Nello Ajello, la Repubblica 26/4/2012, 26 aprile 2012
Un mondo di carta – Per oltre un decennio Marino Sinibaldi, direttore di Radiotre, ha curato una delle trasmissioni più autorevoli dedicate ai libri, Fahrenheit
Un mondo di carta – Per oltre un decennio Marino Sinibaldi, direttore di Radiotre, ha curato una delle trasmissioni più autorevoli dedicate ai libri, Fahrenheit. Ogni giorno, scrittori, critici, librai, esperti di marketing discutono sulla validità d´un genere letterario, salutano bestseller o denunziano flop senza rimedio. A Sinibaldi, appunto, rivolgiamo alcune domande a proposito della salute del libro, oggi, in Italia. Partiamo da una constatazione. Molti del mestiere sembrano concordi nel denunziare una grave crisi del mercato editoriale. Fa notizia l´assottigliarsi, negli ultimi mesi, del numero dei "lettori forti", cioè di quella élite che acquista e legge più di dodici libri l´anno. Si tratta d´una fascia di popolazione numericamente modesta, ma che assume rilevanza all´interno di un paese, il nostro, mai molto brillante in materia. Nell´ultimo trimestre del 2011, gli acquirenti di libri sarebbero calati, in Italia, del 10 per cento rispetto allo stesso periodo dell´anno precedente. È un trend al ribasso che appare confermato dal primo trimestre dell´anno in corso. Sono qui a domandare a lei, Sinibaldi - una persona per la quale mi figuro che il "lettore forte" sia un interlocutore consueto - come interpreta simili dati. «Intendiamoci sull´aggettivo "modesto", attribuito alla minoranza dei lettori "forti". Se essi davvero ammontano ai cinque o sei milioni di cui parlano le statistiche, si tratta di un dato assai significativo, tale da poter fare la fortuna di ogni programma televisivo, degno cioè di rispetto ed orgoglio, in un momento in cui accade intorno a noi qualcosa di epocale, di apocalittico, Di leggere i libri sta venendo meno il tempo. Peggio: sembra che non ce ne sia neppure bisogno». Ecco un dato che può apparire consistente: la mancanza di tempo. «Le riassumo una telefonata che ho ricevuto durante una trasmissione. Era al microfono un´ascoltatrice torinese, tutta contenta perché aveva appena avuto modo d´incontrare alcuni dei suoi scrittori più amati - citava ad esempio Yehoshua - sui quali aveva captato qualche notizia in rete. Sprizzava soddisfazione. Però poi mi confidò che di quegli autori non aveva mai letto un libro. "Me ne è mancato il tempo!", cercò di spiegarmi. Lei era un´interlocutrice matura. Consideriamo ora un ragazzo o una ragazza, consueti frequentatori di social network, blog, serial televisivi. Potranno mai trovare il tempo da dedicare alla lettura? Insisto: a un giovane di questo tipo, attivo, istruito e impegnato, di leggere un libro viene meno la necessità. Quella esperienza di conoscenza del mondo, di nozione dell´altro, di rapporto con il diverso, che noi di un´altra generazione faticavamo a conquistare leggendo libri, costoro la raggiungono attraverso tecnologie che escludono la lettura». Non negherà che, in questo modo, qualcosa essi vengono a perdere. «Certo, gli viene meno qualcosa di enorme: la profondità nel tempo e nell´interiorità che solo i libri possono darci». E di questa perdita soffrono? «Lo escludo. Sono all´altezza dei tempi, e lo sanno. A me, venuto al mondo nel 1954, cresciuto in una famiglia operaia senza libri, della loro comparsa nella mia vita mi toccò far tesoro. Vedevo in essi l´unico modo che mi consentisse di conoscere il mondo. Di mantenermi alla sua altezza». L´indipendenza dal libro è un progresso o il suo contrario? Il dubbio è fatale. «Me lo chiedo anche io. Con la dovuta umiltà, mi sembra però giusto che in ogni epoca vengano salvati valori vecchi, ma anche che si debbano trovare valori nuovi». La crisi del libro è un fenomeno mondiale. Ma esiste, secondo lei, una particolare ottica italiana per valutarla? «Due circostanze aggravano, qui da noi, il quadro. La prima è la debolezza di cui, non da oggi, soffre la lettura a livello nazionale. Da ultimo, è come se il bisogno di storie, e in genere di conoscenza, fosse stato requisito e inghiottito da altri media: in primo luogo dalla televisione». Ma la tivù non esiste anche in Francia o in Gran Bretagna? «Certo che esiste. Ma, affacciandosi in quei Paesi, vi ha trovato un´abitudine popolare alla lettura, che da noi faceva difetto. Noi abbiamo avuto, inoltre - spero di poterne parlare con il verbo al passato - un ceto politico che ha rivendicato l´incultura. Ecco perché, ricordando la cifra di "lettori forti" che si presume ancora esista in Italia, l´ho considerata un dato assai rispettabile. Anche da altri indizi, comunque, il nostro paese appare beneficiario d´una serie di miracoli. Siamo pieni di festival, le biblioteche eroicamente resistono…». Che impressione le fa il libro elettronico? La spaventa? «Per ora mi sembra soltanto un episodio di marketing. Tutto va bene, comunque, purché la gente legga. Se il libro come noi lo conosciamo ci verrà conservato non è - io penso - per le ragioni un po´ elitarie che spesso vengono addotte o invocate: il profumo della stampa, il gusto tattile, le copertine preziose. La sua forza è nel fatto di essere e restare un oggetto moderno. E´ mobile, sta dovunque, lo apri e ci sei già dentro. Non ha bisogno di essere connesso, non corre il rischio - tanto per accennare a un nostro incubo ricorrente - che "non ci sia campo"». Ci sarà dunque ancora un libro nel futuro della gente? «Non è detto. Segnalerei però due elementi augurali. Ecco il primo: la letteratura per ragazzi mi sembra, qui in Italia, un settore di alta qualità: guardi per esempio questo libro su Bruno Schultz che sta qui sul tavolo. Non lo trova splendido? Secondo elemento: per quanto io personalmente provi a frequentare la rete, i social network e tutti i possibili new media, la vastità di esperienze, la profondità, la curiosità, l´autenticità che offre la lettura non la trovo altrove. Se l´uomo di domani vorrà usufruire di questi privilegi, sarà costretto a leggere. Ma lei dovrebbe parlare con questi viventi del futuro, non con me. Io sono un uomo di carta». Un antico editore, Arnoldo Mondadori, sosteneva che la crisi del libro è antica quanto l´invenzione della stampa. Secondo lei può progredire il mondo senza libri? «Possiamo solo constatare che esso è progredito in maniera decisiva in compagnia di tanti libri. Ma poi mi permetta di essere apocalittico e insieme progressista: credo che sia possibile progredire anche senza libri. Mi dia dieci anni di tempo. Dovrà pur uscire un libro che mi spieghi in che modo ciò potrà succedere».