Raffaele Panizza, Sportweek 21/4/2012, 21 aprile 2012
Fossi morto un anno fa sarei andato all’inferno – Adesso, se non si considerasse un povero Cristo, si direbbe in pace come un piccolo Buddha
Fossi morto un anno fa sarei andato all’inferno – Adesso, se non si considerasse un povero Cristo, si direbbe in pace come un piccolo Buddha. Con la sua maiuscola capoccia da Pokemon, il viso rapito nel Nirvana e le gambette corte, Manny Pacquiao se ne sta stravaccato su un divano del Mandarin Oriental Hotel di Manila a godersi le cure amorose dei due bodyguard e di un accompagnatore dai capelli platinati che da mezzora gli massaggiano i piedi in religioso silenzio. Nella stanza a fianco, intanto, si prepara una conferenza stampa che s’annuncia febbrile: «È vero, lo confesso: sono positivo», dichiarerà Pacquiao tra una baraonda di flash e giornalisti indemoniati, prima di sciogliere la tensione e svelare l’arcano: «La mia droga si chiama Sting, il nuovo energy drink filippino!». Così, in profonda meditazione prima di girare l’ennesimo spot, da una fessura degli occhi semichiusi scruta l’inseparabile iPad sul quale ha scaricato una versione digitale della Bibbia. «Vede? Le parti sottolineate in rosso sono le parole di Gesù, quelle in nero sono le considerazioni degli evangelisti. Bisogna sempre distinguere il grano dal loglio», dice prima di declamare ad alta voce un passo dell’Antico testamento, Ezechiele 36, riguardo al dovere degli uomini di diffondere la parola del Signore. «Ormai appartengo a Dio. Mi affido completamente a lui», insiste il pugile filippino, 33 anni, con un profondo respiro, mentre un quarto uomo si unisce agli altri discepoli del massaggio plantare: «Se fossi morto anche soltanto un anno fa, sarei finito dritto all’inferno». E invece cos’è successo? «Ho fatto un sogno, lo scorso novembre, dopo l’incontro con Juan Manuel Marquez. Camminavo in un bosco e Dio si è rivolto a me. "Perché ti allontani dalla mia luce, figlio?": ecco cosa mi ha detto. Io allora mi sono messo a piangere. E devo averlo fatto anche nella realtà. Perché al mio risveglio il cuscino era umido di lacrime. Da quel giorno, sono suo». Il primo atto del nuovo Pacquiao qual è stato? «Ho smesso di scommettere e di giocare a biliardo. E poi ho dato via tutti i galli da combattimento, una delle mie più grandi passioni». Lo yacht ce l’ha ancora, però. «Quello è il regalo di un caro amico, il politico Chivit Singson. Un tipo strano, che tiene due tigri libere in giardino. Non mi va di contrariarlo». Si dice che in un altro sogno Dio l’abbia invitata a lasciare la boxe. «Mi ha detto che sul ring ho fatto abbastanza e che il mio nuovo destino presto si rivelerà. Di certo, vorrei disputare almeno altri tre incontri». Le piacerebbe diventare predicatore? «Già oggi mi capita di commentare il Vangelo in pubblico, persino in televisione. Lo farò sempre più». Sogna di diventare presidente delle Filippine? «In politica voglio partire dal basso, come ho fatto nella boxe. Se poi il popolo sarà con me e mi spingerà fino alla presidenza, allora amen, così sia. Ma che vuole che le dica, è tutto quanto nel- le sue mani». Nelle mani del popolo? «No, nelle mani di Dio». Come la trattano i colleghi deputati? «È un anno e mezzo che vado al Congresso e ogni volta è una processione di autografi, foto. Mi fanno salutare i parenti al telefono, si mettono a dare pugni all’aria, mi invitano a battesimi e matrimoni. La prima ora e mezza di ogni seduta va via così». A quante ricorrenze la invitano mediamente? «Più o meno 800 all’anno». In famiglia che cosa dicono della sua conversione? «Mia moglie è felice, prega con me». E i figli? «I figli devono crescere senza le influenze nefaste della mia fama. A casa li raccolgo sul divano e leggo loro la Bibbia. Piccole lezioni. In modo che crescano umili, rispettosi e gentili». Tiene lezioni anche agli amici? «Con loro uso il telefonino. Sms con testi del Vangelo commentati». Le sacre scritture hanno consumato tutte le sue passioni o qualcosa sopravvive? «Amo le immersioni, a Tuka Beach, sull’isola di Mindanao. Con il fucile sono piuttosto bravo». È sull’iPad, solo Ezechiele? «Se non leggo la parola di Dio gioco a Temple Run, un videogame d’avventura dove bisogna fuggire dal labirinto per mettere le mani su un tesoro. Ci gioco anche un paio d’ore al giorno. Mi sembra una metafora della mia vita». Che auto possiede? «Utilizzo principalmente un Suv, il Cadillac Escalade. Blindato. Antimissile». Un bersaglio facile, nel traffico impossibile di Manila. «Mi muovo con la scorta. Un’auto davanti e una dietro. Ci districhiamo bene». Che cosa ascolta in automobile? «Musica folk filippina, come la nostra gloria nazionale Freddie Aguilar. E poi ascolto me stesso». Nel senso che canticchia? «Nel senso che ho inciso un paio di cd. Li trova nei negozi "Pacquiao Team", dove vendo le mie magliette e i gadget». Titoli? «Hanno come tema centrale la battaglia. Il primo è Laban Natìng LahatIto (Questa è la nostra battaglia). L’altro, Para Sa’yo AngLaban Na’to (Questo combattimento è per voi)». Che strumenti suona? «La chitarra abbastanza bene. Il piano da poco, lo sto studiando». Di quante persone è formato il suo staff? «Quindici: due assistenti, nove guardie del corpo, il capo dello staff, il capo della sicurezza, un tuttofare e un bagman, che porta le borse a tutti». Sa già chi saranno i suoi prossimi av- versar! sul ring? «No, non lo so e neppure mi interessa. Queste cose le decide il mio manager Bob Arum. Per quanto mi riguarda, chiunque la provvidenza mi metterà di fronte, lo combatterò». L’ultimo pugile che ha sconfitto ai punti, il messicano Marquez, vuole la rivincita. Dice che si sente deruba- to dai giudici. «L’ho già sconfitto tre volte. Non penso che il pubblico abbia voglia di vedere per la quarta volta lo stesso film». Non ha paura che tutta questa religiosità la possa rendere un po’ troppo sensibile, sul ring? «Al contrario. Se Dio è con me, nessuno può essere contro di me». Odiare un avversario però le è impossibile. «Sul ring faccio il mio lavoro. Fuori dal quadrato, un pugile torna a essere un fratello». Se sventuratamente le capitasse di uccidere un avversario, potrebbe mai perdonarsi? (Pacquiao sfoglia la Bibbia e legge adatta voce un oscuro passo di Isaia, S4,17: "Nessun’arma fabbricata contro di te avrà successo, e ogni lingua che si alzerà in giudizio contro di te la condannerai. Questa è l’eredità dei servi dell’Eterno, e la loro giustizia viene da me"). «Ha sentito? Semplicemente non può accadere. Prima di ogni incontro prego per me e per il mio avversario. Dio non lo permetterebbe mai. Siamo benedetti». Le piacerebbe venire a Roma per incontrare il Papa? «È uno dei miei più grandi desideri. Avevo già programmato un viaggio per lo scorso Natale, poi ho visto le temperature invernali e ho desistito, temevo che i miei figli non avrebbero sopportato un tale freddo. Dopo rincontro con Bradiey, comunque vada, verrò in pellegrinaggio». Ha già cominciato ad allenarsi? «Sì, l’11 aprile. Così sono iniziate le mie settimane durissime. Sveglia alle 5, corsa fino alle 8 con le guardie del corpo. Poi palestra, piscina e sparring fino alle 9 di sera». Ora che ha regalato tutti i suoi galli non potrà più neppure sciogliersi le gambe inseguendoli, come Rocky Balboa. «Ho un metodo molto più efficace: gioco a basket». Vista la sua stazza, questo è davvero un miracolo. «Per un pugile è uno sport perfetto: allunga i muscoli, migliora l’equilibrio e il bilanciamento dei piedi. Gliel’ho detto: se credi, nulla è impossibile. A proposito, ha visto che cosa accade in Siria?». Sì, tremendo. «È tutto scritto nella Bibbia, Isaia 17, nella profezia contro Damasco. La Siria verrà distrutta. E ha sentito di tutti questi terremoti, degli tsunami?». Popolazioni sfortunate. «Lei dice? Legga Marco 13,5 e Marco 13,19 e poi mi dica. Non ha ancora visto niente. Si faccia coraggio. Questo è soltanto l’inizio»