Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 26 Giovedì calendario

Albright: “In fuga dai nazisti ho perso la mia identità”– Ero appena diventata ambasciatrice americana all’Onu, e ricevevo parecchie lettere

Albright: “In fuga dai nazisti ho perso la mia identità”– Ero appena diventata ambasciatrice americana all’Onu, e ricevevo parecchie lettere. Ne arrivò una dalla Serbia, dentro c’era scritta una sola frase: sappiamo che sei una cagna ebrea». Così Madeleine Albright cominciò a sospettare la verità sulla sua vita. «Era l’epoca della guerra in Jugoslavia: quella lettera la buttai via e non ci feci troppo caso. Mi arrivavano anche missive dalla Cecoslovacchia, presunti parenti chiedevano soldi. Nel novembre 1996, però, ne ricevetti una molto dettagliata. Era scritta in ceco e aveva tutti i particolari giusti: il paese della mia famiglia, i nomi, le date. Diceva che ero ebrea, che i miei parenti erano morti nell’Olocausto. Era il periodo in cui stavo facendo le audizioni per essere confermata come segretario di Stato, e l’avvocato della Casa Bianca che le conduceva mi domandò: “C’è qualcosa che non le abbiamo chiesto, che dovremmo sapere?”. Risposi di sì: “Non ne sono sicura neppure io, ma ci sono buone possibilità che sia di origini ebraiche”. L’avvocato scrollò le spalle e disse: “E allora? Il presidente non è mica antisemita”. La storia finì lì, ma cominciai a parlare con i miei figli della necessità di indagare. Poi, all’inizio del 1997, un giornalista del Washington Post venne da me con la conferma: non solo ero ebrea, ma due dozzine di miei parenti erano stati uccisi dai nazisti». Madeleine aveva 59 anni, e la sua incredibile vita era cambiata ancora una volta. Ora ha cercato di fissare le memorie nel libro «Prague Winter», (Inverno praghese) e l’abbiamo incontrata alla presentazione. Quando era nata, a Praga il 15 maggio 1937, si chiamava Marie Jana Korbelova. Il padre, Josef Korbel, era un diplomatico legato ai democratici cecoslovacchi Tomáš Masaryk ed Edvard Beneš. «Avevo 22 mesi quando i nazisti invasero il Paese. Pochi giorno dopo scappammo a Londra, dove sono cresciuta durante la guerra. Mio padre curava le trasmissioni radio del governo in esilio. Ci battezzammo tutti, diventando cattolici. Finita la guerra tornammo a Praga, ma quando arrivarono i sovietici scappammo ancora, stavolta negli Stati Uniti». Andarono ad abitare a Denver, dove il padre insegnava all’università. Tra le sue allieve avrebbe avuto anche una ragazza nera molto studiosa e precisa, di nome Condoleezza Rice. Madeleine si laureò in scienze politiche al Wellesley College e si sposò con Joseph Medill Patterson Albright, erede di una ricca famiglia di editori di giornali: «Allora mi convertii e divenni episcopaliana, per il matrimonio». Continuò a studiare e prese il dottorato alla Columbia University, dove tra i suoi professori c’era il polacco Zbigniew Brzezinski. Questa amicizia la fece entrare nel circolo che pensava la politica estera del Partito democratico, fino a diventare il primo segretario di Stato donna. E a scoprire la verità sulla sua esistenza. «I miei genitori sono morti prima che potessi chiedere, e quindi mi resta solo da speculare sulle ragioni che li spinsero alla conversione. Non fu per sfuggire all’Olocausto, perché quando ci battezzammo eravamo già a Londra. Non eravamo ebrei praticanti, e quindi le radici non erano profonde. Mia madre però era una persona molto spirituale, e forse pensò che ci servisse una religione per superare le durezze della guerra. Alla fine credo che lo fecero per proteggere me: si convinsero che avrei avuto una vita più facile, da cristiana. Dopo la guerra, saputo cosa era successo agli ebrei, non riuscirono più a parlarne. Credo che i miei genitori abbiano fatto il meglio per salvarmi». Lei poi è tornata in Cecoslovacchia, «per indagare la verità e la natura umana. Per capire come mai alcune persone sono incredibilmente buone, e altre incredibilmente sadiche. Forse entrambi gli aspetti convivono in ognuno di noi». Ha scoperto cose agghiaccianti: «I resti di mio nonno erano in una scatola di cartone, che i nazisti buttarono nel fiume a Terezin per nascondere cosa avevano fatto. Mia nonna fu presa in una retata per punire l’uccisione di Reinhard Heydrich, uno degli architetti dell’Olocausto: ci lasciò una lettera in cui diceva che la mattina dell’arresto avrebbe cotto il pane, invitandoci a non preoccuparci. I miei ultimi parenti che morirono ad Aushwitz erano partiti da Terezin appena sette giorni prima della liberazione». Madeleine, che sfoggia una spilla dei tetti di Praga sull’elegante vestito azzurro, ha fatto pace col suo destino: «Ammiro la tradizione ebraica, ma a 59 anni non potevo diventarne pienamente parte. Sono stata cattolica ed episcopaliana, e ora ho scoperto di essere ebrea: sono indivisibile, come l’America». Da questo ha tratto la forza per agire, «quando vedemmo la pulizia etnica nella ex Jugoslavia. Non potevo lasciare che avvenisse, anche prima di sapere che ero ebrea». Da questo trae la sua forza oggi: «Il mondo è un “casino” che non avevo mai visto prima, per usare un termine diplomatico. C’è sfiducia nelle istituzioni, incertezza sul ruolo dei governi, disaccordo sulle regole comuni, attori non legati agli Stati che non hanno nulla a cuore e ci minacciano. La primavera araba è il cambiamento più importante dalla fine della Guerra fredda, e ancora non sappiamo come gestirla. Io però sono ottimista, perché sono americana. So che ci rialzeremo, come sempre, se a novembre rieleggeremo la persona giusta».