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 2012  aprile 27 Venerdì calendario

LAVITOLA: «I 5 MILIONI CHIESTI A SILVIO? È IN DEBITO DI RICONOSCENZA VERSO DI ME» —

Finmeccanica? «Io ero il loro consulente... Con loro avrei potuto guadagnare sette, otto milioni di euro». Silvio Berlusconi? «Ero il suo consigliere politico alla faccia di Letta e Ghedini». Eccole le prime rivelazioni dal carcere di Poggioreale di Valter Lavitola. Ecco il verbale che serve a far capire quale sarà la difesa del faccendiere finito in cella per corruzione internazionale e false fatturazioni per ordine dei giudici di Napoli. Ma anche perché accusato a Bari, proprio in concorso con l’ex premier, di aver indotto l’imprenditore Gianpaolo Tarantini a mentire nell’inchiesta sulle escort portate alle feste del Presidente. Parla Lavitola, si dice disposto a collaborare e mostra di voler affrontare ogni dettaglio dei suoi rapporti con l’azienda di Stato specializzata in sistemi di difesa, tanto che i pubblici ministeri lo invitano più volte a limitarsi a rispondere alle domande. Ma anche il suo legame con Berlusconi e il suo ruolo rispetto al governo da lui guidato.
Il debito
di riconoscenza
Era stata la sorella a riferire ai pm che Lavitola aveva intenzione di chiedere cinque milioni a Berlusconi, e che se non li avesse avuti si sarebbe «sentito libero», al suo rientro in Italia, di raccontare cose delicate sull’ex presidente del Consiglio di cui sarebbe a conoscenza. Lavitola conferma. Non l’intenzione di fare chissà quali rivelazioni, ma quella di chiedere il denaro. «Sì, sì, è vero, è vero, io ho cercato di contattare il presidente Berlusconi per farmi prestare cinque milioni. Purtroppo non ci sono riuscito. Non sono riuscito né a contattarlo né a avere i soldi». Ma che avesse in mente di fare ricatti, questo il faccendiere lo nega: «Se ne avessi avuto la possibilità o la volontà, lo avrei fatto per avere un incarico politico», dice. E a cosa gli servissero quei cinque milioni lo spiega così: «Siccome io stavo partendo dall’Argentina per venire in Italia e andare in carcere, e non so quanto tempo ci rimango in carcere (...) volevo fare una scorta finanziaria», per poter gestire anche durante la detenzione le sue attività imprenditoriali nel commercio del pesce all’ingrosso in Centro e Sud America. Che poi Berlusconi quei soldi glieli dovesse dare in nome di un debito di riconoscenza, Lavitola ne è certo, o almeno così dice: «Fino a ieri io ho fatto sette mesi di latitanza per avere dato i soldi a Tarantini per conto suo (Lavitola e Berlusconi sono indagati a Bari per aver indotto Tarantini a mentire ai pubblici ministeri) , fino a prova del contrario. E per quel tipo di latitanza, mi è stato chiuso il giornale, perché se non ci fosse stata quella roba di Tarantini, io probabilmente tutta questa storia dell’Avanti, non l’avrei avuta».
Consigliere alla faccia
di Letta e Ghedini
Lavitola dice di sentirsi in credito con Berlusconi anche «perché non ero stato candidato in quanto in lite con quello e con quell’altro...», sintetizza riferendosi ai suoi cattivi rapporti con esponenti di rilievo del Pdl. Non che di questo sia sia mai fatto un problema. Anzi, si vanta di essersi «scavato questo piccolo ruolo di consigliere politico (di Berlusconi, ndr), alla faccia di Letta e Ghedini». E dell’ex ministro degli Esteri Frattini che ha detto di non aver gradito la presenza di Lavitola in occasione di una sua visita a Panama, dice: «Va bene, probabilmente ero sgradito a lui, ma che fossi gradito o meno a Frattini, per quanto mi riguarda...».
Voleva che Finmeccanica
gli pagasse le vacanze
Sono altre le cose che sembrano interessare particolarmente a Lavitola. I rapporti con potenti (Berlusconi in Italia e il presidente Martinelli a Panama) e potentati (Finmeccanica). E nel lungo interrogatorio di garanzia, spesso gli elementi si intrecciano. Come a proposito della visita di Martinelli in Sardegna, quando il presidente panamense fu accompagnato da Lavitola alla villa di Berlusconi che però non era presente. Quel viaggio costò parecchio, e fu il faccendiere a offrirlo a Martinelli. Come mai, vogliono sapere i giudici. Lui ha due spiegazioni: «Io non volevo fare il console italiano a Panama, io volevo fare il console di Panama in Italia». E poi: «Io contavo che quel viaggio in Sardegna me lo potesse rimborsare Finmeccanica, come spese di rappresentanza». Sulla holding di Stato puntava molto: «Il mio contratto di consulenza con Finmeccanica è scaduto a giugno, ma avevo già fatto richiesta, e era già stata ufficiosamente accettata da tutti, per il rinnovo, per un importo comunque significativo, di settantamila euro più le spese. Ma io avevo chiesto un contratto per un ammontare di quasi un milione l’anno, quindi non è che io ero proprio un baccalà che stavo lì a guardare le mosche».
Lavitola si pone verso i magistrati come uno che per il suo Paese si è impegnato enormemente all’estero. Alle accuse di corruzione internazionale lui sembra voler contrapporre la figura di un diplomatico, seppure non ufficiale. Come quando parla dell’accordo di doppia tributazione tra Italia e Panama e quasi se ne attribuisce la paternità. «Frattini è andato lì (a Panama, ndr) e l’avrebbe dovuto firmare lui quell’accordo», ma «non lo ha firmato perché Tremonti era contrario». Quindi «Panama si trovava in una situazione nella quale aveva firmato un accordo bilaterale nel quale non prendeva niente! C’era scritto solo che l’Italia gli forniva i sistemi di sicurezza e le carceri e Panama riceveva zero spaccato. Berlusconi va a una conferenza lì è dice: "Io vi faccio l’ospedale pediatrico (...) Io vi do sei navi pattugliere per la Marina Militare"», e invece «zero spaccato», dice Lavitola. Finché poi le navi arrivano, ma solo «dopo che mi sono impegnato io». E per convincere pm e gip sinceramente perplessi, Lavitola annuncia quello che per lui deve essere una specie di asso: «Nella chiavetta che sapientemente, scusatemi se me lo dico da solo, vi ho portato, ci sta lo stralcio di una intervista di Martinelli, nella quale dice: "Lavitola è amico, perché ci ha consentito di chiudere il trattato di doppia tributazione e di avere le sei navi"».
L’elicottero
in regalo
Dei suoi lunghi soggiorni a Panama, come imprenditore, come consulente di Finmeccanica, come amico del presidente Martinelli e infine come latitante, Lavitola cita numerosi episodi. Il primo incontro con Capriotti, uno degli imprenditori italiani del consorzio Svemak che ottenne appalti a Panama e perciò avrebbe pagato tangenti al governo centroamericano e che ricevette da Lavitola anche la richiesta di regalare un elicottero al presidente Martinelli. L’incontro avviene su un treno. «Stavo su sto treno e c’era anche Capriotti e c’erano anche gli altri, c’erano quelli di Finmeccanica. Non è che era un treno privato, era un treno dove sostanzialmente la delegazione di quelli che avevano partecipato (all’incontro bilaterale, ndr), imprenditori, funzionari andavano su questo treno dove era stato allestito anche un vagone ristorante, un coso di musica (...) Ci sono anche delle foto che mi ritraggono in questo treno nelle quali io, Berlusconi e Martinelli stavamo scherzando (...) A loro due piace un pò la vita gaudente, e quindi si facevano apprezzamenti anche rispetto alle bellezze locali, insomma si scherzava... E Capriotti si mise lì e guardava. Mi agganciò in quella occasione». Poi arrivarono gli appalti per costruire ospedale e carceri e poi arrivò da Lavitola una richiesta singolare: un elicottero per il presidente Martinelli. Una tangente, secondo l’accusa. Il faccendiere, invece, la spiega così: «Augusta doveva consegnare un elicottero, e di queste cose qua se ne doveva occupare il venditore, o il rappresentante di Augusta. Tanto è che io coinvolsi Pozzessere che mi aveva assicurato che mi aveva coinvolto Orsi... Però nel frattempo questo elicottero non si consegnava». Nell’interrogatorio c’è pure uno scambio di battute scherzose: «Quello con la pelle umana?», chiede il pm ricordando che il velivolo in questione avrebbe dovuto avere un allestimento vip, con i sedili in pelle di Hermes. E Lavitola coglie e ribatte: «Quello con la pelle umana e i capelli biondi». Poi torna alla ricostruzione e racconta che per risolvere la questione si rivolse a Capriotti: «Gli dissi: "Fai una cosa, regala invece un elicottero"». Ma subito precisa: «Allo Stato, non a Martinelli. Martinelli ne aveva già due di elicotteri suoi personali».
Fulvio Bufi
Fiorenza Sarzanini