Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 26 Giovedì calendario

«IL MIX STATO-BANCHE AUMENTA IL RISCHIO MAFIA»


Nelle mani di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Questa è la fine che fanno molte piccole e medie imprese a corto di denaro. A lanciare l’allarme è Unimpresa (unione nazionale di micro, piccole e medie imprese). Secondo uno studio in via di pubblicazione, con la crisi finanziaria e la recessione sta crescendo in maniera esponenziale il numero delle imprese italiane attratte nel circuito dell’economia illegale.

150 MLD DELLA MAFIA SPA

La crisi economica, dunque, favorisce quell’azienda che non chiude mai e risponde al nome di “mafia spa”. Che ogni anno ha il problema di riciclare 150 miliardi di euro e individua proprio nelle Pmi l’anello debole per infiltrarsi nel tessuto economico del Paese. Il motivo che spinge le imprese medio-piccole a rivolgersi alla criminalità è principalmente il ritardo nei pagamenti da parte della pubblica amministrazione e la restrizione del credito da parte delle banche. Il primo, per dare qualche numero, è un problema enorme. Il debito dello Stato verso le imprese si aggira intorno ai 100 miliardi di euro, tanto che anche il governo, con il ministro Filippo Patroni Griffi, qualche settimana fa ha lanciato l’allarme. Ma il governo di Mario Monti ancora non è riuscito a trovare una soluzione a una questione annosa che ogni esecutivo lascia in eredità al successivo.
Se uniamo questo al fatto che gli istituti di credito hanno ristretto i cordoni della borsa, si capisce quali siano le difficoltà attraverso cui ogni giorno devono muoversi gli imprenditori.
Un altro studio, della società Eidos Partners, conferma i problemi delle Pmi: un terzo di loro, pari al 38 per cento, infatti, ha debiti superiori al loro patrimonio. Situazione più grave al Sud, come in Molise e in Basilicata, dove gli squilibri arrivano al 58 e al 55 per cento, ma anche il Friuli non se la passa bene, con il 49,6 per cento. Ma in questo mare di dati negativi c’è anche una nota positiva: secondo Eidos, infatti, il 76 per cento di aziende analizzate nel 2010 ha chiuso il bilancio in utile.
Tornando alle imprese nella rete della criminalità, i settori più a rischio sono l’edilizia, la logistica, il turismo e il commercio all’ingrosso e al dettaglio. «La crisi economica sta accentuando il rischio di infiltrazioni criminali nell’economia, indebolendo il controllo sociale e la capacità delle imprese e delle istituzioni di respingere le penetrazioni malavitose», osserva Luigi Scipione del centro studi di Unimpresa. La cui ricerca mette in evidenza come, in questo scenario recessivo, si incrocino due esigenze: da una parte l’imprenditore senza soldi e dall’altra la mafia che li ha e deve metterli in circolo.

SOMMERSI DAI DEBITI

«Sempre più imprenditori strozzati dai debiti sono costretti a rivolgersi ai finanziamenti mafiosi, spesso dopo essersi visti negare prestiti dalle banche. Succede al Nord come al Sud, senza distinzione. La mafia diventa una sorta di banca aperta tutti i giorni della settimana», racconta lo studio.
Per questo motivo Unimpresa chiede di rimodulare il sistema bancario in modo che i piccoli imprenditori possano avere un accesso al credito più facile, evitando così il rischio di infiltrazioni malavitose.
Insomma, la crisi favorisce la criminalità, perché in questo momento è l’unico settore liquido della società. Il problema, però, non riguarda solo i prestiti, ma anche l’acquisto di quote. L’imprenditore in difficoltà, infatti, per salvare la sua azienda spesso è costretto a cederne una parte, poi un’altra e così via. E questo consente alla malavita di entrare in possesso di aziende in tutte le regioni italiane. «All’inizio l’imprenditore magari è contento perché riesce a far fronte ai debiti e a pagare fornitori e dipendenti, ma non si rende conto che invece ha fatto il primo passo verso la fine della sua attività, perché una volta che la malavita mette un piede dentro un’azienda poi non la molla più», conclude Scipione.

Gianluca Roselli