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 2012  aprile 27 Venerdì calendario

LE CAMERE SENZA VISTA A FIRENZE TRA I MISTERI DI TOILETTE E BOUDOIR

Firenze è come un albero fiorito… Tutta Firenze è una veranda in fiore… Firenze d’oro… La porti un bacione a Firenze… Dammi un bacin d’amor, me n’andrò via… E proprio mentre la mamma russa, la serenata passa, quando al tuo cuore bussa, la bocca rossa, schiudi per me?... Ma come, andar via subito dopo il bacin d’amor? Proprio mentre la mammà sta al finestrino, guarda i borghi e le città, il papà fa un pisolino… E la figlia che cosa fa? Col pupillo del Barone, fila spesso e volentier, a cassetta il postiglione, guarda e finge di non veder, uè? Ah, queste mamme d’altri tempi che non badano alle figliole, mentre sono pieni di pupilli i due Baroni fondamentali del Novecento, il Barone Ochs von Lerchenau del Rosenkavalier di Strauss e il Barone De Charlus nella Recherche di Proust…
In fondo a questi severi e cupi Borghi medioevali, degli Albizi o San Jacopo o via San Niccolò, probabilmente la primavera non sveglia molte bambine (provvede il turismo di massa). E se le madonne fiorentine a tarda sera si rasassero alle Cascine, chissà quale Messer Aprile farebbe ora da rubacuor nei circuiti notturni delle utilitarie del contado, tra i fanali e i boschetti. Saggiamente, piuttosto, nell’attuale cosmopolitismo turistico Messer Aprile non perde più tempo nel ricercare o esporre tesori forestieri. E invece, mostra e spiega soprattutto ai visitatori più anziani varie insolite ricchezze domestiche abbastanza recenti, oltre alle sfarzose attrazioni dei secoli magnifici, per gli allegri impatti delle innumerevoli ragazzone e ragazzine americane sciamanti e vocianti a frotte fra le classiche madonne fiorentine.
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Ecco dunque, per i turisti più avanzati, «Le stanze dei Tesori», con gli smisurati ma intimi lasciti dei facoltosi collezionisti e antiquari «a palazzo» o «in villa», soprattutto nel tardo Ottocento. A sorpresa, anche nel Palazzo Medici Riccardi, oltre che nella veranda Villa Stibbert, con spettacolari maioliche toscane e britanniche, oltre al colossale assembramento di armi e armature medioevali ancora disponibili sui mercati oltre un secolo fa.
Ora, cambiati i gusti nel corso dei decenni, certamente ci si sofferma sempre sugli occhietti maliziosi del «Santo Stefano» di Giotto, e sui tre nudi corpulenti nella «Allegoria della Musica» del Dosso, con la cicciosa centrale che fissa le tette della culona in piedi, voltando le spalle al fabbro armonioso. Ma al Museo Horne si osserveranno soprattutto le braccia tese anche troppo parallele delle figlie di Lot e di Semiramide fra le sue cameriere spettinate, di Francesco Furini. E si ricorda quindi la gran mostra rivalorizzante sul Seicento Fiorentino, un quarto di secolo fa, coi Bigongiari e Gigi Baldacci collezionisti entusiasti, e Federico Zeri spazientito che mi diceva «facciamo finta di chiacchierare» per evitare le domande moleste, a Palazzo Strozzi. Ma ancora a Zeri si deve il riconoscimento di un «Atlante» del Guercino ora in bella vista al Museo Bardini, con un magnifico drappo rosso-chiaro e l’Orbe sulle spalle. E tutt’intorno, dopo decenni di negligenze o trascuratezze o mutazioni di gusti, una enorme rivalutazione dello «spirito Bardini» tradito dai successori. Fino al recupero dei «blu Bardini» parietali che effettivamente non appaiono quale una trovata eccellente, come fondale per i superstiti di Donatello e Luca Giordano e Della Robbia e il «Porcellino» originale del Tacca. E gli inestimabili tappeti antichi magari poi tagliuzzati dallo Stibbert per le monture ippiche nelle sue impagabili collezioni di corazze.
Abbondante e modesta, a villa Bardini pare invece l’esposizione assai casareccia «da Fattori al Novecento»: quadri e quadretti ovviamente carissimi ai raccoglitori — Roster, Del Greco, Olschki — mentre il visitatore si affloscia davanti ai continui bovi e ciuchi e porticcioli, all’ennesima barca macchiaiola. «Da Fattori…» sarebbe anche una concomitante mostra a Viareggio, che giunge fino a Nomellini, Rosai, Soffici, Viani. Ma Roberto Longhi: «Mentre la buona pittura francese dell’Ottocento quasi s’inaugura con quel dipinto calcinoso ed ingrato, ma inconsapevolmente tanto simbolico, che s’intitola «Bonjour M. Courbet», è peccato che ancora manchi alla pittura italiana, oggi poi che molto si parla di composizioni a soggetto, un gran quadro che finalmente si chiami: «Buona notte, Signor Fattori». E inoltre, sempre il Longhi, rammentava un passo di Giosuè Carducci, nel 1874: «Del resto Vittorio Emanuele e il generale Garibaldi facevano in critica e in estetica, poveretti, le spese di tutto e per tutti». Ma non solo: «La modesta intenzione "risorgimentale" dei macchiaioli ….E di quale Risorgimento, poi? Quello di Cattaneo o quello di Ricasoli?».
Per effettive coincidenze e paragoni d’epoca, torna quindi in mente la quadreria di Arturo Toscanini, in mostra a Milano qualche anno fa, con Grubicy, Fontanesi, Boccioni, Boldini, Cremona, Gemito, Bistolfi: e quella «Toilette del mattino» di Telemaco Signorini che con pavimenti malandati da vecchio casino povero ispirò scene illustri in «Senso» di Visconti e nella «Viaccia» di Bolognini.
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Tutt’altra musica o ronron ovviamente, fra gli «Americani a Firenze» esposti a Palazzo Strozzi. Qui, né Berenson né Pratolini. Né ville o palazzi riempiti di fondi-oro e Pollaiolo e marmi e bronzetti da collezionisti cosmopoliti e antiquari assai facoltosi. Né le tristezze indigene del Quartiere o Via dé Magazzini, con mamme e babbi e nonni e nonne e zii e zie afflitti e «adusti» fra lungarni e badie e Cascine, e dirimpettai, pertugi, scialbature, spazzini, chicchi, vischi, all’ombra di Cestello o Santa Croce. E invece qualche postimpressionista d’Oltreoceano che abita sui colli e «scende» in città per contemplare il folklore cencioso dei quartieri e mercati più poveri. Trovando in Via dé Magazzini, oggi, il ristorante dé Frescobaldi.
John Singer Sargent domina facilmente questi viaggi sentimentali fra le diverse camere con vista. Non più un Grand Tour prolungato, epocale, ma continui spostamenti provvisori fra camere d’albergo o pensione con valigie aperte disordinate per terra, resti di colazione e toilette, e ovviamente cameriere che in fine di mattinata passeranno a riordinare.
Questa camera senza bisogno di vista, con persiane ancora accostate e borse sul pavimento in attesa del servizio, di Sargent, fra il suo maestoso e famoso ritratto di Henry James e le sue signorine in bianco sedute anche sull’erba senza timore di sporcare il vestito, risulta un agevole simbolo di turismi agiati e rilassati, molto internazionali e facili. Interni carichi di «atmosfera», abiti minuziosi e squisiti anche su rive di fossi miserevoli, qualche miliardario e qualche dandy assai tipico, in finanziera scura o in lino bianco giustamente stazzonato.
Negli esterni, sia urbani sia rurali, moltissimo, «pittoresco», senza attinenze con l’impressionismo passato o con l’espressionismo futuro. Qualche ammicco ai migliori classici del Rinascimento. Ma senza accenni al Manierismo o al Barocco tipicamente fiorentini. Senso della Storia Culturale, quindi, villeggiando, quando mai?
Alberto Arbasino