BRUNO QUARANTA, Tuttolibri-La Stampa 28/4/2012, 28 aprile 2012
Magris, il Meridiano passa per Trieste - Di targa in statua, in libreria. Joyce che in una conferenza celebra l’Irlanda isola dei santi e dei savi
Magris, il Meridiano passa per Trieste - Di targa in statua, in libreria. Joyce che in una conferenza celebra l’Irlanda isola dei santi e dei savi. Saba che fuma la pipa. Svevo che entra nel palazzo della Borsa, richiamato dai doveri commerciali. Quando si ha diciotto anni, come non pensare che la vita è altrove, volendo sfuggire a una dimensione angusta, museale? Il mito absburgico di Claudio Magris, da cui gemma il Meridiano (il primo di due) appena uscito, deve non poco all’insofferenza giovanile: «Fu così che presi le distanze dalla mia città, raggiungendo Torino per gli studi universitari. Sotto la Mole, la nostalgia mi farà accostare le glorie locali, sino ad allora soverchiate da Dostoevskij, Proust, Tolstoj... Frequentandole sulle pagina (e in carne e ossa: da Biagio Marin a Guido Deve- scovi, sentiti come compagni di scuola) risalirò alla storia prenatale, al mondo absburgico, il tema della tesi di laurea architettata con Leonello Vincenti. Finalmente avevo acquisito il senso della letteratura austriaca. D’altronde, neppure Slataper, grande interprete di Ibsen, si accorse di Musil e di Kafka... No, senza Torino non avrei scritto». Non bisogna forse stare in un caffè come l’ape nel miele? Il triestino San Marco è l’alveare di Claudio Magris. Un microcosmo a forma di elle, una clessidra che puntualmente rinnova il patto con il tempo, un’agorà di silenzi, di biglietti affidati al fantasmatico cameriere, di conversazioni che hanno il respiro della tregua, illudendo gli avventori che non saranno travolti dalle prossime o future incombenze. Il San Marco è tra le officine del Meridiano, la maggiore. Giorno dopo giorno scribacchiando. Come scribacchiavano i «randagi» del viennese Café Central, difendendo, «ironici e disillusi, un margine estremo di irriducibile individualità, le schegge di un incanto...». La casa di Peter Altenberg, «il poeta senza casa», è una stazione di Danubio , l’inventario di civiltà che - avverte Magris - «esige tre grazie in particolare: a Marisa Madieri (fu lei ad avere la prima idea, sospingendomi, con i nostri figli, a bighellonare lungo il fiume più giallo che blu, fino al Mar Nero), ad Alberto Cavallari, allora direttore del Corriere della Sera (mi invitò a trascorrere alcuni giorni a Vienna, sollecitandomi a tornare con un rigagnolo da alimentare) e a Paolo Bozzi, compagno di viaggi che mi ha insegnato a vedere le cose. Ma ogni libro deve tanto a tante persone. Per esempio Jole mi ha tagliato una pagina che rovinava il finale di Alla cieca . Lo sapevo sotto sotto anch’io, ma non volevo ammetterlo». Dopo Italo Svevo e Umberto Saba, Claudio Magris è il terzo triestino che approda al Meridiano. Si succedono le birre al San Marco. Come alla Dauphine parigina di Maigret e, chissà, di Joyce. Come in «Dopo la tristezza», fra le liriche del Canzoniere : «E della birra mi godo l’amaro...». «Svevo, nessuno come lui - rammenta Magris - ha compreso la trasformazione che avviene nell’uomo, la discesa nell’abisso nichilista. Zeno che si accorge come il pericolo non è essere infelici, ma non desiderare la felicità. E Saba, ossia la capacità di dire tutto, al di qua del bene e del male: ciò che Nietzsche voleva essere. In lui non c’è morale, com’è assente nel bambino e nella vita, quando a signoreggiare è la felicità o l’infelicità». Trieste e oltre. La Grado di Biagio Marin, un suo verso suggella Danubio : «Fa che la morte mia, Signor, la sia comò ‘l scôre da un fiume in t’el mar grando». Non parrebbe generosa la musa indigena con Claudio Magris: «Al dialetto, che parlo sempre, anche discorrendo di Kafka, ho fatto ricorso letterariamente solo nella Mostra , un’opera teatrale, là dove si dà voce allo spappolamento, al grado zero». Nel Meridiano, a rappresentare il teatro, il monologo Le Voci eStadelmann , il segretario di Goethe che non è mai riuscito a capire «quale festa ci sia da gustare», a differenza del Poeta, a cui «importava che niente, e neanche la poesia, guastasse la festa della vita». «Propenderei per Goethe - non esita Magris -. Pur essendoci poco da festeggiare, riconosco di essere stato, di essere, un uomo fortunato». Dall’artefice di Faust a Thomas Mann - il Pantheon tedesco quale specchio - che ritrae l’artista come un essere non morale, «bensì estetico». «La letteratura non ha un obbligo etico, ancorché, in certi casi, possa avere un risvolto di questo genere. Racconta l’esistenza, l’umana commedia o l’inaccettabile tragedia. Già il Vangelo - Magris riapre Matteo - annuncia che il sole splende sopra i malvagi e sopra i buoni, sopra Mengele e sopra Primo Levi». Trieste e oltre. La Gorizia di Carlo Michelstaedter, il filosofo di La persuasione e la rettorica , ulteriore tesi di laurea assurta a bussola del Novecento, che si ucciderà nel 1910. «E’ il testimone del presente che distruggiamo di continuo, incapaci di viverlo, proiettati come siamo nell’attimo successivo od ostaggi di quello precedente. Si distingue per la forza con la quale ci dice come il pensiero occidentale sia permeato di simile dramma». Michelstaedter è evocato nel romanzo breve (nel Meridiano illustra la narrativa con Illazioni su una sciabola eIl Conde ) Un altro mare . In greco - la lingua sommamente propria di Carlo - l’incipit: «La virtù porta onore». «Il greco e il tedesco sono le lingue della filosofia - osserva Magris -. Nel gre- co, a risaltare, è un misto di chiarità e di violenza. E’ o non è l’alfabeto della tragedia?». Trieste e oltre. Nella Fiume di Ladislao Mittner, l’autore di una cardinale Storia della letteratura tedesca . «Giuliano Baioni, magistrale esegeta di Kafka e di Goethe, mi considerava l’unico figlio naturale di Mittner, non essendone stato allievo diretto. Ad accomunarci - secondo Baioni - l’approccio alla letteratura. La letteratura come epifania del mondo, prima di indagarne la tecnica, i congegni, le formule». Trieste e Trieste. Bobi Bazlen, ambasciatore princeps in Italia della letteratura mitteleuropea, come pulserà nel catalogo Adelphi. «Non mi è mai capitato di accostarlo - lascia trasparire uan sorta di estraneità Magris, dissimulata alzando lo sguardo verso le maschere del San Marco -. Ma non credo che avremmo legato. In lui coglievo un divario non lieve fra intelligenza e comprensione». Forse una sola volta Magris interloquisce con Bazlen, in Lontano da dove , dissentendo da Joseph Roth, che nelle lettere infierisce su Thomas Mann, «il cui spirito non è all’altezza del suo talento»: «Insomma, come avrebbe detto più tardi Bobi Bazlen, dotato più di “Leistung” che di “Substanz”». Lontano da dove , Roth e l’esilio ebraico. «In realtà - puntualizza Magris - è Isaac Bashevis Singer il volto dell’esilio. La tradizione ebraico-orientale è per Roth una realtà perduta. Nei suoi confronti si pone come epigono. A differenza di Singer, un postumo vivo. Di Singer mi folgorò un racconto, negli anni Sessanta, una sorta di Paolo e Francesca yiddish. Gli scrissi il mio entusiasmo». Completa la saggistica trilogia mitteleuropea L’anello di Clarisse (non nel Meridiano): «Dove perfeziono Il mito absburgico . L’ultimo capitolo, soprattutto, dedicato al rivoluzionario romanzo conoscitivo austriaco, Musil, Broch...Il laboratorio della crisi, della dissoluzione, il tramonto dell’epica. Il romanzo musiliano al congiuntivo che dissipa il romanzo all’indicativo. E’ la frantumazione dell’io. E’ il trionfo dell’ironia, dell’autoironia, dello scetticismo: la Storia va così, ma potrebbe andare altrimenti, è paragonabile al fluttuare delle nuvole in cielo, non alla traiettoria di una palla da biliardo». Vanno e vengono, le nuvole, nel cielo di Trieste. Perché non celebrare il Meridiano di Magris - uno spirito che vede senza essere visto, emulo di Singer - ascoltando il tuo cuore, città, una «greca» lirica voce poco fa, Virgilio Giotti? «Spiovazza. Ombrele negre,/ drite, storte, le cori / le scampa. [...] ’N omo se ga fermado / soto un’ombrela sbusa. / El varda i fioi che sguazza / nel ziel de ’na calusa».