Aldo Grasso, Corriere della Sera 28/04/2012, 28 aprile 2012
VESPA, NUMERO UNO SENZA HUMOUR
Bruno Vespa ha celebrato le duemila puntate del suo talk (Rai1, giovedì, ore 23.20). Tutto era iniziato il 22 gennaio 1996 con un’intervista a Prodi (una delle tante colpe di Prodi?) e tutto è andato avanti con la creazione di quel teatrino della politica di cui Vespa è grande protagonista. Una serata di rievocazioni e di omaggi, da Berlusconi a Rino Fisichella, da Crepet a Simona Ventura, a tanti altri. Nel salotto di «Porta a porta» ci sono andati tutti (persino Curcio, persino Sofri) e forse si farebbe prima a stilare l’esiguo elenco di chi ha declinato l’invito.
Come ho detto più volte, Vespa non è un santo del mio paradiso, ma gli vanno riconosciute doti di grande professionalità. Nel suo campo, è un numero uno, tanto che Cossiga vergò per «Porta a porta» una definizione ancora oggi valida: il terzo braccio del Parlamento. Per dire che la Rai è sempre stata un’emanazione diretta del potere politico e alcuni suoi giornalisti incarnano molto bene questo stretto legame. Un tempo, mi ero convinto che la scarsa affinità con le chiacchiere di «Porta a porta» dipendesse soprattutto dai modi curiali del padrone di casa, da certe affettazioni di gravità, dal compiacimento di indossare le vesti di Cerimoniere di Palazzo.
Forse mi sono sbagliato, in tv molti agiscono così e poi Vespa si comporta allo stesso modo, sia che parli di politica, di cronaca nera o di spettacolo. Il personaggio mi è estraneo perché non conosce lo humour. Ridere ride, non disdegna battute, a certe bonazze lancia anche sorrisi ammiccanti, ma è totalmente privo di quella particolare specie di comicità che «rende ambiguo tutto ciò che tocca» (Octavio Paz).
Insomma, a «Porta a porta» ogni ospite finisce per incarnare un esempio di qualcosa, una verità preesistente, e ogni parola diventa una fervida disponibilità a tranciare giudizi. Senza humour non c’è curiosità, non c’è conoscenza. Solo numeri.
Aldo Grasso