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 2012  aprile 27 Venerdì calendario

IL SISTEMA DACCO’: PAGATO PER INSISTERE. ECCO CHI ERANO I MIEI REFERENTI —

Neppure Pierangelo Daccò sa bene quanti soldi abbia ricevuto dalla Fondazione Maugeri soltanto per essere «insistente» e persino un po’ «invadente» nei «meandri della Regione» Lombardia «dove — dichiara — mi conoscono tutti o almeno tutti sanno chi sono»: nell’arresto del 13 aprile — risponde in carcere ai magistrati che lo interrogano il 17 aprile — «leggo 56 milioni di euro» ma «non posso dire "è vero" o "non è vero"... Forse qualcosa di più, forse 60, non lo so, 70 penso, più o meno».
Un mare di soldi dal 2000 al 2011. Pagatigli benché Daccò stesso riconosca «che non sono un esperto di sanità, non sono un tecnico». Sborsati da un colosso ospedaliero che aveva fior di tecnici e di avvocati per tutelare i propri interessi al Pirellone. E che invece con 70 milioni di euro acquista una competenza che in Daccò starebbe tutta qui: «Io sono esperto nella frequentazione ormai da 34 anni di tutti i meandri regionali per quanto riguarda la sanità. Eh sì, so cosa bisogna fare, quando intervenire, come intervenire... Qualche risultato so che l’ho portato a casa, altrimenti Passerino (direttore generale della Fondazione Maugeri di Pavia, ndr) non mi avrebbe detto più di una volta: "Meno male che ci sei tu, perché se no saremmo saltati"».
Le «percentuali»
del mediatore
Daccò è il primo a non meravigliarsi che i pm non credano a questa autodescrizione del suo lavoro, degna di una gag di un film di Nanni Moretti («faccio cose, vedo gente») e tuttavia valsagli almeno 70 milioni. Ma scimmiotta Leonardo Sciascia per provare a spiegare: «Sono d’accordo che la cosa possa stupire voi, non me. Perché siamo tutti uomini, no? C’è chi è un ardito, c’è chi si vergogna, c’è chi pensa che se manda un altro è meglio, c’è chi non se la sente di farlo, questo lavoro. E sono venuti da me». Che «faccio il lavoro, mi muovo, riesco a portare a casa il risultato» e «contratto la percentuale, 5%, 15%, in Sicilia prendo il 18%». Perché «io lavoro molto sull’umano, sul rapporto diretto. E sono uno che a volte è quasi invadente».
Invadente non si sa, evasivo di sicuro quando gli si chiede di spiegare bene in cosa consista questo suo «lavorare molto sull’umano». Daccò è chiaro soltanto quando ci tiene a ribadire che «io in vita mia non ho mai dato denaro a nessuno, se non purtroppo a una persona che non c’è più», riferimento forse a Mario Cal, il suicida vice di don Verzé al quale Pierangelo Daccò afferma di aver prestato soldi per l’istituto.
I referenti
lombardi e siciliani
Per il resto aggiunge solo che «i miei riferimenti sono sempre stati il direttore generale» (che oggi è Lucchina), «l’assessore» (che oggi è il leghista Bresciani), «un tecnico di riferimento che negli ultimi anni è il dottor Merlino, braccio destro di Lucchina». Ma averli come contatti significa tutto e niente, e lo stesso vale per i «referenti politici importanti a Roma» («il senatore pdl Comincioli, purtroppo andato in cielo anche lui») e per gli «amici» che Daccò cita in rapporto agli affari di interesse della Maugeri in Sicilia («Miccichè, Cuffaro, Pippo Fallica, Cammarata, Cittadini»).
I primi incarichi
con la fondazione
Gli inquirenti scelgono di fare poche domande e non stringenti, eppure qua e là spuntano minimi squarci interessanti sulle dinamiche evocate da Daccò. A cominciare dalla prima volta con la Fondazione Maugeri: «Mi ricordo che era un contenzioso che loro nel 1997-1998 avevano con la Regione Lombardia per delle prestazioni che non venivano pagate. Ammontava a 23 miliardi di lire. Io riuscii a sbloccare questa situazione andando a parlare con il direttore generale di allora, che se non ricordo male era Beretta o Botti, credo più Beretta. Dopodiché, abbiamo sviluppato (con la Maugeri, ndr) tutta una serie di collaborazioni in Regione Lombardia per verificare le funzioni», cioè «l’istituto che la Regione ha per riconoscere i costi che non sono previsti nelle tariffe» (vedere l’articolo qui in pagina).
Colpisce però che il lavoro «sull’umano», che Daccò dice di aver fatto tanti anni fa anche per l’ospedale Fatebenefratelli e una volta per Antonino Ligresti («80 milioni di lire»), dipenda molto dalla disponibilità dell’interlocutore regionale: «Ci sono degli assessori con cui si può dialogare e altri un po’ meno. Faccio l’esempio: quando c’era l’assessore della Lega, Cè (dimessosi nel 2007 in polemica con Formigoni, ndr), io non l’ho mai visto. Non mi ha mai ricevuto».
A Daccò una mezza buona notizia arriva dalla Cassazione che il 10 febbraio aveva annullato, con rinvio al giudice di Milano, il primo dei suoi tre arresti: ieri nelle motivazioni la Suprema Corte chiede al gip di spiegare meglio la consapevolezza di Daccò (non amministratore del San Raffaele) dello stato di grave crisi dell’istituto, da cui aveva ricevuto i 7 milioni di euro per i quali proprio ieri è iniziata l’udienza preliminare per concorso in bancarotta. Per il suo legale, l’avvocato Giampiero Biancolella, che difende Daccò con l’avvocato Jacopo Antonelli, la sentenza «mina alla base l’impianto accusatorio».
Luigi Ferrarella
Giuseppe Guastella