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 2012  aprile 29 Domenica calendario

ADVISOR&BICICLETTE. I COMUNI IN ROSSO - «Impugnare il manubrio. Sedersi sul sellino. Posare il piede sul pedale…» A Bolzano sono arrivati a inventarsi un corso di bicicletta per immigrate: 21 mila euro

ADVISOR&BICICLETTE. I COMUNI IN ROSSO - «Impugnare il manubrio. Sedersi sul sellino. Posare il piede sul pedale…» A Bolzano sono arrivati a inventarsi un corso di bicicletta per immigrate: 21 mila euro. Settecento ad allieva. Vanno in bici anche in Perù o in India? Sì, ma non alla bolzanina. L’ultima volta la commissione municipale ha detto no. Prova provata che ormai la crisi morde anche i Comuni tradizionalmente meno sparagnini... Il fatto è che, in attesa di vedere quale sarà il gettito dell’Imu, sono nei guai anche quei Comuni convinti storicamente di essere in una botte di ferro. Come Siena. Dove l’altra sera, per la prima volta, lo scontro fratricida all’interno del Pd ha portato alla clamorosa bocciatura del bilancio consuntivo. Da sempre fatto con la serenità di chi sapeva di contare sul Monte dei Paschi, la grande banca le cui mammelle parevano dover buttare latte per l’eternità come quelle dell’egizia Vacca Celeste, emersa dalle acque reggendo fra le corna il sole. Macché, le mammelle non buttano più come prima. Colpa della crisi, di certe scelte sbagliate, del progressivo sbandamento dell’Istituto. Per controllare il quale le due anime democratiche si sono scontrate con una cattiveria agonistica che manco i fantini al Palio. Finché, appunto, la componente margheritina ha deciso di votare con l’opposizione di destra contro il bilancio presentato dalla maggioranza di cui fa parte. Una sterzata che ha mandato su tutte le furie i diessini, fino a sentire risuonare l’insulto: «Siete peggio di Scilipoti!». Che la situazione si stesse deteriorando era chiaro da un pezzo. Tanto che alla manifestazione di marzo dei dipendenti del «Monte» c’era un cartello che invocava l’arrivo ai vertici della rockstar cittadina: «Gianna Nannini presidente!». Meglio lei, piuttosto che lo spettacolo offerto dalla rissa fra il Comune, guidato dall’ex diessino Franco Ceccuzzi, e la Fondazione Montepaschi, presieduta dall’ex margheritino Gabriello Mancini. Una scazzottata così violenta da costare il posto al direttore de La Nazione Mauro Tedeschini, saltato per avere dato conto d’un comunicato ufficiale della Fondazione che non dava per scontato il sostegno all’emissione di certi Buoni comunali fondamentali per il Municipio. Una telefonata dell’editore Andrea Riffeser, racconta Tedeschini, l’aveva raggiunto sul Frecciarossa per Bologna: «Passi in amministrazione. C’è una busta per lei». Dentro, la lettera di licenziamento. Chi tocca i fili muore. E i fili sono, appunto, quelli che collegano il Monte dei Paschi al Comune. Siena è il Monte e il Monte è Siena. Basta un numero: in una città di 50 mila abitanti, settemila prendono lo stipendio dalla banca. Fra questi, anche gli uomini che di volta in volta si sono alternati alla guida della città e della politica cittadina. E che magari sono poi finiti anche in Parlamento. Il Monte è tutto: la squadra di basket, la squadra di calcio, il Palio. Tutto. A lungo, prima della traumatica cessione di una quota che ha fatto scendere l’azionista pubblico sotto il 51%, il Comune ha dominato la Fondazione, a sua volta padrona del pacchetto di maggioranza del gruppo bancario. E a lungo questa è stata una sicurezza: male che andasse, c’era il Montepaschi. Oggi non più. Anzi, il controllo della politica sulla banca si rovescia squassando la politica. Aggiungendo crisi a crisi. Certo, anche tra i Comuni, nonostante siano esposti per 50,2 miliardi (rapporto Bankitalia) c’è chi rifiuta di prendere atto della crisi. Si pensi a Comitini, il paese siciliano finito sul New York Times per il record planetario di un impiegato comunale ogni 14 abitanti e tornato in prima pagina un paio di mesi fa per la scelta di regalare una crociera ai vecchi e agli scolari di terza media. Né mancano esempi poco virtuosi al Nord. Racconta Il Gazzettino che il sindaco di Porto Viro Geremia Gennari e altre nove persone stanno per volare a Veranapolis, una città brasiliana popolata da nipoti di emigranti polesani. Costo del viaggio: 11.132 euro. Somma che porterebbe il conto finora pagato per il gemellaggio, accusano le opposizioni, a 50 mila euro. Per non parlare del capitolo dei gettoni di presenza: com’è possibile che per fare lo stesso lavoro nella stessa regione i consiglieri di Padova prendano 46 euro a seduta, quelli di Treviso 92 e quelli di Verona 160? È accettabile che il consiglio comunale di Bolzano spenda 7.500 euro di gettoni e spese varie per riunirsi avendo all’ordine del giorno il «Festival del camminare»? Dobbiamo rassegnarci all’andazzo di Palermo dove a febbraio i soli gettoni di presenza sono costati 141.219 euro per una media di 2.824 euro a consigliere? Ma c’è soprattutto un altro gigantesco capitolo di spesa. Mentre lo Stato privatizzava, in periferia scoppiava la febbre delle imprese pubbliche. Al punto che, dice un’indagine Anci, le sole imprese controllate dai Comuni sono 4.206, di cui 3.766 attive. Un patrimonio di 27 miliardi di euro senza considerare i pezzi forti: le società quotate in Borsa. Dall’Hera all’Acea, alla A2A. Se guadagnano si fanno quadrare i bilanci, se perdono pazienza. In ogni caso, c’è l’utile politico. Come la sistemazione dei trombati. La Corte dei conti, nel marzo 2009, aveva censito 38 mila poltrone. Con il risultato che «in media 12 persone occupano i posti di comando» in ogni municipalizzata. Se la dimensione media è di 68 dipendenti, c’è un generale ogni 5,6 soldati. Il 79% delle società locali pubbliche è al Nord, il 21% al Sud. Impietoso il raffronto con le imprese private negli stessi settori. Il valore aggiunto per addetto è inferiore di quasi il 40%: 60.600 euro contro 98.000. Il margine operativo è appena superiore alla metà: 30,3% del valore aggiunto contro il 57,2%. La redditività è poco più che un quarto: il 3% del capitale investito contro l’11,2%. E i rischi, talvolta, sono enormi. Valga il caso dell’Amia di Palermo, sprofondata in una voragine di 120 milioni, con ripercussioni drammatiche. Il fatto è che certi Comuni, grazie a questo meccanismo infernale, sono diventati delle multinazionali. Politiche. Roma Capitale ha 62 mila dipendenti. I 25 mila «comunali» più gli stipendiati delle società controllate o partecipate, che occupano tanti addetti quanti ne lavorano per l’Enel dal Brennero a Lampedusa: 37 mila. Più 1.409 «fuori ruolo». Secondo l’Ifel, il centro studi dell’Associazione dei Comuni, i «comunali» italiani sono 459.591, cioè 7,59 ogni mille abitanti. A Roma 9,10. A Milano, stando ai dati del 30 settembre 2010, addirittura di più: 12,15. Ma mentre in Lombardia il numero via via si riduce, intorno al Colosseo ha continuato ad aumentare. Grazie, appunto, alle società. Il Campidoglio ha 21 partecipazioni dirette, ma attraverso queste detiene altri 140 pacchetti azionari. Comprese la Adir (Assicurazioni di Roma) e una società costituita per capire quello che succede nelle altre società. Da quando si è insediato Gianni Alemanno, il boom: il personale delle aziende capitoline sarebbe cresciuto di almeno 3.500 unità. A fine 2010, dopo un’impennata di 684 assunzioni in due anni, l’Atac era a 12.817 dipendenti: quanti Alitalia. A dispetto di un quadro da far accapponare la pelle: un buco di un miliardo. Sempre alla fine del 2010, dicono i bilanci, i dipendenti dell’Ama (rifiuti) erano 7.840. Dopo un incremento in due anni di 1.518 unità. Quanto all’Acea, paga 6.822 stipendi. Alcuni a Santo Domingo, dove ha sede l’Acea Dominicana, altri in Colombia, dov’è Aguazul Bogotá... Perché una municipalizzata va a investire dall’altra parte dell’Atlantico? Misteri... Inarrivabile, però, è il record di «Risorse per Roma», la società di «advisor» (testuale!) dell’amministrazione. Per consigliare gli amministratori a gestire bene, ha sul libro paga 565 persone: 338 più di quante ne avesse nel 2008. Un aumento del 148,9%. Sergio Rizzo Gian Antonio Stella