Fulvio Scaparro, Corriere della Sera 27/04/2012, 27 aprile 2012
SE LA SCIENZA SCOPRE CHE SI DIVENTA ADULTI SOLTANTO A 24 ANNI
Recenti ricerche sugli adolescenti pubblicate in The Lancet tentano di dare una risposta alla domanda «A che età si diventa adulti?». I ricercatori non si riferiscono alle apparenti certezze della maturità giuridica: un’età per il sesso, una per guidare l’auto, una per bere alcolici, un’altra ancora per votare e così via. Ma la domanda alla quale tentano di rispondere si riferisce alla maturità naturale e la loro risposta non è quella che convenzionalmente indicava nella pubertà l’inizio dell’adolescenza e attorno ai vent’anni l’ingresso nell’età adulta. Secondo i ricercatori il nostro cervello non si sviluppa del tutto fino all’età di ventiquattro anni e solo dopo questa età possiamo ragionevolmente ritenere che si possa entrare nell’età adulta. Prima il cervello degli adolescenti non sarebbe sufficientemente attrezzato per valutare appieno le conseguenze dei comportamenti. Questo spiegherebbe la sottovalutazione dei rischi, degli effetti dell’abuso di alcolici, di droghe ecc... che in molti ritengono «tipicamente adolescenziale».
Non conterei troppo sulla convinzione che l’ingresso nell’età adulta comporti quel tanto di saggezza ed equilibrio che serve a vivere nel mondo senza far troppi danni a noi stessi e al prossimo. Se però le ricerche saranno confermate è senz’altro utile sapere che il cervello degli adolescenti ha tempi di maturazione più lunghi di quelli finora ipotizzati. Si pensi, ad esempio, all’apporto che queste ricerche possono fornire quando si valuta la eventuale discordanza tra l’incapacità legale di agire e la capacità naturale del soggetto minorenne.
Il fatto è che è del tutto discutibile che «adulto» sia sinonimo di «maturo» e «adolescente» sia sinonimo di «immaturo», almeno finché non ci chiediamo «maturo o immaturo per cosa?». Io definisco la maturazione come il processo di acquisizione della capacità di separarsi da esperienze precedenti senza che questo impedisca al soggetto di stabilire nuove relazioni, alla ricerca di nuovi e più soddisfacenti equilibri. La precarietà di ogni equilibrio raggiunto rende continua la ricerca, relative e provvisorie le diverse tappe raggiunte, le diverse maturità, fisiche, affettive, cognitive, morali e sociali. Siamo sempre più o meno maturi per affrontare certe prove e contemporaneamente più o meno immaturi per altre.
Secondo questa definizione, da uno stato fusionale in cui il neonato è ancora soggetto pienamente e sanamente immaturo, nel corso dello sviluppo si afferma con sempre maggiore evidenza la capacità di separarsi e stabilire nuove relazioni. La nostra maturità è messa alla prova ogni giorno.
Il bambino e l’adolescente soffrono se essi stessi o altri confondono il processo, la maturazione, con una o più delle sue tappe, le diverse maturità che vengono via via raggiunte a livelli e in tempi differenti da individuo a individuo. Soffrono se percepiscono, o altri percepiscono, il loro processo di maturazione come privo o carente di caratteristiche essenziali quali il movimento, l’orientamento e la regressione, se in altre parole scambiano, o altri scambiano, un fotogramma con l’intero film della loro vita.
In altri termini, al bambino e all’adolescente va riconosciuto il diritto all’immaturità, totale all’inizio dell’esistenza, ma anche quello al riconoscimento di tempi personali di maturazione che non procede mai senza arresti e regressioni.
Arthur Koestler in Buio a mezzogiorno faceva dire a un suo personaggio, in risposta a chi gli chiedeva a quale età era diventato adulto, che sono le esperienze che ci fanno maturare: «Se vuoi veramente sapere, sono diventato uomo a diciassette anni, quando fui mandato in esilio per la prima volta».
Fulvio Scaparro