Carlo Bocchialini, Sette 26/4/2012, 26 aprile 2012
VECCHIO RITZ ADDIO. È L’ORA DEL LUSSO TECNOLOGICO
«Le Ritz est ma maison», diceva Coco Chanel. In poche parole, tutto lo spirito che aveva animato César Ritz: creare un hotel in cui convivessero arte di vivere à la française e comfort britannico, dove “un principe si sentisse a casa propria”. Quattro lettere profumate di lusso ed eleganza, che dal 1898 a oggi hanno visto sfilare re, principi, artisti e miliardari: pur essendoci tanti Ritz in giro per il mondo, quello di Parigi è l’“originale”, fiero dell’indipendenza da qualunque catena alberghiera. Ma a fine luglio il rifugio di place Vendôme chiude e si rinnova. Secondo giro di boa. Il primo fu nel 1976: impianti datati, comfort che non teneva la concorrenza, mobili affaticati dall’uso. La famiglia Ritz cedette il passo: Mohamed Al Fayed, il papà di Dodi, rilevò tutto e fece lavori faraonici (tra l’altro, tre piani nel sottosuolo). Nove anni, durante i quali l’hotel rimase sempre aperto. Tra poche settimane il nuovo restyling, affidato all’architetto Thierry W. Despont. Ma questa volta si chiude. 27 mesi di lavori, 140 milioni di preventivo. Camere, suite, ristorante, bar, spa e scuola di cucina: non sarà risparmiato un metro. Ma i dettagli restano segreti: sottovoce si parla di sofisticate apparecchiature tecnologiche, vasche da bagno che si riempiono in pochi secondi e una verrière per il ristorante estivo. L’importante è conservare lo spirito, si affrettano a dire i dirigenti, perché gli habitué di lunga data quando sentono odore di cambiamento cominciano a sudare freddo. Conoscono il concièrge, vogliono la stessa stanza, la cameriera di sempre e sono molto gelosi delle loro abitudini.
Lady Amanda Harlech – il braccio destro british di Karl Lagerfeld – scende nella 454 dal 1998, e dorme solo nelle sue personali lenzuola di lino. Quando arriva, trova appoggiato sul divano lo scialle spagnolo che apparteneva alla sua prozia e il guardaroba già ordinato negli armadi (perché i bagagli partono prima, madame al massimo si tiene un trolley). Sul camino in marmo, le foto da cui non si separa mai: il suo whippet Lupin (per i non addetti, è un cane inglese), il pittore Lucian Freud, un tramonto a Shrawardine, dove si ritira quando non è a Paris, e un cucciolo di volpe. Niente in confronto alla grande mademoiselle Coco, che al Ritz abitò dal 1934 al ’71. La suite che porta il suo nome era arredata con mobili personali tra cui i famosi paraventi laccati di Coromandel. In quelle stanze si può ancora dormire, ma gli originali sono conservati nella sede Chanel di rue Cambon, giusto dietro l’hotel. Hemingway era di casa in centinaia di alberghi, ma con il Ritz ebbe un rapporto particolare. Appassionato bevitore, non potevano che dedicargli il bar dove passava intere serate.
Oltre a Chanel, le suite più prestigiose, affacciate sulla piazza, si chiamano Imperial, Windsor, Elton John, César Ritz, Vendôme. Se vi venisse voglia di farci un giro, si va dai 5 ai 13mila euro a notte. Nel 1996 Lagerfeld affittò l’intera Imperial (311 metri quadrati) per le sfilate celebrative del venticinquesimo anniversario della morte di mademoiselle. Il Ritz e la moda sono legati come Parigi e la Senna: non esiste couturier che non vi abbia soggiornato, fatto un défilé o un servizio fotografico. Vogue Usa ha ingaggiato nientemeno che Kate Moss e il fotografo Tim Walker per l’ultimo “omaggio” prima dei lavori.
Fu proprio in Place Vendôme che César Ritz volle l’hotel, e non in boulevard Haussman come gli suggerivano i suoi finanziatori. In quella piazza intima e poco chiassosa che diventerà la vetrina di tutti i grandi gioiellieri. A 48 anni, dopo aver diretto il Grand Hotel di Monte-Carlo e il Savoy di Londra, Ritz inaugura il “suo” hotel, con idee all’avanguardia, che hanno fatto scuola: elettricità in tutti i piani, bagno e telefono in ogni camera. Amava l’ingresso intimo, da residenza nobile più che da albergo, i morbidi tappeti e le camere una diversa dall’altra, con mobili d’epoca dei migliori stili francesi.
«Dove andrà Ritz, io lo seguirò», dichiarava il principe di Galles, futuro Edoardo VII. E così fece, attirando la migliore aristocrazia europea. In pochi anni si crea il mito: le feste fanno parlare tutta l’alta società internazionale e il termine “Ritzy” entra nel vocabolario mondano. L’ereditiera americana Barbara Hutton nel 1932 organizzò una serata in onore di uno dei suoi numerosi mariti, facendo arredare l’albergo come un mercato di Casablanca, con orchestra e 175 (centosettantacinque) tavoli da quindici coperti.
Nei corridoi sfilano i Rockefeller, i Vanderbilt, i Rothschild e la canzone Putting on the Ritz di Irving Berlin diventa la colonna sonora di serate e pomeriggi danzanti, tra fiumi di champagne, eccessi e frivolezze. Francis Scott Fitzgerald, seduto al bar con Hemingway, vedendo arrivare una bella signora chiese al cameriere di portarle un mazzo di orchidee accompagnato da un biglietto. I fiori tornarono al mittente senza risposta. Lui, impassibile, sfidando con lo sguardo la crudele fanciulla, li mangiò tutti, uno a uno. Ma riuscì a ottenere un appuntamento.
Famosi o meno, gli ospiti sono ospiti, non clienti. L’hotel da sempre registra i loro gusti: fiori preferiti, modo di rimboccare il letto o di mettere in ordine le cravatte. Lenzuola e salviette vengono cambiate da una a tre volte al giorno, e la lavanderia è a disposizione anche di notte, per qualunque esigenza. Lasci un paio di occhiali in camera? Al prossimo soggiorno li ritroverai nello stesso posto. Vuoi ballare nella suite come Gary Cooper e Audrey Hepburn in Arianna? Il room service ti manda subito l’orchestra.
Il cinema, al pari della moda, ha sempre fatto tappa al Ritz: tanti con il set (Woody Allen e Ron Howard i più recenti); tutti, da Humphrey Bogart a Tim Burton, dormendo nelle sue camere. Ingrid Bergman, nel giugno del 1945, fu corteggiata da Robert Capa e Irwing Shaw. In un biglietto che le fecero recapitare si legge tra l’altro: “Avevamo l’intenzione di inviarle qualche fiore insieme a questo invito a cena per stasera. Dopo esserci consultati, ci siamo resi conto che potevamo permetterci o i fiori o la cena, non entrambi”. Un capolavoro. Sulla storia recente, invece, la privacy è assoluta: fosse l’ultima sera di lady D. o i capricci da diva di Madonna.
Un asettico comunicato chiude il “secondo regno” del Ritz. L’hotel si impegna ad “accompagnare individualmente” ciascuno dei suoi 500 dipendenti, al fine di “identificare al meglio le loro aspettative”. Il portiere Serge confessa che gli mancheranno molto gli ospiti: sono la sua vita. Magari anche il lavoro.