Dario Di Vico, Corriere della Sera 27/04/2012, 27 aprile 2012
IL PARADOSSO RYANAIR: PORTA TURISTI AL SUD MA EVADE I CONTRIBUTI
Si parla molto, e giustamente, dell’incapacità del sistema Italia di attrarre investimenti esteri ma c’è un caso particolare, quello della compagnia Ryanair, che pone interrogativi del tutto diversi. Si sta infatti ampliando il fronte di quanti (l’Enac, i sindacati del trasporto, l’Alitalia) chiedono che vengano riesaminate le regole di ingaggio e che le amministrazioni dello Stato si mobilitino per far rispettare le leggi. Ma come può accadere che un caso di successo qual è Ryanair sia messo sotto accusa per concorrenza sleale?
La compagnia irlandese opera in Italia dal 2004 e grazie ai disastri dell’Alitalia e a un’indubbia capacità manageriale ha ormai raggiunto una posizione di forza. Nelle settimane scorse c’è stata addirittura una querelle mediatica con la compagnia di bandiera su chi potesse vantare la posizione di leader assoluto del mercato italiano. Prima Ryanair ha annunciato il sorpasso e poi il numero uno Michael O’Leary ha porto le sue scuse. I maliziosi sostengono però che la smentita del manager non è stata altro che una notizia data due volte. Gli irlandesi rappresentano il primo vettore per dieci scali italiani, su 50 rotte low cost interne prevalgono in 27 casi e complessivamente trasportano 6 milioni di passeggeri italiani sulle tratte nazionali e 16 su quelle internazionali. Ma, ed è questa la domanda che gli avversari di Ryanair pongono oggi, gli irlandesi hanno anche usufruito di una serie di condizioni di vantaggio ai limiti del lecito?
Vediamo di capirne di più. Ryanair ha status comunitario grazie alla sede legale di Dublino e in Italia è rappresentata fiscalmente da una Srl, la Meridian Vat, con sede a Napoli. I 650 dipendenti italiani della compagnia che pure hanno residenza e sede di lavoro in Italia vedono i loro stipendi accreditati su conti irlandesi e sono regolati da un contratto di diritto irlandese. Di conseguenza il loro datore di lavoro non ottempera ai dovuti versamenti all’Inps e all’Inail. La contribuzione in Irlanda è mediamente del 12% contro il 37% in Italia ma i lavoratori Ryanair usufruiscono del nostro servizio sanitario e della nostra previdenza. Se un pilota si sente male non va a farsi visitare a Dublino ma chiama il suo medico di famiglia. Si configura così un caso di evasione contributiva stimata in 12 milioni di euro e contestata da parte dell’ispettorato del lavoro di Bergamo, competente in virtù del fatto che Orio al Serio è la principale base operativa degli irlandesi in Italia.
Ma non è tutto. Nel 2010 anche il Fisco aveva contestato a Ryanair il mancato pagamento delle imposte sui ricavi da voli nazionali dal 2005 al 2009. Secondo la Guardia di Finanza servendosi la compagna irlandese di 22 aeroporti, 10 basi, e avendo in offerta 390 rotte da/per il Belpaese è di fatto «una stabile organizzazione» e deve di conseguenza pagare le tasse in Italia. La presunta evasione fiscale è stimata dal 2005 ad oggi in 500 milioni di euro e dopo i blitz della Gdf sono ancora in corso gli accertamenti. Per onor di cronaca va detto che non tutte le compagnie low cost si comportano così. Easyjet che ha sede a Londra paga i contributi in Italia e utilizza contratti italiani, lo stesso vale per la piccola Air Alps con sede a Innsbruck (Austria).
Oltre al regime speciale che di fatto le permette di evadere Fisco e contributi Ryanair in Italia usufruisce di un’altra condizione di favore. Incassa da diverse amministrazioni locali e da singoli scali contributi a fondo perduto. Cominciamo dalla Regione Sardegna che ha stanziato nell’epoca Soru 8,2 milioni per «iniziative di promozione internazionali» (leggi più voli) finalizzate a «destagionalizzare i flussi turistici» con riferimento agli scali di Alghero, Olbia e Cagliari. Successivamente tra i sardi e gli irlandesi c’è stato un contenzioso per un’ulteriore richiesta di soldi avanzata da O’Leary per Alghero. L’aeroporto veronese di Catullo a sua volta versa a Ryanair 2 milioni di euro l’anno in virtù di un contratto che la stampa locale ha definito «capestro». Ma lo stanziamento che ha generato più polemiche è quello di un’altra regione meridionale, la Puglia. Ben 12 milioni di euro decisi dall’amministrazione Vendola per potenziare i voli da/per Bari e Brindisi. «Grazie al low cost le famiglie pugliesi hanno avuto la possibilità di viaggiare — ha commentato l’assessore Silvia Godelli — ed è stato possibile incrementare il turismo con soggiorni lungo tutto l’arco dell’anno». Secondo le stime della compagnia irlandese l’indotto turistico pugliese ha avuto entrate aggiuntive per quattrocento milioni di euro come ricaduta dell’incremento dei voli.
Che fare, dunque? È palese che Ryanair ha sfondato in Italia grazie a condizioni normative e di supporto finanziarie irripetibili ma è anche vero che svolge una funzione sussidiaria, assicura collegamenti per le regioni alla disperata ricerca di turisti. In più, la ramificazione degli irlandesi va di pari passo a un’altra tendenza, quella delle Ferrovie a tagliare i cosiddetti rami secchi. Per sintetizzare il tutto con una formula, è come se l’azienda Italia avesse concesso a O’Leary una sorta di outsourcing del trasporto in cambio di una fitta serie di agevolazioni, alcune emerse e altre sommerse. La Francia che di recente si è ribellata a questo modello di business rilanciando la guerra giudiziaria contro Ryanair si è vista depennare dal network, a dimostrazione che per O’Leary quel modello è intoccabile. O così o niente. Finora i governi italiani hanno sostanzialmente chiuso gli occhi, qualche ministro si è reso conto della singolarità dello scambio in atto e ha preferito girarsi dall’altra parte, ma pochi giorni fa il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione legislativa secondo la quale hostess, steward e piloti saranno soggetti alle norme di sicurezza sociale del Paese «dove cominciano e terminano la loro giornata lavorativa». E quindi un giorno o l’altro anche Roma dovrà fare i conti con la «patata bollente» Ryanair.
Dario Di Vico