Gad Lerner, la Repubblica 28/4/2012, 28 aprile 2012
DA SAPIENTE
veterano dello show-business, Beppe Grillo ha atteso gli ultimi giorni di campagna elettorale per scaraventarvi dentro un argomento incendiario: l’uscita dell’Italia dall’euro. Bisognerà rispondergli nel merito, con i pro e i contro del caso, senza inutili scomuniche. Perché appare chiaro che un tale argomento incendiario era lì pronto, in attesa del primo imprenditore politico abbastanza temerario da impugnarlo, non più giullare ma attrezzato per ergersi a guida nel caos della grande depressione. Il no-euro ha la forza dell’ambiguità. È al tempo stesso un obiettivo e una profezia che rischia di avverarsi. Lo stesso Grillo non maledice in sé l’idea di una moneta comune fra i popoli del continente. Si limita a sostenere che oggi non siamo in grado di permettercela. Non ha bisogno del nazionalismo protezionista di Marine Le Pen, o dell’anticapitalismo radicale dei comunisti greci, per sostenere la loro medesima volontà di spaccare l’eurozona. Gli basta solleticare la nostalgia popolare per il tempo meno cupo della lira; e pazienza se nel passaggio gestito irresponsabilmente dieci anni fa dalla lira all’euro, come ci ricorda sempre Marcello De Cecco, si perpetrò in Italia un massiccio drenaggio di risorse a vantaggio del lavoro autonomo e a scapito delle buste paga: un altro delitto politico finito in prescrizione, quel mancato calmieramento dei prezzi.
Come già il malumore antimeridionale e la xenofobia vennero elevati da chiacchiera da bar a arma politica grazie al leghismo, così il no-euro rischia di occupare uno spazio centrale nel nostro dibattito pubblico, avendo trovato in Grillo il suo apprendista stregone. Magari strumentalizzando anche il paradosso di un premio Nobel come Paul Krugman: l’economista keynesiano che di recente ha evocato la soluzione "dirompente" del ritorno alle monete nazionali quale risposta possibile al rigorismo tedesco che trascina l’Europa al suicidio. Un conto è sostenere, come Krugman e tanti altri, che la fine dell’euro non è più un’eventualità remota; ben altro è auspicarla, sulla scia dei numerosi movimenti nazionalisti che in tutto il continente collezionano vittorie elettorali predicando quel disastro storico che sarebbe la fine dell’Unione europea. Beppe Grillo è un brutale semplificatore: descrive uno scenario in cui la politica democratica troverebbe il suo riscatto nella contrapposizione agli euroburocrati servi della finanza mondialista. Come se i popoli potessero trovare risposta alla sofferenza sociale della crisi solo tornando a separarsi; e il progetto di istituzioni comunitarie democraticamente elette, non assoggettate ai dogmi dell’economia fondata sul debito, fosse da liquidare come utopia irrealizzabile.
Serve umiltà nel controbattere la propaganda no-euro. Cosa ne sarebbe oggi dell’economia italiana se avessimo mancato l’appuntamento dell’unione monetaria? Chi può ragionevolmente sostenere che staremmo meglio in tragico isolamento, procedendo a colpi di svalutazione della lira, fingendo cioè che un’economia avanzata possa reggere comprimendo i costi e abdicando alla ricerca dell’eccellenza? Il timore è che la campagna di Beppe Grillo non resterà solitaria in un paese affollato di avventurieri della politica. Già è prevedibile che una Lega travolta dagli scandali cerchi la riscossa cavalcando gli argomenti no-euro del protezionismo che hanno fatto la fortuna del Front National in Francia. Ma anche Berlusconi, il giorno in cui volesse rimettere insieme i cocci del Pdl, o come diavolo s’inventerà di chiamarlo, in una campagna elettorale di contrapposizione all’europeismo dei tecnicie della sinistra democratica, potrebbe avere la medesima tentazione. È il marketing politico a suggerirglielo, ma anche l’istinto populista che già in passato lo portò più volte a recriminare contro "l’Europa di Prodi" e contro "l’euro che non ha mai convinto nessuno" (28 ottobre 2011).
Quando il "vaffa" di Grillo s’indirizza non più solo contro la partitocrazia corrotta e i tecnici "rigormontis", ma prende di mira un architrave del progetto comunitario europeo, è evidente che egli sta occupando con astuzia uno spazio politico decisivo.
Se finora il suo movimento traduceva in protesta elettorale il linguaggio elaborato in trent’anni di monologhi inizialmente scritti insieme a Antonio Ricci (varrà la pena di studiare l’approccio comune del grillismoe di "Striscia la notizia"), ora con il no-euro va molto oltre: non delinea certo il progetto di una nuova società, ma punta ambiziosamentea demolire la speranza ancora giovane di un’Europa senza frontiere. Troverà imitatori più forti di lui?