Varie, 30 aprile 2012
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 30 APRILE 2012
Gran Bretagna, Grecia, Italia, Portogallo, Spagna, Irlanda, Belgio, Olanda, Danimarca, Repubblica Ceca, Slovenia e Ungheria hanno fra loro due punti in comune. Federico Fubini: «Tutti e dodici stanno applicando politiche di austerità, e tutti e dodici sono ufficialmente in recessione. Nel frattempo in quasi tutti questi Paesi, e in altri, le forze populiste crescono ogni settimana nei sondaggi e lo fanno in una stagione elettorale sempre più intensa». Cominciando dall’Italia, domenica e lunedì si voterà in 948 comuni (26 capoluoghi, tra i quali Verona, Monza, Genova, Parma, Piacenza, Lucca, L’Aquila, Taranto, Lecce, Catanzaro, Palermo) per le elezioni amministrative (ballottaggio il 20 e 21 maggio). [1]
Sapiente veterano dello show-business, Beppe Grillo ha atteso gli ultimi giorni di campagna elettorale per scaraventarvi dentro un argomento incendiario: l’uscita dell’Italia dall’euro. Gad Lerner: «Come già il malumore antimeridionale e la xenofobia vennero elevati da chiacchiera da bar a arma politica grazie al leghismo, così il no-euro rischia di occupare uno spazio centrale nel nostro dibattito pubblico, avendo trovato in Grillo il suo apprendista stregone. Magari strumentalizzando anche il paradosso di un premio Nobel come Paul Krugman: l’economista keynesiano che di recente ha evocato la soluzione “dirompente” del ritorno alle monete nazionali quale risposta possibile al rigorismo tedesco che trascina l’Europa al suicidio». [2]
In tutto il continente i movimenti nazionalisti collezionano vittorie elettorali. [2] Il primo turno delle presidenziali francesi ha visto il successo del Front National, partito xenofobo guidato da Marine Le Pen che ha preso il 17,9% relegando per qualche ora in secondo piano la gara tra il socialista François Hollande (28,6%) e il presidente Nicolas Sarkozy (27,1%), che domenica si giocheranno l’Eliseo al ballottaggio. [3] «Tutti questi politici hanno ingannato il popolo. Siamo gli unici ad avere un programma credibile sull’Europa delle patrie, sul nazionalismo economico e sociale, sul ricorso ai referendum. Per questo sono convinta che il Front National sia destinato a crescere ancora nelle prossime scadenze elettorali», s’è vantata la figlia del Jean-Marie che (con meno voti) nel 2002 arrivò addirittura al ballottaggio. [4]
«Il voto francese sarà cruciale per il futuro dell’Unione europea e quindi per l’Italia», ripete da tempo il premier Mario Monti. In attesa di vedere come andrà domenica, dal punto di vista di Palazzo Chigi un successo è già arrivato: «In campagna elettorale Hollande e Sarkozy hanno puntato sulla crescita europea dopo anni in cui Parigi di fatto ha appoggiato il rigore tedesco, sposando dunque la linea lanciata a gennaio dall’Italia e che ora, con l’appoggio dell’Eliseo, potrebbe definitivamente sfondare». Alberto D’Argenio: «Una vittoria del socialista, sono i calcoli di un ministro di Monti, potrebbe anche rinforzare la Spd tedesca, che in sede di ratifica del fiscal compact - il nuovo trattato europeo sul rigore - potrebbe ottenere dalla Merkel (bisognosa dei suoi voti) il via libera a una vera politica per rilanciare il Pil europeo». [5]
Se Hollande si concentrerà sulla crescita sarà un bene, ma se insisterà sul depotenziamento del rigore i mercati reagirebbero male, attaccando la Francia e di conseguenza mettendo in pericolo l’Italia, ragionano Monti & C. Anche su Sarkozy ci sono dubbi: «In campagna elettorale ha virato, parlando più di rilancio e meno di conti pubblici, aprendo ad un forte asse con Monti. Ma comunque - è il retropensiero - la sua posizione dopo il voto potrebbe di nuovo cambiare». [5] Secondo The Economist Hollande è comunque più pericoloso: «Farà tanti errori che la prosperità della Francia e della zona euro sarà messa in pericolo». [6] Ovviamente Berlusconi pensa il contrario: «Se vincesse Hollande soffierebbe un vento nuovo in Europa». [7] Per il filosofo francese André Glucksmann con la vittoria del candidato l’Europa sarà di sicuro più fragile. [8]
A Berlino, si dice, attendono l’esito della disputa francese con «una certa tranquillità». Marco Zatterin: «Secondo Daniela Schwarzer, analista della Swp, “la situazione è talmente complessa che non c’è il tempo materiale perché emergano conflitti franco-tedeschi”. Qualche cruccio in più c’è l’ha la Bundesbank, il cui presidente Weidmann teme una svolta “meno rigorista”. Frau Merkel dovrà certo vedersela con l’onda socialista che potrebbe influenzare il voto tedesco del 2013. In tal senso, un’affermazione di Hollande non rappresenta però solo una festa per i socialdemocratici. Potrebbero contare sull’effetto benefico di una svolta politica a gauche, eppure il francese è considerato “troppo di sinistra”, più Linke che Spd». [9]
Anche in Germania è tempo di elezioni (regionali): nello Schleswig-Holstein domenica, in Nord-Reno-Vestfalia (il più popoloso dei Länder tedeschi) il 13. Paolo Lepri: «Potrebbero rendere ancora più evidente il definitivo tramonto della litigiosa alleanza dei cristiano-democratici con l’agonizzante partito liberale. Sarà anche un caso, ma martedì è nato un governo Cdu-Spd nella Saar, l’ultimo land dove si è votato, dopo che, del resto, un accordo tra i due grandi partiti era stato il risultato, nei mesi scorsi, anche delle elezioni di Berlino e della Pomerania-Meclemburgo anteriore. È quindi facile dire che tutto potrebbe andare nel senso di una grande coalizione al più presto, come ha scritto martedì la Bild, il grande giornale popolare che spesso sa perfettamente quel che pensa Angela Merkel. Fin da subito, o quasi subito, senza aspettare il voto in programma nell’autunno 2013». [10]
In Grecia, dove il reddito per abitante è crollato di un quinto nell’ultimo anno, domenica si terranno le elezioni politiche, sorta di maxi referendum sul duro risanamento imposto al Paese dai due maxisalvataggi europei. Secondo i sondaggi, gli antieuropeisti sono al 60%. [1] Tonia Mastrobuoni: «La Ue trema all’ipotesi di ritrovarsi di nuovo alle prese con il rischio di una bancarotta ellenica. Non a caso il governatore della Banca centrale, Provopoulos, ha avvertito i suoi connazionali: l’abbandono dell’austerity butterebbe Atene fuori dall’euro. Destra e sinistra, però, salgono nei sondaggi proprio per il rifiuto nei confronti dell’aggiustamento monitorato dalla trojka Ue-Bce-Fmi. E stanno riducendo gli spazi alla Grande coalizione tra i conservatori di Nuova Democrazia e i socialisti del Pasok che sostengono l’attuale governo guidato dal tecnico Papademos». [11]
Il panorama emerso dalle politiche del 2009, con il Pasok (44%) che ha potuto guidare fino all’autunno scorso un governo monocolore, è stravolto (così dicono i sondaggi). Mastrobuoni: «Stando agli umori sono addirittura 10 i partiti che potrebbero superare la soglia di sbarramento del 3%. E il più inquietante è l’ultranazionalista “Alba dorata”, accreditata al 5% e che sta cannibalizzando il Laos, il tradizionale partito di destra “reo” di aver inizialmente appoggiato il governo Papademos. Ma oltre all’estrema destra i pronostici parlano di un 30% che andrebbe ai partiti di sinistra radicale. E cresce la formazione dei “Greci indipendenti”, nata attorno a Panos Kammenos, ex deputato di Nuova democrazia in disaccordo contro l’ultimo memorandum approvato a febbraio». [11]
Non bastassero i Paesi che vogliono uscire, l’Ue deve preoccuparsi pure di quelli che ancora non sono entrati, tipo la Serbia: dal primo marzo candidata all’ingresso, domenica vivrà un super election day con presidenziali, politiche e amministrative. Secondo i sondaggi il premier uscente Boris Tadic e il suo partito democratico, fiaccati da crisi economica, durezza delle riforme, accuse di corruzione, sono stati scavalcati dai populisti dal Partito Progressista guidato da Tomislav Nikolic. Marco Zatterin: «Tadic è l’uomo dell’Europa, ha messo in testa al programma il processo di integrazione europeo, vuole avviare il negoziato con Bruxelles entro l’anno, e spera di entrare nel club entro il 2017. Nikolic, per contro, ha già avvertito che “se la condizione per l’accesso all’Ue è il riconoscimento del Kosovo, noi diremo ‘no’”». [12]
A fine mese toccherà agli irlandesi pronunciarsi sui vincoli di bilancio del “fiscal compact”. Federico Fubini: «Dopo due anni di sacrifici imposti pur di tenere in vita le banche di Dublino alle quali le banche tedesche avevano prestato cento miliardi di euro. Dopo l’Irlanda toccherà di nuovo alla Francia tornare alle urne per le politiche, quindi all’Olanda che sembra diretta verso il voto anticipato: nei Paesi Bassi i “Socialisti” (marxisti-leninisti) e gli xenofobi di Geert Wilders competono per il 45% di voto antieuropeo e già questo basta a far dimettere il governo di Mark Rutte». [1] Wilders è un “Grillo da Rotterdam”: «L’euro non è nell’interesse del popolo olandese, vogliamo essere padroni in casa nostra e così diciamo sì al fiorino. Riportatecelo indietro». [13]
“Grillo da Rotterdam” ha commissionato a un istituto di Londra una ricerca sui costi di sopravvivenza o di morte dell’intera eurozona. Offeddu: «Dice che difficilmente l’Eurozona potrà sopravvivere oltre il 2015, e che “in uno scenario ottimistico” costerebbe 1,3 milioni di euro tenere in piedi gli Stati dell’Europa mediterranea, e 2,4 trilioni se Italia e Spagna chiedessero un pronto soccorso per i loro titoli di Stato. Dell’Italia, in particolare, si dice che la sua uscita dall’euro sarebbe relativamente facile, e che il Paese si riprenderebbe, una volta riguadagnata la libertà valutaria. A settembre, chissà, tutto questo potrebbe spiegarlo a Mario Monti un neo primo ministro tentatore, di nome Geert». [13]