si misero una contro l’altra ne provocarono la fine. Renatino fu inspiegabilmente sepolto nella cripta della basilica di Sant’Apollinare, tra papi e porporati, con tanto di apostolico permesso firmato dal vescovo vicario di Roma dell’epoca, il cardinale Ugo Poletti, dopo essere stato assassinato nel cuore della città, a due passi da Campo de’ fiori. Con la complicità proprio di Angelotti. Così hanno raccontato i pentiti e così ha stabilito una corte d’assise, anche se lui ha sempre negato ogni responsabilità in quell’omicidio.
Accadde ventidue anni fa, nel 1990. Quelli che volevano preservare l’anima «genuina» della banda avevano dichiarato guerra ai «testaccini» guidati da Abbruciati e De Pedis, i quali s’erano messi a trescare con qualche strano potere trasformando la banda in una sorta di «agenzia del crimine» a disposizione di chiunque offrisse denaro o protezione, commettevano omicidi per conto terzi senza metterne a parte gli amici e avevano preso una strada che non si sapeva dove avrebbe portato. Almeno questo pensavano i vecchi complici del traffico di droga su Roma, e questo raccontarono quando scelsero di evitare la galera collaborando coi magistrati.
Fu allora che cominciò la resa dei conti e che, per esempio, Edoardo Toscano detto «Operaietto» decise di ammazzare De Pedis perché non gli piaceva più come gestiva gli affari. Ma De Pedis arrivò prima di lui, e Toscano fu assassinato in una strada di Ostia mentre parlava con un panettiere che gli faceva da «cassiere», nel marzo del 1989.
Per tutta risposta gli amici di Toscano decisero di chiudere i conti con Renatino, e ci riuscirono quasi un anno dopo. Quello si guardava le spalle, serviva uno di cui si fidava che lo «portasse a dama», come dicevano loro in gergo, perché chi di dovere lo potesse «parcheggiare» con comodo. Fu scelto Angelotti, dissero i pentiti, che gli diede appuntamento per la compravendita di articoli d’antiquariato. De Pedis si presentò puntuale, e puntuali arrivarono i suoi killer a bordo di una moto, che raggiunsero il piccolo scooter sul quale se ne stava andando e lo riempirono di piombo.
A voler fissare il momento della fine della banda della Magliana nata alla fine del 1977 con il sequestro del duca Grazioli Lante della Rovere, quello può essere il più azzeccato. Da allora si andò avanti con la diaspora fino agli arresti e ai processi degli anni Novanta. Una volta scontate le pene, o scovato qualche altro modo per uscire, molti non hanno trovato di meglio che tornare a fare quello che facevano: i malavitosi. Ma non c’erano più l’ambiente e l’atmosfera di un tempo. Si sono dovuto adeguare a nuove realtà e nuovi complici. Com’è successo ad Angelo Angelotti, che evidentemente ha fatto male i calcoli dell’ultimo «colpo». Portandosi via i misteri appresi ai tempi della banda, penserà qualcuno. Chissà.
Se e quando si aprirà la tomba dell’uomo che secondo i suoi accusatori e giudici aveva contribuito a far uccidere, De Pedis, qualche altro enigma sarà risolto. O forse no, resterà tutto come prima perché si scoprirà che in quella cripta ci sono semplicemente i resti di un criminale. Ma insieme alla morte di Angelotti, sarà un’altra stoccata al mito ingannevole della banda della Magliana.
Giovanni Bianconi