Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  aprile 26 Giovedì calendario

(TUTTA PAGINA 5 DELLA STAMPA)

6 maggio, un voto sul futuro

Inel 6 maggioper eleggereoltre un60 nuovomilionipresidentedi europei (FranciaandrannoealleSerbia),urrinnovare il Parlamento (Grecia e Serbia) e scegliere i deputati regionali (lo Schleswig- Holstein, Land tedesco). Senza contare le amministrative che coinvolgeranno molti comuni italiani. Forse mai come quest’anno i destini dell’Unione politica-economica, sono in gioco. La posta è alta. Se quelle ad Atene, Cenerentola europea che cammina sull’orlo del baratro aggrappata agli aiuti finanziari dell’Ue, sono state ribattezzate come le «più importanti elezioni» dal 1974, a Parigi si sceglie fra due modi diversi di stare in Europa. Per Angela Merkel, il 6 maggio è l’inizio di una settimana di fuoco che si concluderà il 13 con il voto nel Nordreno Vestfalia, il Land da 18 milioni di abitanti. Un risultato inferiore alle attese potrebbe costringere Angela Merkel a rivedere la composizione del suo governo. E sarà impossibile che non ci siano riflessi sulla Ue. Proprio l’istituzione a cui guarda la Serbia. Ora però con minor entusiasmo.

Grecia
Crescono destra e sinistra estrema
TONIA MASTROBUONI
Per la prima volta in 40 anni di storia democratica i greci non andranno a votare per la destra o la sinistra ma “contro” o “a favore” di qualcosa. Le elezioni del 6 maggio sono diventate un referendum sul duro risanamento imposto al Paese dai due maxisalvataggi europei. Ma con il rischio che vincano le formazioni che si oppongono ai sacrifici, la Ue trema all’ipotesi di ritrovarsi di nuovo alle prese con il rischio di una bancarotta ellenica. Non a caso il governatore della Banca centrale, Provopoulos, ha avvertito i suoi connazionali: l’abbandono dell’austerity butterebbe Atene fuori dall’euro. Destra e sinistra, però, salgono nei sondaggi proprio per il rifiuto nei confronti dell’aggiustamento monitorato dalla trojka Ue-BceFmi. E stanno riducendo gli spazi alla Grande coalizione tra i conservatori di Nuova Democrazia e i socialisti del Pasok che sostengono l’attuale governo guidato dal tecnico Papademos, impegnato a non abdicare dal sentiero delle riforme. I sondaggi dicono che il panorama emerso dalle politiche del 2009, con il Pasok che ha potuto guidare fino all’autunno scorso un governo monocolore perché ha sfiorato il 44% dei voti, è stravolto. Stando agli umori sono addirittura 10 i partiti che potrebbero superare la soglia di sbarramento del 3%. E il più inquietante è l’ultranazionalista «Alba dorata», accreditata al 5% e che sta cannibalizzando il Laos, il tradizionale partito di destra «reo» di aver inizialmente appoggiato il governo Papademos. Ma oltre all’estrema destra i pronostici parlanodiun30%cheandrebbe ai partiti di sinistra radicale. E cresce la formazione dei «Greci indipendenti», nata attorno a Panos Kammenos, ex deputato di Nuova democrazia in disaccordo contro l’ultimo memorandum approvato a febbraio.

Chi conosce la Grecia scommette sul fatto che il risultato finale potrebbe comunque favorire i due partiti al governo. Al momento tuttavia sembra sicuro un crollo del Pasok al 16% mentre Nd prenderebbe il 23%. Per portare avanti la grande coalizione dovrebbero assicurarsi un 35-40%. Entrambi i leader, Venizelos (Pasok) e Samaras (Nd) hanno garantito che si atterranno alle riforme promesse. Ma entrambi promettono anche misure per consentire all’economia di trovare uno sbocco dalla micidiale recessione nella quale è impantanata da quattro lunghissimi anni.

Germania
Un tonfo dei liberali rischia di scuotere l’alleanza a Berlino
Al voto nello Schleswig-Holstein
ALESSANDRO ALVIANI
Sarà una settimana di fuoco, per Angela Merkel, quella che si aprirà il 6 maggio con le regionali nello SchleswigHolstein e si chiuderà il 13 col voto in Nord-Reno-Vestfalia. In entrambi i casi i liberali, suoi alleati a Berlino, si avviano verso l’ennesimo tonfo, che potrebbe scuotere le basi della coalizione.

Nello Schleswig-Holstein è quasi certo che l’alleanza tra Cdu e Fdp non verrà riconfermata. Se la Cdu viaggia testa a testa con la Spd, i liberali rischiano di fermarsi sotto lo sbarramento del 5% e di restare fuori dal parlamento regionale. Stesso pericolo che corrono anche alle ben più importanti elezioni in NordReno-Vestfalia, il Land più popoloso, ma anche più indebitato della Germania, con un passivo di 125 miliardi. Non a caso qui il tema centrale è la lotta ai debiti, con la Cdu che bolla la governatrice uscente della Spd Hannelore Kraft come «regina dei debiti» per via delle sue Finanziarie tutt’altro che rigoriste. L’elettorato non sembra curarsene molto: nei sondaggi la Spd stacca la Cdu.

Una doppia sconfitta dei liberali costerebbe probabilmente il posto al numero uno Philipp Rösler. E, secondo alcune voci, potrebbe portare a un crollo della coalizione a Berlino e a elezioni anticipate. Uno scenario che Lothar Probst, politologo dell’università di Brema, non esclude, specie se a rompere fosse la Fdp e se Francia e Olanda, dopo il loro voto, dovessero abbandonare la via dell’austerity. Tuttavia Merkel non avrebbe da temere: «Nei sondaggi è messa bene, il suo resterebbe primo partito e lei cancelliera, e la Spd, che non ha ancora scelto il suo candidato cancelliere, verrebbe colta di sorpresa». Per Frank Decker, politologo dell’università di Bonn, le regionali provocheranno in ogni caso un peggioramento del clima a Berlino: se la Fpd supererà il 5% potrebbe essere tentata di allearsi con Spd e Verdi, nel caso in cui questi complice la crescita dei Pirati - non dovessero avere i numeri per governare; se invece i liberali dovessero perdere «saranno costretti a rafforzare la loro immagine e distinguersi di più dalla Cdu/ Csu, rendendo quasi impossibile la collaborazione, già oggi difficile, nel governo».

Serbia
L’onda euroscettica spaventa Bruxelles Tadic si gioca tutto
Pesano la crisi e la questione Kosovo
MARCO ZATTERIN
Il primo marzo ha incassato per la sua Serbia lo status di candidato all’Ue, il 4 aprile s’è dimesso e ha convocato le elezioni con 10 mesi di anticipo convinto di stravincere, il 6 maggio rischia di rimanere a mani vuote. A dieci giorni dal voto, i sondaggi che arrivano da Belgrado dicono che il premier uscente Boris Tadic e il suo partito democratico sono stati scavalcati nelle intenzioni di voto dai populisti dal Partito Progressista guidato dal rivale Tomislav Nikolic. Scontano la crisi economica, la durezza delle riforme e le accuse di corruzione, così preoccupano l’Europa, che nutre dubbi sull’affidabilità dei conservatori e teme anche qui una nuova deriva euroscettica.

I sensori di Bruxelles indicano pericolo, circostanza sottolineata dalle notizie che giungono dal Nord del Kosovo dove le tensioni montano. Per precauzione, la Kfor (la Forza Nato presente nella giovane repubblica) ha deciso di rafforzare il proprio contingente: entro martedì arriveranno altri 550 soldati tedeschi e 130 austriaci. Non è detto che se Tadic uscisse di scena, la fragile pace con Pristina durerebbe. Anche perché, se le indicazioni saranno confermate, il premier otterrebbe circa il 28,3% dei consensi e i suoi avversari il 33. In entrambi i casi, servirebbe un alleato per costruire una coalizione. Significa che a fare la differenza sarebbe il Partito Socialista - schieramento già dell’ex uomo forte serbo Slobodan Milosevic -, oggi al potere, ma ancora prudente nell’indicare il proprio futuro.

Il 6 maggio in Serbia si vota anche per le presidenziali e le municipali, è un super Election-day che potrebbe cambiare il volto del paese e non solo. Tadic è l’uomo dell’Europa, ha messo in testa al programma il processo di integrazione europeo, vuole avviare il negoziato con Bruxelles entro l’anno, e spera di entrare nel club entro il 2017. Nikolic, per contro, ha già avvertito che «se la condizione per l’accesso all’Ue è il riconoscimento del Kosovo, noi diremo "no"». La maggioranza relativa dei suoi cittadini, almeno sinora, sembra essere d’accordo. All’Ue questo non piace per nulla.