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 2012  aprile 26 Giovedì calendario

Napolitano stoppa Grillo e il voto anticipato - Rinnovarsi. Ripulirsi. Ri­mettersi a fare politica

Napolitano stoppa Grillo e il voto anticipato - Rinnovarsi. Ripulirsi. Ri­mettersi a fare politica. Sono que­ste, per Giorgio Napolitano, le mosse giuste, le co­se che i partiti de­vono fare «per non dare fiato alla cie­ca sfiducia e a qual­che demagogo di turno», tipo Bep­pe Grillo. Forse ci vuole coraggio «per estirpare il marcio», magari serve risolutezza per «dare traspa­renza » alla mac­chi­na del finanzia­mento pubblico e, chissà,occorre an­ch­e un po’ di lungi­miranza per vara­re «le irrinunciabi­li riforme» istitu­zionali, prima fra tutte una nuova legge elettorale. Però la strada è questa, non ci so­no alternative o scorciatoie. Si vo­terà infatti in primavera del 2013, «alla scadenza naturale della legi­slatura ». Il capo dello Stato sfrutta le cele­brazioni per i-67 anni della Libera­zione per fare un elettrochoc al si­stema. Il punto di partenza è la di­fesa della politica come bene co­mune e dell’importanza dei parti­ti. Dalla Resistenza in poi, ricorda, «molti sono scomparsi, altri si so­no trasformati, ne sono nati di nuovi e tutti hanno mostrato dei li­miti e compiuto degli errori». Ma rifiutarli in quanto tali è sbagliato perché «non si sa dove può mai portare». Il vento dell’antipoliti­ca, spiega il presidente, è «un ab­baglio fatale», è un «male antico» dell’Italia,come dimostra la para­bola dell’Uomo Qualunque di Giannini. Però, come si dice, ab­biamo già dato. «Ci si fermi a ricor­dare e a riflettere prima di scagliar­si contro la politica». Principale destinatario del messaggio, Bep­pe Grillo. Che risponde a stretto gi­ro di posta togliendosi di dosso la scomoda etichetta: «Sento parla­re di populismo e di demagoghi. Ma il mio non è populismo, è poli­tica », dice il comico genovese, che anzi aggiunge: «Noi siamo il pri­mo vero e unico movimento politi­co del Paese ». E riferendosi alla fe­sta della Liberazione, mostra di avere un’idea tutta sua di come i protagonisti di quella stagione della nostra storia vivrebbero la nostra epoca: «Oggi, 25 aprile 2012, il corteo delle salme ha ono­­rato la Resistenza. L’immagine ca­dente di Fini, Monti, Napolitano e Schifani rappresenta l’Italia.I vec­chi occhi dei partigiani guardereb­bero smarriti un deserto. Forse si metterebbero a piangere. Forse ri­prenderebbero in mano la mitra­glia ». Un uppercut al mento. Ma tor­niamo a Napolitano, che nella vi­sione di Grillo è la salma numero uno. Lui che pure, da piazza del Popolo a Pesaro, detta l’agenda da qui alla fine della legislatura e cerca di scuotere i partiti. Tra spread, crisi economica, recessio­ne, mancanza di lavoro e incertez­za del futuro, il clima è quello che è. I partiti però non possono resta­re a guardare. «Facciano la loro parte», si rimbocchino le mani­che, si ripuliscano e si impegnino nel lavoro per il quale sono chia­mati, approvare le leggi.C’è anco­ra un anno prima del voto. C’è pa­recchio da fare, c’è pure una larga maggioranza che sostiene il gover­no. E quindi «ci sono tutte le condi­zioni per conco­rdare in Parlamen­to soluzioni che sono diventate ur­genti, anzi, indilazionabili». Sotto dunque con l’accetta per eliminare privilegi, ridurre i finan­ziamenti e «tagliare l’erba ai de­magoghi ». I partiti, se vogliono so­pravvivere, «non esitino e non tar­dino » a ripulire la loro immagine e a impegnarsi, «confrontandosi fattivamente con il governo fino al­la c­onclusione naturale della legi­slatura ». Il Paese vuole riforme, perciò bisogna sfruttare l’anno a disposizione per «una nuova leg­ge elettorale che restituisca ai cit­tadini la possibilità di scegliere i lo­ro rappresentanti e non di votare solo dei nominati dalle segrete­rie ». Il capo dello Stato chiude con l’emergenza quotidiana.Servono «fiducia, rinnovamento e unità» per affrontare una crisi «dramma­tica per le famiglie in condizioni più difficili», per quanti «rischia­no il posto di lavoro », e per i troppi giovani tagliati fuori da concrete possibilità di occupazione». La piazza batte le mani. «Presidente, tieni duro», gridano.