Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 28 Sabato calendario

Partito socialista 120 anni di liti - Libri (a cominciare dall’ultimo volume, 1992-94, dedicato agli anni di Craxi) documentari, mostre fotografiche, dibattiti

Partito socialista 120 anni di liti - Libri (a cominciare dall’ultimo volume, 1992-94, dedicato agli anni di Craxi) documentari, mostre fotografiche, dibattiti. A centoventi anni dalla nascita e a venti dalla fine, se non dei socialisti, del partito craxiano, c’è un futuro per il socialismo in Italia? E’ questa in fondo la domanda al centro delle celebrazioni che stamane al Cinema Sivori di Genova aprirà il segretario del rinato Psi Riccardo Nencini e che si concluderanno in autunno a Roma con un convegno, a cui parteciperà anche il Presidente della Repubblica Napolitano, a cura del “Comitato per le celebrazioni del centoventesimo anno della nascita del Psi”. Al Comitato aderiscono le maggiori fondazioni culturali socialiste e, per la prima volta, novità da sottolineare, anche l’Istituto Gramsci, nato in area comunista. Un manifesto di inizio Novecento del partito socialista. Sopra uno dei fondatore Filippo Turati In tempi di grande crisi dei partiti vecchi e nuovi, lo storico (non c’è altro modo di definirlo) anniversario dei centoventi anni del Partito socialista - celebrata oggi a Genova, nella stessa Sala Sivori in cui il 14 agosto del 1892 fu fondato da Filippo Turati, Anna Kuliscioff e Andrea Costa -, farà sicuramente molto discutere, anche per un paradosso: si parla della nascita del primo e per molti anni maggior partito della sinistra italiana, la cui morte è stata ufficialmente dichiarata nel 1994, con la caduta di Craxi dopo Tangentopoli. Da allora in poi sono stati molti i tentativi falliti di rianimarlo. In Francia in dieci anni sono passati dalle stalle del ballottaggio Chirac-Le Pen, che sembrava preludere a un declino irreversibile, alle stelle di Hollande alle soglie dell’Eliseo. In Germania hanno vinto e perso con Schroeder e governato con la Merkel, cosa che sembra si accingano a rifare. E anche in Inghilterra, dopo la sconfitta postblairiana, il calvario dei laburisti all’opposizione sembra accorciarsi, grazie alla crisi dei conservatori. Solo in Italia, sia detto con tutto il rispetto per quelli che provano ancora a ricominciare, per i socialisti da venti anni è il tempo malinconico delle commemorazioni. «E delle divisioni, la malattia che il partito ha sempre covato al suo interno e ha esportato in tutto il campo della sinistra», aggiunge il senatore Gennaro Acquaviva, a lungo braccio destro di Craxi e con lui a Palazzo Chigi nei quattro anni del governo a guida socialista. Al dunque, era scritta nel dna delle origini la grande frattura tra massimalisti e riformisti, anarchici, rivoluzionari e governativi, o se si preferisce tra Antonio Gramsci e Filippo Turati, che ha attraversato il secolo dei partiti dei lavoratori e ne ha deciso le sorti. Per Acquaviva, che come presidente della Fondazione Socialismo ora affronta il problema sul piano storico e culturale, l’ispirazione iniziale però era quella riformista. Andrea Costa, primo deputato emiliano, eletto alla Camera già nel 1882, dieci anni prima dell’avvento del partito, era andato a cercare i socialisti nei campi durante la trebbiatura e aveva ricostruito per loro un meccanismo di comunicazione e una simbologia dell’azione politica mutuati dalla Chiesa e dai cattolici: l’assemblea al posto della messa, il tesseramento come battesimo e perfino i matrimoni socialisti, perchè Costa, come officiante del nuovo culto laico, s’era spinto anche a consacrare certe unioni illegittime fatte di fame e ansie rivoluzionarie. Il vero Manifesto di quel partito era il libro Cuore, scritto dal socialista Edmondo De Amicis, e costruito sull’illusione di smontare il modello del capitalista lombardo cattivo e sfruttatore, convincendolo, almeno sul piano letterario, ad aprirsi alla comprensione dei problemi, delle sofferenze e della difficile sopravvivenza dei lavoratori, nell’Italia paleo-industriale di fine Ottocento. Turati, l’intellettuale, verrà a dare veste teorica, oltre che leadership politica, a questa miscela di valori pre-sociali e umanesimo, in aperta concorrenza con i movimenti cattolici che devono ancora farsi partito, e in contrapposizione con uno Stato che tende a usare la maniera forte (la rivolta del pane del 1882 e le cariche di Bava Beccaris). Costa, il sindacalista dei contadini che nel 1867 aveva fondato con l’anarchico Bakunin la Lega internazionale dei lavoratori, è un politico nato con il talento del negoziato e della mediazione. Ed era un’ebrea russa inizialmente anarchica la Kuliscioff, ginecologa, intellettuale, compagna di vita di Turati, fondatrice con lui nel salotto della loro casa milanese di Critica sociale , la rivista teorica che precedette di un anno la nascita del partito, e prima ancora legata sentimentalmente a Costa, da cui avrà una figlia, Andreina, cresciuta nel fuoco della clandestinità semirivoluzionaria, e, forse anche per questo, fuggita verso un matrimonio e una condizione di vita borghesi e conservatori, con due figli, ironia della sorte, che si faranno prete e suora. E’ da questo terzetto, e in aperta rottura con i massimalisti, che faticheranno prima di trovare in Arturo Labriola ed Enrico Ferri leader degni di competere, che nel 1892 nasce il partito, inizialmente «dei Lavoratori», e dal 1894, e per un secolo esatto, «socialista». La frattura delle origini, quasi trent’anni dopo, nel 1921, nel pieno del «biennio rosso» delle occupazioni delle fabbriche e alla vigilia del fascismo, porterà alla scissione di Livorno e alla nascita del Partito comunista. Turati e Gramsci si separano per sempre. Ed anche se il problema di un unico grande partito accompagnerà la sinistra italiana per il resto della sua storia, da Nenni e Togliatti (con la sola disastrosa eccezione del Fronte popolare del ’48), ad Amendola e Ingrao, a Craxi e Berlinguer, per arrivare, anche adesso che i socialisti non sono più in gioco, a Bersani e Vendola, le divisioni l’hanno sempre avuta vinta. E a causa delle divisioni, la sinistra ha visto sfumare tutte le grandi occasioni storiche che la riguardavano, comprese le più recenti. In un excursus di oltre un secolo non può certo essere trascurato lo scenario internazionale. Il Psi nacque in fondo sul modello dei socialisti tedeschi con i quali i rapporti rimasero intensi e fecondi. Garibaldi fu un’icona protosocialista, non solo per gli italiani, ma anche per i laburisti inglesi, che lo accolsero in centocinquantamila al suo arrivo nel Regno Unito. Acquaviva suggerisce di guardare anche ad Est, alla Mosca comunista da cui per decenni venivano aiuti e incoraggiamenti ai partiti «fratelli» e anatemi per i riformisti «revisionisti»: «Una storia lunghissima - spiega il senatore che comincia quando Turati e Costa vanno a parlare con Lenin dopo la fine della Prima Guerra Mondiale e, allibiti, si sentono dire: “Ne avevate uno buono, Mussolini, e l’avete cacciato! Ma perchè?”». Va da sé che l’ex-socialista Benito era già il capo dei neonati fascisti.