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 2012  aprile 28 Sabato calendario

“Sono un uomo distrutto Ora riprendo la mia vita” - Sono le 13,34 quando Raniero Busco ascolta le parole che gli restituiscono la vita: assolto per non aver commesso il fatto

“Sono un uomo distrutto Ora riprendo la mia vita” - Sono le 13,34 quando Raniero Busco ascolta le parole che gli restituiscono la vita: assolto per non aver commesso il fatto. Crolla tra le braccia della moglie e del fratello, in lacrime. Ha in tasca il bigliettino che gli hanno dato i figli. «Papà ti vogliamo bene, speriamo che finisca tutto». E’ così. Raniero correrà a casa a dire a Riccardo e Valerio, dieci anni, che «è finito tutto». «I bambini non riuscivano a prendere sonno ieri sera e sono venuti nel lettone», racconta Roberta Milletarì, la moglie di Busco, che è stata il suo motore nei momenti più bui, le braccia in cui si è accasciato dopo la sentenza di primo grado. Neanche la felicità riesce a cancellare i segni del dolore. Raniero Busco parla con fatica, esausto. Assolto. Una parola che le restituisce molte cose. «Mi ridà la mia vita prima di tutto. E riconsegna un padre a suoi figli. Quando in primo grado mi hanno condannato, mi sono sentito male perché ho pensato: “adesso mi portano via i bambini”. Poi mi hanno spiegato che non sarebbe successo». Cosa sanno i suoi figli? «Dopo il rinvio a giudizio ho dovuto iniziare a spiegare qualcosa. Sanno ma non vogliono parlare di questa vicenda. Purtroppo la preoccupazione, il dolore non mi hanno permesso in questi anni di stare accanto a loro come avrei voluto. Ero comunque in una prigione. Li ho trascurati perché il pensiero andava sempre al processo». Cosa non potrà mai superare del processo di primo grado, oltre la condanna? «Le parole “Non esiste alternativa a Busco” e il campanello della Corte che rientrava». Il procuratore generale in corte di Appello l’ha descritta nella sua requisitoria come una persona violenta capace di tremendi scatti di ira. Ha detto testualmente che lei ha rotto la testa a una sua vicina. «Non sono così. La violenza non mi appartiene. In aula sono state dette cose non vere perché si è fatto riferimento a una denuncia per un diverbio con la vicina di casa poi ritirata sia da lei che da noi. Il disaccordo era nato tra mio fratello e il figlio della signora, io sono capitato in mezzo e nel parapiglia la signora è caduta». Accanto a Busco c’è la moglie Roberta che scuote la testa. «Raniero è buono e non farebbe mai male nemmeno a una mosca, non potrei stare insieme a lui se non fosse così». Come si è sentito in questi anni? «Impotente, arrabbiato, disperato a volte. La cosa che mi ha fatto più male è stata ascoltare in aula mentre mi descrivevano come un cinico, violento, freddo, capace solo di chiedere sesso a una donna, senza sapere nulla dime e del mio vissuto». Certo Simonetta nelle lettere che scrive a volte ha grandi sfoghi di rabbia nei suoi confronti. «Ma erano sfoghi di una ragazza di vent’anni innamorata di un ragazzo che certamente non provava le stesse cose. Ma io questo l’ho sempre detto, dalla prima volta che mi hanno interrogato. Ma le volevo bene e la rispettavo. Stavamo insieme da un paio di anni, anche se c’è stata qualche interruzione. E quell’estate certamente il legame stava scemando, ma io non ho mai illuso nessuno». Quel giorno secondo la sentenza di primo grado lei era in via Poma. «Lo ripeto, non sapevo dove era quell’ufficio come d’altronde non lo sapeva neanche la famiglia di Simonetta. In quel periodo stavo facendo il turno di notte e con Simonetta ci vedevamo solo quando ero libero. E poi perché dovevamo fare sesso in ufficio?». Lei ha raccontato che il giorno dopo l’omicidio in questura è stato malmenato perché tentavano di farla confessare. «Mi hanno buttato le fotografie davanti e poi mi hanno schiaffeggiato e io ho continuato a ripetere che non avevo fatto niente, la verità. Mi hanno tartassato e se avessi avuto qualcosa da confessare le assicuro che avrei ceduto». Hanno detto che aveva dato un alibi falso. «Quando mi hanno chiamato nel 2005, dopo 14 anni, mi hanno chiesto che cosa avevo fatto quel giorno. E io gli ho detto di andare a vedere i verbali perché i ricordi ormai erano sfumati. E mi hanno detto che non c’erano». L’accusa trovava strano che in un giorno speciale come quello lei non ricordasse. «Io ricordo benissimo tutto da quando sono venuti a prendermi al lavoro gli agenti di polizia. Prima per me era stato un giorno normalissimo e tutti i miei ricordi tornano alla routine. E poi ci sono state persone che mi hanno visto, sotto casa quel pomeriggio alle 18,20». Quando si è reso conto che volevano arrivare a lei ed è iniziato l’incubo? «L’11 gennaio del 2007 quando in televisione hanno annunciato che avevano trovato il dna dell’assassino e che era il mio. Poi quando nel 2009 mi hanno rinviato a giudizio è crollato il mondo». All’epoca i suoi gemelli avevano cinque anni. Non deve essere stato facile tenerli al riparo dalle notizie in tv. «Siamo stati molto aiutati dalle maestre e dagli altri genitori della scuola. La solidarietà intorno a noi è stata commovente. Soprattutto dopo la condanna. Abbiamo avuto affetto da tutta Italia. Persone che pensavano "domani Raniero Busco potrei essere io"». Lei oggi è un uomo diverso? «Sono un uomo distrutto, consapevole che un pezzo di vita mi è stato rubato e nessuno me lo potrà mai ridare. Devo ringraziare mia moglie se la famiglia è unita. Lei è stata una roccia accanto a me. Non ci siamo mai vergognati di niente perché sono innocente. Ma la nostra vita è stata stravolta, anche economicamente. Abbiamo tagliato tutto, anche i piccoli sogni». Cosa ha imparato da questo processo? «Che in queste aule non si trova niente di umano, ognuno è proiettato a salvaguardare la propria idea, la propria posizione. Nessuno è disposto a fare un passo indietro in nome della verità. Questa sentenza mi restituisce un poì di fiducia nella Giustizia». Vuole dire qualcosa alla famiglia di Simonetta? «Ho il massimo rispetto per loro e per il loro dolore, ma non sono stato io e non c’è bisogno di dire nulla».