Luca Telese, il Fatto Quotidiano 26/4/2012, 26 aprile 2012
SARKÒ: “LO FACCIO ESPLODERE”
Strozzinaggio”, “crimini”, “ladri”, “rivolta”, “barbarie”. Se arrivi in Francia dall’Italia e ascolti i comizi dei politici impegnati nelle elezioni presidenziali scopri una lingua straniera. Solo che non é il francese. Se arrivi in Francia e senti i politici parlare - da Francois Hollande a Nicolas Sarkozy, da Jean Luc Mélenchon a Marine Le Pen - ti accorgi che c’è una neolingua estrema che sta contagiando la politica europea, una neolingua incendiaria che tuona contro “la dittatura delle banche”, contro “il denaro”, contro “il profitto”. Solo che non è l’apparato sloganistico di qualche gruppuscolo, è ormai la lingua di tutti. La nuova lingua che la crisi ha prodotto in Francia è una lingua molto più radicale di quella parlata oggi nel nostro Paese da Beppe Grillo o dalla Lega, è una lingua che presto potrebbe diffondersi in tutta Europa, è la nuova lingua della politica nel tempo della paura e dell’insicurezza.
COSÌ non puoi che chiederti. Primo: chi l’ha inventata questa lingua? Secondo: arriverà anche in Italia? Entrambe le domande meritano risposta, visto che questo terremoto glottologico sta contagiando tutti, indifferentemente, a destra o a sinistra. Persino Sarkozy, che dovrebbe essere l’erede del francese marziale, cortese e cristallino del generale De Gaulle sembra adesso essere contagiato dalla febbre dello slang. Ieri, Le Canard Enchaine ha rivelato un fuori onda dal dir poco imbarazzante per lui, visto che era riferito al suo avversario: “Hollande – diceva Sarkò – lo faccio esplodere, lo sfondo. Tiro fuori l’artiglieria pesante”. Parole che fanno sembrare quasi Infantile quel-l’Umberto Bossi del tempo che fu, che nel 1992 minacciava alla sua maniera Achille Occhetto: “Io al papero gli sgommo addosso!”. Si passa dalla lingua gradassa che mima il cartone animato, a quella cruenta che imita gangster movie. Solo che la lingua incriminata del presidente francese non è solo quella affidata alle rivelazioni informali, ma anche quella che in questa campagna elettorale ha adoperato pubblicamente, nelle piazze. E il primo a denunciare questa mutazione di codici comunicativi è stato un settimanale prestigioso come Time, stupito per quella caduta di stile che ha fatto dire a Sarko: “Il vero problema dei francesi è che abbiamo troppi immigrati!”. Un “presidente xenofobo” ha scritto Time. E che non fosse un episodio si è capito poco dopo, quando in un duello televisivo, Sarkozy ha rincarato la dose: “Gli stranieri lavorano poco, e spesso molto poco bene”. Mica male per uno che é figlio di un ungherese e che ha sangue di tre razze nelle sue vene, un lessico a dir poco incredibile per un inquilino dell’Eliseo.
Il fatto curioso è che questo cambio di passo è stato il frutto di una strategia studiata a tavolino dai suoi consiglieri politici che gli suggerivano di puntare la barra “tutta a destra”, per fronteggiare l’avanzata del Front National. Peccato che l’originale fosse inimitabile. E così mentre la Le Pen alternava toni apparentemente più sommessi sugli immigrati, la candidata di estrema destra alzava il tiro radicalizzando la sua lingua sui temi economici e sociali: “Io non ho paura di dire che sono qui a promettervi battaglia contro la dittatura dell’euro! Sono qui a promettere solennemente che ingaggerò una battaglia senza quartiere contro i signori dello strozzinaggio e della finanza”. Basta prendere un qualsiasi comizio della leader dell’estrema destra per sentirla tuonare contro il nuovo nemico, contro “i vergognosi oligarchi della mondializzazione”,
contro “i giornalisti conformisti, custodi del politicamente corretto che mormorano scandalizzati perché siamo quelli che diciamo pane al pane e vino al vino”. Poteva rincorrerla su quel terreno il presidente uscente? Non poteva. E così i commentatori francesi lo accusano due volte: di aver sdoganato la xenofobia, e di aver rafforzato la posizione del Front National. Ma anche a sinistra le parole sono diventate improvvisamente pesanti. Ad esempio quando il candidato del Front de Gauche ha iniziato a tuonare “contro gli editocrati, i plutocrati e i partitocrati”. Quando ha attaccato a testa bassa “i signori della speculazione che hanno strangolato l’Europa e stanno cercando di ucciderla”. Quando ha promesso “un referendum contro la dittatura dell’euro”. Oppure quando dice: “L’asse del ‘Merkozy’ é il nuovo potere totalitario che prova ad uccidere la democrazia”. Tutto é diventato drastico in queste ore. E tutte le metafore sono diventate cruente: ritorna “la battaglia”, ritorna il bisogno di “rivoluzione” (a destra come a sinistra) ritorna la retorica dei leader che si rivolgono al “popolo”, lo interrogano, gli danno del “tu” o del “voi” e lo invitano a ribellassi e a mobilitarsi contro il nuovo nemico. “Le banche sono come le bande”, grida la Le Pen, “Le banche stanno uccidendo gli Stati”, grida Mélenchon. “Noi vi difenderemo dall’Europa delle banche”, grida persino Hollande, e aggiunge: “Noi non accettiamo di piegarci alla signoria del denaro!”.
FA UNA CERTA impressione vedere la Francia degli enarchi che hanno studiato nelle scuole più prestigiose seguire il vento della rabbia. Solo pochi mesi fa Hollande era ospite di Pierluigi Bersani e parlava la lingua compassata dei socialisti europei, ma questa campagna elettorale sembra aver sovvertito la sua iconografia di “uomo normale” che girava “in motorino” (lo ha raccontato il figlio, ad Anais Ginori) e aveva l’aspetto di un notaio. Adesso Hollande si radicalizza, promette patrimoniali, tasse sui ricchi, ma persino il voto agli immigrati, chiude i suoi comizi con “Bella ciao” (in italiano, lo ha fatto a Nantes). La lingua della politica è il contenuto di una politica, la lingua della Francia nel tempo della grande crisi non ha ancora contagiato l’Italia perché in questi mesi si è imposto l’alfabeto dei tecnici. Ma bastano cento punti di spread e un aumento di Iva perché arrivi anche da noi.