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 2012  aprile 26 Giovedì calendario

ORA LA CAMORRA TAGLIEGGIA I MEDICI


Poveri camorristi. Anzi, ca­morristi poveri. Ridottisi a chiedere tangenti da due a trecento euro mensili, cioè poco più che spiccioli rispetto alle loro consolidate abitudini. Perché, si sa, la crisi è crisi per tutti e la re­cessione pure. E così i clan parte­nopei si sono visti obbligati a ri­vedere (fortemente al ribasso) le loro attività e il loro obiettivi. Ta­glieggiando quindi da un po’ di tempo anche i medici, specialisti e di famiglia, pur d’avere qualche altro straccio di profitto.
Un giochetto che sta funzionan­do abbastanza bene a Caserta, poi nella provincia napoletana e, in città, soprattutto nel quartiere di Secondigliano (mentre a Salerno, Avellino e Benevento pare che non se ne registri traccia). Non tocca ancora a frotte di medici, ma la ri­chiesta del pizzo ai camici bianchi prende decisamen­te piede e i numeri sono già tutt’altro che risibili. Infatti, seppure renda po­chino, è però lavo­retto tranquillo, fa­cile facile e che (fi­nora) nessuno ha denunciato: «Ne siamo a conoscenza infor­malmente... », spiega Bruno Zuc­carelli, il presidente dell’Ordine dei medici e odontoiatri di Napo­li e provincia. Anche se la polizia, di suo, ha in qualche modo preso a ’muoversi’ e indagare sulla fac­cenda, specie nel Casertano, su­bito dopo averne avuto sentore.
Il lavoretto è appunto facile. Il pri­mo passaggio è monitorare l’at­tività del medico e lo si fa in di­versi modi: acquisendo i tabulati sui pazienti in carico (per i medi­ci di famiglia) oppure spedendo bassa manovalanza a fare antica­mera nelle sale d’attesa per una decina di giorni consecutivi (in modo da stimare direttamente la quantità di pazienti) oppure, an­cora, esaminando i guadagni del medico preso di mira.
A questo punto, fatti rapidamen­te due conti, la camorra stabilisce se vale la pena spremere il papa­bile o non conviene. Nel primo caso, lo si... informa riservata­mente (o lo si fa informare attra­verso qualche suo collaboratore) che dovrà pagare il pizzo per con­tinuare senza problemi a lavora­re in tutta tranquillità. Una cifra che oscilla – come detto – fra due­cento e trecento euro ogni mese: poco più che spiccioli per le pre­tese consuete dei clan, ma tant’è. Difficile che chi subisce denunci. E forse, almeno in parte, anche comprensibile. Quella dei medi­ci non è categoria ’abituata’ ad essere taglieggiata, intanto. E poi – come qualcuno di loro raccon­ta a voce bassissima – vista la ci­fra e pensando che ad andarci di mezzo potrebbe magari toccare a un familiare, probabilmente me­glio pagare e amen. Che così ol­tre tutto si dorme sereni la notte e «a sera esco dallo studio con la certezza di non rischiare sgrade­voli, pericolosi, incontri lungo la strada di casa».
La crisi dunque ha frantumato o finito di frantumare un paio di vecchi meccanismi. Da molto tempo è stata cancellata la vec­chia regola dei clan camorristi di rispettare, sia pure a modo molto loro, il medico e il suo ruolo. E da poco tempo sta andando cancel­landosi anche l’altra, quella se­condo la quale a un camice bian­co veniva al più imposto di visi­tare gratuitamente, ma anche la sua disponibilità a curare d’ur­genza e, se necessario, a disporre ricoveri saltando ogni lista d’at­tesa.
«No, ormai tutto questo non c’è quasi più da un pezzo», dice Zuc­carelli: «Ricevo sempre più di fre­quente la comunicazione da par­te di colleghi del passaggio dal­l’Ordine di Napoli ad un altro, spesso al nord, a causa del loro trasferimento». Mentre chi resta qui può ritrovarsi a dover pagare il pizzo.