Stefano Sansonetti, ItaliaOggi 24/4/2012, 24 aprile 2012
Tfr nella busta paga dei dipendenti – La proposta è di quelle in grado di fare rumore. Un colpo di teatro, si potrebbe quasi dire, soprattutto se si considerano gli ambienti politici all’interno dei quali il piano sta prendendo forma
Tfr nella busta paga dei dipendenti – La proposta è di quelle in grado di fare rumore. Un colpo di teatro, si potrebbe quasi dire, soprattutto se si considerano gli ambienti politici all’interno dei quali il piano sta prendendo forma. L’idea, tanto per entrate subito nel merito, è quella di mettere a disposizione dei lavoratori il Tfr (trattamento di fine rapporto), facendo affluire le relative risorse direttamente in busta paga. Un modo, spiega chi ha elaborato il progetto, per mettere nelle tasche dei lavoratori qualcosa come 12 miliardi di euro, che naturalmente potrebbero essere utilizzati per rilanciare i consumi e la crescita. Diciamo subito che il piano, nella forma di una proposta di legge di iniziativa popolare, viene portato avanti in queste settimane dalla Lega Nord. Non è una novità che il partito stia attraversando un periodo a dir poco difficile, visti gli scandali legati all’utilizzo dei soldi dei rimborsi elettorali. Secondo alcuni, allora, ecco che il progetto del Tfr in busta paga potrebbe essere una sorta di coniglio estratto dal cilindro da parte di un Carroccio alla ricerca di nuova linfa per rivitalizzarsi. Ma al di là delle considerazioni politiche, l’idea su cui si lavora ha una base scientifica, con tanto di numeri e tabelle. A elaborarla è stato Giuseppe Vitaletti, già presidente dell’Alta commissione per il federalismo fiscale e già consigliere economico dell’ex ministro dell’economia, Giulio Tremonti. Proprio quest’ultimo, nell’estremo tentativo di trovare idee brillanti per rilanciare un governo in realtà già agonizzante, nell’agosto del 2011 aveva cercato di avanzare una «proposta choc». Ed è qui che entra in gioco Vitaletti, ordinario di scienza delle finanze, il quale all’epoca ha messo nero su bianco una proposta di legge, con articolo unico, che poggia su due perni fondamentali. Innanzitutto la destinazione del Tfr nella busta paga dei lavoratori. Secondo i calcoli relativi al 2010 (ultimo anno disponibile) il potenziale di risorse è consistente. In ballo ci sono 18,6 miliardi di Tfr, al netto della quota affluita ai fondi complementari. La cifra è composta dai 13,4 miliardi accantonati nelle aziende con meno di 50 dipendenti, e dai 5,2 miliardi di quote maturate in aziende con più di 50 dipendenti, di cui 500 milioni sono versati ai lavoratori in uscita e 4,7 miliardi sono versati all’Inps e da questo alla tesoreria dello stato (il tutto in base alla riforma messa a punto dall’ultimo governo di centrosinistra). Queste risorse, al netto di imposte e versamenti volontari all’Inps, alla fine del meccanismo scendono a circa 12 miliardi che finirebbero nella disponibilità di lavoratori per alimentare una domanda che in Italia continua a essere insopportabilmente stitica. Il secondo passaggio viene definito «prestito del lavoro». È chiaro, infatti, che trasferire il Tfr nelle tasche dei lavoratori priverebbe le aziende di ingenti risorse. Come fare a tappare il buco? Il progetto elaborato da Vitaletti prevede un prestito erogato dall’Inps per «un importo pari al 10% delle retribuzioni complessive» erogate dalle imprese datrici di lavoro nei sei mesi che precedono la domanda. L’importo del prestito, a partire dal semestre successivo a quello di prima attuazione, viene poi incrementato «dell’ammontare del Tfr liquidato ai propri dipendenti dai datori di lavoro nel settore privato nel semestre precedente». Per far fronte a questi onori, prosegue la proposta, l’Inps si avvale «di finanziamenti da parte della Cassa depositi e prestiti che può fare ricorso sia a fondi propri, sia a fondi ottenuti da banche d’affari, in competizione tra loro sul saggio di interesse». E per questa via le imprese potrebbero stare tranquille. Un terzo pilastro pensato da Vitaletti, che però non sarebbe confluito nella proposta ora in mano alla Lega, prevede anche la possibilità di aprire l’Inps alla previdenza complementare. Secondo la proposta complessiva, ad ogni modo, il meccanismo sarebbe praticamente a costo zero. Anzi, semmai con un piccolo vantaggio per le casse dello stato. A fronte di 5 miliardi che le casse pubbliche perderebbero, in termini di risorse che non affluirebbero più alla tesoreria via Inps e in termini di minore gettito sulle liquidazioni, ci sarebbero maggiori entrate per 5,2 miliardi, calcolate stimando un’aliquota marginale media del 33% sui 18,6 miliardi, che fa 6,2 miliardi, ai quali verrebbe sottratto un miliardo di euro, che rappresenta la stima di perdita di gettito “connessa all’incremento del 5% delle spese di produzione del reddito a vantaggio dei lavoratori dipendenti”. Ma soprattutto, sostiene la proposta, si avrebbero effetti benefici sull’economia derivanti dalla possibilità di convogliare 12 miliardi di euro nei consumi. Cosa che, calcolando prudenzialmente l’incremento dei consumi di un 50-60%, produrrebbe maggiori incassi per 6-7 miliardi e un contributo al rientro del deficit che si può stimare in 3-4 miliardi. Questi i dettagli e i conti di Vitaletti. Ma quel che più rileva, adesso, è che per la via di Tremonti, ovvero l’originario destinatario del progetto, le carte sono finite in mano alla Lega. Che sta pensando di puntare su questa proposta choc per recuperare un po’ di immagine e di consenso.